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mercoledì 30 aprile 2008

Derby di bilancio

Liberomercato 30 aprile 2008 pagine 1-12
Inter batte Milan in perdite e costi di gestione

Il rosso del club nerazzurro arriva a 206 milioni, mentre il Diavolo si ferma a quota 31,98

Marco Liguori
Inter batte Milan per perdite di esercizio: 206,83 milioni di euro a 31,98 milioni. E’ questo uno degli aspetti economici del derby decisivo di domenica prossima: sia per la conquista dello scudetto per i nerazzurri, sia per la rincorsa al quarto posto per i rossoneri che significherebbe l’accesso al turno preliminare della ricca Champions League. Liberomercato ha esaminato gli ultimi bilanci civilistici: quello della società presieduta e controllata da Massimo Moratti coincide con la stagione calcistica (1° luglio 2006-30 giugno 2007), mentre quello del club presieduto (ancora per poco, a causa della legge sul conflitto d’interessi) da Silvio Berlusconi coincide con l’anno solare 2007 poiché ha aderito al regime fiscale del consolidato nazionale con la controllante Fininvest.
Stato patrimoniale. Emerge il forte squilibrio tra debiti e crediti dell’Inter, pari a 348,46 milioni. La società nerazzurra presenta al 30 giugno scorso un patrimonio netto negativo di 70,2 milioni. Ma non ci sono problemi, grazie alle consistenti disponibilità finanziarie di Moratti. Nella nota integrativa si legge che il socio di riferimento ha provveduto, dopo la chiusura di esercizio, "ad effettuare versamenti a completamento dell’aumento di capitale sociale già deliberato dall’assemblea dei soci del 22 giugno 2007 per l’importo complessivo di euro 70.670.903". Nel documento si sottolinea che "è in corso di attuazione un ulteriore versamento di 35 milioni" a copertura di ulteriori perdite. Tra gli 80,8 milioni di altre passività vi sono 36,7 milioni riferiti "a una cessione pro soluto ad un primario istituto di credito di parte dei corrispettivi derivanti dal contratto di cessione" di diritti tv per la stagione 2007/08. Soldi già spesi per la gestione assieme a 24,88 milioni di risconti passivi.
Nonostante lo squilibrio debiti-crediti di 234,83 milioni, anche il Milan non ha problemi grazie alla robusta copertura Fininvest. La sua controllante ha contribuito a irrobustire il patrimonio netto con la rinuncia "di parte di un finanziamento fruttifero" trasformato "in versamento in conto capitale" per 10,86 milioni. Inoltre, la Fininvest ha effettuato un altro versamento per 14,14 milioni. Il revisore Deloitte & Touche ha evidenziato che nello scorso gennaio è stato effettuato un altro versamento di 25 milioni. Dal rosso di bilancio è arrivato un beneficio per la controllante: il Milan le ha trasferito 18,34 milioni per "nell’ambito dell’accordo sull’esercizio dell’opzione per il regime fiscale del consolidato nazionale".
Controversie fiscali. Il Milan spiega che "è stata completamente azzerata" la voce "altri fondi per rischi e oneri" per effetto della riclassifica per 3,06 milioni del fondo tra i debiti tributari "a seguito della definizione dell’assoggettabilità a tassazione di componenti positive di reddito relative alla stagione 2001/2002". Per il debito residuo "è stata concordata con l’amministrazione finanziaria la rateizzazione fino all’anno 2010". La pace col fisco, riguardante l’Irap, ha comportato 1,48 milioni inclusi nella voce "oneri tributari esercizi precedenti".
Sulle plusvalenze calciatori l’Inter, spiega in nota integrativa, "ha ricevuto un avviso di accertamento a tali plusvalenze per l’esercizio chiuso al 30 giugno 2002. Inoltre nel mese di luglio 2007 è stato notificato analogo accertamento sull’esercizio chiuso al 30 giugno 2003. L’Agenzia delle entrate ha accertato complessivamente maggiore Irap per euro 5,3 milioni più interessi e sanzioni per euro 2 milioni". La società ha presentato ricorso.
Ricavi e costi. I nerazzurri perdono il confronto sul valore della produzione, incassando 221,21 milioni contro i 257 milioni dei cugini. Ma li superano sui costi: 409,22 milioni contro 285,64 milioni. Riguardo al fatturato dell’Inter i diritti tv sono pari a 91,5 milioni, mentre le sponsorizzazioni 29,6 milioni. Il Milan ha suddiviso i proventi tv tra quelli da Sky, Mediaset e da squadre ospitanti (107,36 milioni), da quelli per partecipazione competizioni Uefa e Fifa (48,3 milioni).
Tra i costi dell’Inter ha pesato l’ultima quota di ammortamento, pari a 111,79 milioni, degli oneri del "salvacalcio". I compensi calciatori hanno raggiunto i 117,23 milioni (+10,75%), mentre i premi rendimento sono pari a 21,66 milioni (+54,55%). I contratti dei giocatori sono costati al Milan 124,91 milioni (+12,51%): la quota variabile per i risultati sportivi è di 13,77 milioni (+47,44%). I consiglieri di amministrazione rossoneri hanno ricevuto un compenso globale di 3,05 milioni contro i 750mila euro dei nerazzurri.

domenica 27 aprile 2008

L'occasione bulgara

Liberomercato 26 aprile 2008 pagina 9

Rendimenti fino al 7% per chi acquista immobili a Sofia

Marco Liguori
Il settore immobiliare in Bulgaria cresce a ritmi vertiginosi. Secondo un recente studio dell’ufficio "Informazioni e consulenza specialistica" del Consolato della Bulgaria a Napoli, i prezzi medi (calcolati su dati del principale portale del mattone bulgaro www.imoti.net) delle compravendite di appartamenti sono esplosi con un incremento del 40% nel periodo giugno 2007- marzo 2008. Anche gli affitti hanno subito un considerevole apprezzamento nello stesso arco di tempo, pari al 20%.
Il punto di forza del mercato residenziale è costituito dai rendimenti annuali. Ad esempio, secondo le valutazioni del report del Consolato, un immobile residenziale a Sofia, sulla base dei prezzi medi più alti, pari a circa 1114 euro al metro quadro, può rendere attorno al 5,5%. Questa analoga stima percentuale riguarda anche gli appartamenti con la valutazione di affitto media mensile massima di 5,13 euro/mq. In alcune zone prestigiose della capitale, come quelle del centro, e per gli immobili di lusso i livelli del rendimento annuale dell’investimento arrivano anche a punte del 7% ed oltre.
Il mercato è ancora sostenuto dalla forte domanda internazionale. «L’immobiliare è uno dei settori dell’economia bulgara – spiega a Liberomercato il console Gennaro Famiglietti – di maggior afflusso di investimenti esteri negli ultimi anni. Nel 2007 il settore ha attratto investimenti diretti per un ammontare di 1,681 miliardi di euro sul totale degli investimenti esteri nel paese di 5,7 miliardi, che lo posiziona nuovamente nei primi posti nella graduatoria dei settori di maggior interesse per gli investitori».
Secondo il report del Consolato, per quest’anno è prevista una stabilità dei prezzi sui livelli del precedente. Tuttavia è previsto un aumento per alcuni tipi di immobili, come quelli ubicati nei centri delle principali città e per gli immobili di prestigio, che sono molto ricercati dalle rappresentanze di aziende estere. Nella capitale sono considerati molto interessanti i tre quartieri semicentrali Lozenetz, Iztok e Ivan Vazov dove ha origine Vitosha Boulevard, la strada più elegante di Sofia con i suoi negozi e ristoranti. In essi le possibilità di effettuare nuove costruzioni sono ormai rare: di conseguenza, è molto probabile che le nuove offerte saranno ridotte e presenteranno prezzi più elevati.
Il segmento uffici nel 2007 ha registrato ancora un consistente trend di crescita ed è stato caratterizzato da un’alta domanda di spazi e un’offerta non sufficiente. Secondo le previsioni questo squilibrio del mercato sarà superato dopo la metà del 2009 quando saranno pronti molti nuovi spazi ad uso uffici, attualmente in fase di costruzione o in fase di progettazione. Le stime della società immobiliare Forton indicano che attualmente in Bulgaria sono in fase di costruzione uffici per una superficie totale di 754mila mq, mentre ne sono in fase di progettazione per complessivi 707mila mq. Riguardo ai prezzi il Consolato cita il report annuale del mercato internazionale di Cushman&Wakefield. A fine 2007 gli affitti medi di spazi classe A (con ubicazione centrale, elevato comfort ed efficienti collegamenti con mezzi pubblici) nella capitale sono stati in media di 15-18 euro/mq. al mese: fino ad arrivare a un livello massimo di 26-30 euro/mq nel centro di Sofia. Gli affitti della classe B, invece, sono stati a 9-14 euro/mq. Riguardo alle altre città bulgare, gli affitti più cari per uffici di classe A sono stati registrati nelle città di Varna e Burgas sul Mar Nero, rispettivamente di 10-12 euro/mq. al mese e di 12-14 euro/mq. Considerati questi livelli di prezzo, il rendimento annuale per il 2007 di un investimento in uffici a Sofia è stato pari al 7,5%: per il 2008 è stato stimato un leggero calo attorno al 7% circa. Per chi desidera informazioni: Consolato di Bulgaria, via Chiatamone 63 Napoli (tel. 081 2452234).

mercoledì 23 aprile 2008

Match Comuni-Federcalcio sull'Ici

Liberomercato 23 aprile 2008 (pag. 1-11)

Esenzione sì, esenzione no
Ici non pagata: contenziosi Federcalcio-Comuni

Marco Liguori
L’Ici è la vera "croce e delizia" dei contribuenti italiani. Ne sa qualcosa anche la Figc o meglio la sua controllata al 100% Federcalcio srl che ha 10 contenziosi per questo tributo. La notizia è nel bilancio al 30 giugno 2007 della società che, secondo le recenti visure della Camera di Commercio, ha come oggetto sociale "l’acquisto e la gestione di immobili destinati o da destinare alla pratica del gioco del calcio". Essa può anche prestare attività per "l’assunzione e la gestione di attività volte allo sfruttamento commerciale e di iniziative promo-pubblicitarie ed editoriali comunque connesse con il giuoco del calcio". Le visure riportano che il cda è in carica fino al 30 giugno prossimo. Tra i nomi di spicco si segnala il numero uno della Figc, Giancarlo Abete, che ne è il presidente: è consigliere l’ex vicepresidente federale, Innocenzo Mazzini, squalificato nel processo sportivo 2006 per cinque anni con proposta di radiazione e indagato dalla magistratura ordinaria.
Le controversie sull’Ici di Federcalcio srl con i Comuni di Roma, Ancona, Cagliari, Foggia e Bologna sono richiamate nella relazione della società di revisione Fiscontrol. Nella Capitale "sono stati riuniti e accolti i ricorsi concernenti – evidenzia il revisore – i quattro avvisi di accertamento relativi agli immobili di via Po e via Allegri relativi agli anni 1999-2002". La Figc, contattata da Liberomercato, ha spiegato che "è stato accolto il nostro ricorso dalla Commissione tributaria provinciale che ha riconosciuto il diritto all’esenzione Ici, affermando che appare indubbio che il patrimonio immobiliare di Federcalcio srl sia destinato in via esclusiva alla realizzazione degli scopi statutari e istituzionali della Figc". Il Comune di Roma è ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. "Nello scorso novembre – prosegue la Figc – essa ha dato invece ragione al Comune, ritenendo Federcalcio srl una società di natura commerciale giuridicamente distinta dalla Figc: stiamo preparando il ricorso in Cassazione". Nella nota integrativa, Federcalcio srl ha evidenziato l’accantonamento di "euro 398.635" per questo contenzioso: la Figc ha spiegato che è "pari al valore dell’accertamento comprensivo di sanzioni e interessi".
Nel bilancio si legge anche che sono stati accantonati "euro 139.912" per l’"accantonamento prudenziale effettuato in relazione agli accertamenti già notificati dal Comune di Ancona in materia di Ici relativi all’immobile di proprietà ubicati in Ancona". Fiscontrol ha sottolineato che vi sono 5 pendenze nel capoluogo marchigiano. Per il contenzioso 1998-2001 "è stato presentato ricorso alla Corte di Cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva accolto l’appello proposto dal Comune". Per quello 2002 è stata confermata in appello la "sentenza di primo grado favorevole alla società" e "pende ricorso in Cassazione del Comune di Ancona". Inoltre "sono pendenti innanzi alla Commissione Tributaria Regionale su appello della società" i procedimenti del 2003, 2004 e 2005: pende "innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale il ricorso" per il 2006. L’ultima controversia con il Comune di Ancona concerne "la riscossione in via provvisoria dell’Ici relativa ad alcuni dei predetti contenziosi": in primo grado ha vinto Federcalcio. Invece a Cagliari pende "l’appello di parte per l’anno 2000" in Commissione Tributaria Regionale contro la sentenza di primo grado sfavorevole alla società e il ricorso per il 2001. Invece, a Foggia sono stati impugnati gli accertamenti del 2001 e 2002, mentre a Bologna Federcalcio si è opposta per quelli del 2002, 2003 e 2004.

sabato 19 aprile 2008

Aeromobili decaduti

Liberomercato 19 aprile 2008

Piove sul bagnato
Decreti ingiuntivi per 14 milioni
Compagnia a rischio pignoramento


Marco Liguori
Piove sul bagnato per Alitalia. In attesa del probabile prestito ponte e degli eventuali "cavalieri bianchi" disposti ad acquistarla, si scopre una sgradita sorpresa. Nell’ultimo comunicato stampa mensile del 28 marzo scorso relativo alla posizione finanziaria netta al 29 febbraio, imposto dalla Consob sin dall’agosto 2004, si legge che sono stati notificati alla compagnia aerea ben 11 decreti ingiuntivi. Stando alla nota, essi riguardano «debiti di natura commerciale» per complessivi 13,6 milioni di euro. Contro di essi sono state presentate le opposizioni in tribunale e risultano tuttora pendenti. Nel caso in cui alcuni di questi decreti fossero resi esecutivi dal giudice, i creditori proseguiranno nell’iter fino alla presentazione dell’istanza di fallimento. Occorrerà quindi trovare in fretta una soluzione. Invece, non vi sono situazioni di scaduto o di irregolarità di pagamenti per «debiti di natura finanziaria, tributaria e previdenziale».
Alitalia non ha riportato i nomi dei creditori che hanno fatto ricorso alla procedura giudiziaria. Nel documento è specificato che sono stati presentati due decreti ingiuntivi «da un vettore, per presunte differenze tariffarie per circa sei milioni di euro». Seguono altri due decreti presentati «da un fornitore di filmati da trasmettere a bordo degli aeromobili per 1,2 milioni di euro». Più lieve la richiesta di «un fornitore di servizi informatici» pari a 812mila euro. A ciò si aggiunge una richiesta di 288mila euro da parte del «fallimento di una filiale italiana di una compagnia aerea». Nel quaderno delle doglianze di somme richieste giudizialmente ad Alitalia c’è anche «un fornitore di prestazioni manutentive, per 492mila euro». Più elevati sono i due successivi importi contenuti nel comunicato. Il primo riguarda 3,2 milioni richiesti «dalla amministrazione straordinaria di una società che rivendica il pagamento di presunti debiti per vendita di biglietteria aerea». L’altro riguarda la cifra di circa un milione di euro reclamata "da una società fornitrice di carburante". Di gran lunga inferiori le richieste di un gestore aeroportuale (375mila euro) per «parziale mancato pagamento delle tariffe di handling» e di quattro fornitori (188mila euro).
Nel documento di Alitalia si sottolinea che «l’indebitamento bancario esistente è pressoché per intero assistito da garanzie reali» ossia ipoteche su aerei. Esso è anche supportato «da garanzie personali», costituite in prevalenza da «garanzie rilasciate da agenzie per il credito all’esportazione».

giovedì 17 aprile 2008

Chi vince con Berlusconi

di Stefano Olivari
da http://www.settimanasportiva.it/index/it/news.show/Chi+vince+con+Berlusconi.html?sku=1699


Che cosa cambierà nel micromondo calcistico con la vittoria elettorale di Berlusconi? Domanda non epocale, come quasi tutte le nostre, ma comunque di un certo interesse per chi come noi di calcio vive. Per Abete cambia pochissimo: uomo di centro, navigatore nella politica senza mai sembrare maneggione, con il suo non decisionismo (da Donadoni a Collina, in un anno di presidenza non ha mai fatto una scelta davvero sua) si è guadagnato l'indifferenza del futuro presidente del Consiglio, che continua non del tutto a torto a considerarlo il vice di Carraro. Un calcio veltroniano avrebbe ovviamente spostato la centralità del potere verso la federazione, ma di sicuro non si può dire che Abete abbia perso. Campane a morto invece per Antonio Matarrese, che con la storia del miliardo ha provato a svincolarsi dall'abbraccio della B facendo quello che pensa in grande dopo una vita passata a comporre contrasti fra ras di paese. Niente da fare: se la A saluterà la compagnia prima della fatidica data del 2010, quella di tutte le scadenze, commissioner della nuova lega 'leghista' sarà al 110 per 100 Adriano Galliani. Nell'arco di due anni far crescere un dirigente da Milan non dovrebbe essere difficile: il gruppo è pieno di ottimi manager per la gestione finanziaria, a cui affiancare un uomo di sport (l'amico Natali, piuttosto che Costacurta o un direttore sportivo di provincia) per il mercato. E poi di strapagare bolliti dalla Spagna con la straordinaria consulenza di Bronzetti (è l'unico ad avere il numero di Barcellona e Real Madrid?) dovrebbero essere più o meno capaci tutti. Un Berlusconi presidente del Consiglio non potrà esserlo anche del Milan, ma nella sostanza cambierà poco: carica vacante, a meno che non scocchi l'ora del non più piccolo Luigi. Vince Collina, che Berlusconi e Galliani hanno sempre rispettato tanto da non volersi esporre quando c'è stato da reclamare per qualche torto arbitrale subito dal Milan: alla classifica alla moviola ci ha pensato la Gazzetta (solo che quando la faceva Maurizio Mosca nel leggendario Appello del Martedì non veniva preso sul serio), ben prima della svolta simil free press. Perde Moratti, non solo per le simpatie politico-salottiere per la sinistra (in realtà più della moglie che sue), ma anche perché a un presidente del Consiglio pur non vincendo nel calcio rimangono tanti altri tavoli su cui giocare. I guadagni nella raffinazione del petrolio si giocano sui millesimi di euro, una tassettina in più o in meno cambia il destino di una dinastia industriale in un paese in crisi di approvigionamento energetico: diciamo che il Fraizzoli che dopo la telefonata di Andreotti straccia il contratto di Falcao è un paragone che ci può stare. Pareggia la Juventus, che ci ostiniamo per abitudine infantile a collegare al mondo Fiat: dall'abolizione del bollo a mille incentivi per l'auto, annunciati dalla benevolenza verso Silvio del gruppo mediatico Montezemolo, non sarà di sicuro obbligata a fare del pauperismo. E gli Elkann a Berlusconi non sono certo antipatici. Un pareggio con tendenza alla sconfitta, perché il reale progetto politico di Montezemolo puntava al pareggio elettorale per poi proporre uno pseudo-governo dei tecnici: probabile adesso che invecchi (del resto ha già 60 anni) fra Raikkonen e Massa, in quella barzelletta pompata artificialmente dai media che si chiama Formula Uno. Perde la Roma, con la famiglia Sensi ed il suo giocatore simbolo schierati per Veltroni-Rutelli ed ingiustamente presi di mira per questo, come se le strumentalizzazioni politiche fossero esclusiva di una parte: che il gruppo sia di fatto ostaggio di Unicredit è un elemento che gioca a favore della vendita del magnate di turno, al quale ovviamente non basteranno i soldi ma dovrà trovare anche consenso. Se è vero, come è vero, che i mezzi flop con Manchester United (in modo ostile) e Inter (in modo più discreto) non sono stati dimenticati, una squadra ed una città di notorietà mondiale non dovrebbero dispiacere a Murdoch, eterno finto nemico del Berlusca. Questa la politica, mentre per quanto riguarda i soldi già adesso si puà dire che la legge Melandri sarà spazzata via, più probabilmente per via giudiziaria che parlamentare: gli arieti Sky, De Laurentiis e Zamparini provvederanno a sfondare questo cigolante portone ed a tornare entro il solito 2010 alla soggettività dei diritti tivù. Per il resto nessuno scenario sconvolto: Sky per il satellite, Mediaset e La7 per il digitale terrestre, continueranno a dare il grosso, mentre il piccolo, cioé il chiaro, quasi certamente tornerà ad una Rai costretta a sobbarcarsi, con la scusa del servizio pubblico, anche una serie B che fra qualche anno non dovremmo vedere più (almeno nella sua forma attuale). Insomma, ha vinto Berlusconi ma in generale tutto il calcio di vertice ci guadagnerà. Dimenticavamo: il collaboratore principe del Berlusconi politico è stato e sarà Gianni Letta, questo significa la ricomparsa calcistica in terra italiana di Franco Carraro, attualmente all'esecutivo Uefa. Non riusciamo ad immaginare in quale ruolo, avendoli già ricoperti tutti e più di una volta: da una poltrona di sottogoverno in su, tutto è possibile.

L'attualità ci travolge, ma vale la pena soffermarsi sulla rivelazione di Johan Cruijff relativa al gran rifiuto di partecipare con l'Olanda al Mondiale 1978. Non per motivi calcistici, come abbiamo sempre pensato (il passaggio dal Barcellona ai Los Angeles Aztecs, avvenuto proprio in quell'anno, era un'ammissione di declino), o per motivi politici nel senso di boicottaggio di una manifestazione-vetrina per la giunta militare argentina, come lui stesso aveva spiegato in diverse interviste, o addirittura per constrasti a livello di sponsor (Cruijff era Puma, l'Olanda Adidas: famoso l'episodio delle due righe che fece inferocire Horst Dassler). Ma per un episodio, rivelato martedì scorso a Radio Catalunya, che aveva coinvolto la sua famiglia: un tentativo di rapimento avvenuto nel 1977 a Barcellona, durante il quale Cruijff e la moglie Danny (figlia del supreprocuratore Cor Coster) avrebbero avuto puntata alla testa una pistola e visto i tre figli in pericolo. Tentativo con una dinamica non chiara (anche ascoltando la versione originale, lo spagnolo di Cruijff è comprensibilissimo: http://www.catradio.cat/reproductor/audio.htm?ID=241651), soprattutto per quanto riguarda il suo fallimento, ma dal seguito spiegato meglio: mesi di vita blindata, con scorta di polizia e guardie del corpo, fino alla rinuncia al Mondiale ed alla fuga in America. Un episodio che getta una luce diversa sul fine carriera del Profeta del Gol (quasi due ore di emozionante film, con la voce di Sandro Ciotti: consigliamo a chiunque il dvd) e che spiega anche perchè, dopo avere giocato nelle qualificazioni, Cruijff abbia lasciato sul più bello. Facile l'analogia con il caso del rapimento di Quini (attaccante della nazionale spagnola e del Barcellona), tenuto in ostaggio per quasi un mese nel 1981, con la pista politica presto rivelatasi una bufala. Di sicuro aumenta il rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non è stato: nemmeno il suo ennesimo ritorno all'Ajax come futuro dirigente-burattinaio di un Van Basten allenatore, ritorno peraltro ancora non definito (mentre scriviamo sembra più no che sì), vale il trofeo più importante.

A volte avere tutta la squadra dalla propria parte è per un allenatore controproducente, specie nei club con un padre-padrone o nelle federazioni gestite secondo gli umori del momento. Così Uli Stielike è stato congedato dalla Costa d'Avorio alla scadenza del contratto: il presidente federale Jacques Anouma non è che abbia sottomano nomi migliori (l'unico di fama internazionale è Jean Tigana, storico avversario di Stielike in una delle partite più belle di tutti i tempi: ovviamente a Spagna 1982, quel Germania Ovest-Francia che ha folgorato una generazione) dal punto di vista tecnico, ma non gli ha perdonato di avere abbandonato la nazionale nelle mani del suo secondo Gerard Gili, che peraltro l'aveva condotta fino alla semifinale poi persa contro l'Egitto degli animali sacrificati. Di sicuro c'è bisogno del grosso nome, dopo Henry Michel, che era arrivato alla finale di Coppa d'Africa nel 2006 e alla fase finale del Mondiale, e appunto Stielike. Credibile Tigana, non inflazionato come altri bolsi giramondo ma forse poco umile per calarsi nella parte del c.t africano senza arie da colonizzatore. Se il Trap avesse aspettato qualche mese adesso avrebbe avuto in mano una squadra perfetta per il suo ultimo hurrah. Altro che l'Eire...Tornando a Stielike, l'ex libero di Gladbach, Real e Xamax (nel crepuscolo svizzero giocò anche qualche partita da rifinitore) l'ha presa malissimo. Al di là del fatto che il mese di assenza fosse dovuto al ricovero per un trapianto del figlio Michael, poi purtroppo morto, Stielike godeva del rispetto assoluto dei giocatori e con loro stava già impostando i piani per Sudafrica 2010. Peccato.
L'allenatore tedesco continua comunque a piacere, anche nei paesi che di sicuro non hanno mai potuto vedere 'L'allenatore Wulff', memorabile serie tv ambientata nella Bundesliga trasmessa dalla tivù svizzera dei tempi che furono e che faremmo di tutto per rivedere. Uno di quelli che avrà il compito più difficile sarà di sicuro Reinhold Fanz, da poco entrato in carica come c.t. di Cuba, la cui unica partecipazione ad una fase finale risale a Francia 1938: vittoria negli ottavi con la Romania, prima di essere arrotati nei quarti dalla Svezia di Wetterstroem e Keller. Il curriculum del 54enne Fanz non è oviamente scintillante: ha guidato l'Hannover in tempi per l'Hannover grigi ed in tempi più recenti il Karlsruher nella Bundesliga 2, senza lasciare grossi segni. L'obiettivo è quello di tutti: per raggiungerlo con una squadra dal valore misterioso ma capace di guizzi (eroica la sconfitta per 2 a 1 contro il Messico nella Gold Cup 2007) a giugno dovrà superare le doppie sfide con Antigua & Barbuda (è una squadra sola). Impresa possibile, per accedere ad un girone a quattro, dove bisognerà classificarsi secondi per andare nel girone per così dire finale della CONCACAF, quello a sei. Abbiamo letto un'intervista di Fanz sul sito della FIFA, in cui l'allenatore nativo di Mannheim parla di stage in Austria e cose del genere, però non bisogna dimenticare i recenti fatti di Tampa (Florida), quando sette giocatori della nazionale olimpica hanno salutato tutti. Ma niente è più come una volta, nemmeno la famiglia Castro.

L'inclusione di Alex Del Piero nell'album Panini di Euro 2008 ha acceso il dibattito sulla possibile ma non certo probabile convocazione di Donadoni, però di sicuro non è una novità che la Panini sia costretta a scommettere su certi personaggi: problemi di stampa e distribuzione, senza contare il marketing (non si può uscire troppo a ridosso della manifestazione), sia nell'era artigianale dei fratelli edicolanti modenesi sia in questa della multinazionale. Da fedelissimi delle collezioni dei grandi eventi, senza più amici con cui fare scambi (per Germania 2006 ci siamo piegati alla richiesta delle mancanti alla casa madre, cosa mai fatta nei trentadue anni precedenti) potremmo citare a memoria le scommesse perse sulla nazionale azzurra nelle grandi manifestazioni: fra le collezioni più sfortunate senz'altro quelle di Usa 1994, (figurine di Panucci, Eranio, Mancini e...Silenzi!) e Francia 1998 (cinque presenti-assenti: Peruzzi, Ferrara, Ravanelli, Casiraghi, Zola), ma ogni anno ha le sue curiosità: su tutte la coppia del gol Pruzzo-Bettega del 1982. Al di là delle scelte della Panini, se parliamo di continuità e non di colpi di classe Del Piero sta giocando come non faceva dal 1998 e Donadoni non avrebbe umanamente niente in contrario alla sua convocazione. Dipenderà fondamentalmente, come ha già scritto Paolo Ziliani, dalla volontà o meno di aggiungere un difensore (Chiellini) o un attaccante alla rosa. La sua storia, già luminosa (World Soccer, l'unica rivista a cui siamo abbonati, lo ha messo al sessantesimo posto nella classifica dei campioni del ventesimo secolo: prima di lui, fra gli italiani, solo Baggio, Baresi, Maldini, Meazza, Paolo Rossi e Zoff), non è comunque ancora finita: non occorre l'effetto Connors per rendersene conto.
stefano@indiscreto.it (appuntamento a giovedì 24 aprile 2008)

mercoledì 16 aprile 2008

Unicredit sempre più presente nel calcio

Liberomercato 16 aprile 2008 pagina 10

Intreccio club-istituti

I doppi incarichi degli sceriffi del calcio italiano

Cesare Bisoni, numero uno Covisoc, è anche
vicepresidente di Unicredit Private Banking

Marco Liguori
Qual è il legame che unisce l’Unicredit alla Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche? In apparenza nessuno: invece un nesso c’è e riguarda il presidente della Covisoc, Cesare Bisoni, riconfermato nell’ottobre 2007 dal consiglio federale Figc dopo la sua prima nomina risalente al 20 novembre 2003. Egli è anche presidente della Commissione di primo grado delle licenze Uefa: sono un requisito obbligatorio per le squadre di serie A, oltre ai piazzamenti in campionato determinati dai regolamenti vigenti, per la partecipazione alla Champions League e alla Coppa Uefa. Stando alle visure della Camera di Commercio, egli è il vicepresidente e membro del comitato esecutivo di Unicredit Private Banking dal 20 aprile 2006 fino all’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2008: quest’ultima, secondo il bilancio 2007 del gruppo bancario guidato da Alessandro Profumo, possiede interamente la Cordusio Fiduciaria. Nelle sue stanze ovattate sono custoditi alcuni misteri dell’italica pedata, come l’azionista di riferimento (al 98%) della Reggina Service, proprietaria del marchio della Reggina Calcio. Quest’ultima possiede anche 2,6 milioni di obbligazioni Unicredit, acquistate nel 2006. Cordusio Fiduciaria detiene il 33,3% della Bs Servizi, una delle due società in cima alla catena di controllo del Frosinone. Inoltre, nella relazione sulla gestione sul bilancio di Unicredit si legge che «entro la fine del primo semestre 2008» nella fiduciaria milanese sarà fusa per incorporazione Romafides. Nella fiduciaria romana è schermato il possessore del 90% della Filmauro, che controlla a sua volta integralmente il Napoli. La visura camerale di Unicredit Private Banking spiega che il consiglio di amministrazione «può delegare al comitato esecutivo poteri propri e attribuzioni ed in particolare ogni potere in materia di concessione di crediti, con facoltà di ulteriore subdelega».
In qualità di presidente della Covisoc, oltre a esercitare secondo l’art.36 dello Statuto Figc «funzioni di controllo sull’equilibrio economico finanziario e sul rispetto dei principi della corretta gestione delle società di calcio professionistiche», Bisoni ha l’obbligo di denunciare eventuali illeciti sportivi. Il dovere è imposto dall’articolo 7 del Codice di giustizia sportiva. Stando alla norma, egli dovrebbe riferire alla Procura federale Figc su comportamenti scorretti di tesserati, anche se soltanto tentati. Ad esempio dovrebbe farlo se dietro il velo, perfettamente lecito per la legge ordinaria, della Cordusio Fiduciaria si nascondesse l’ipotetico trasgressore dell’articolo 16 delle Norme organizzative interne federali, in cui si stabilisce che «non sono ammesse partecipazioni o gestioni che determinino in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica o al campionato organizzato dal Comitato Interregionale». Questa la sanzione prevista per le società nel Codice di giustizia sportiva per la violazione di questa disposizione: almeno due punti di penalizzazione e l’ammenda da 10mila a 50mila euro.
Le visure della Camera di Commercio riportano l’esistenza di intrecci bancari anche per tre membri della Covisoc e della Commissione I grado licenze Uefa. Marco Cardia, figlio del presidente Consob, è anche consigliere di amministrazione della Cassa di Risparmio della provincia di Viterbo che fa parte del gruppo Intesa Sanpaolo: è anche socio al 98% e procuratore della società immobiliare Emmeci Consult. Bruno Rossignoli è presidente della Intesa Sec Npl, società di cartolarizzazione crediti posseduta al 60% da Intesa Sanpaolo e al 40% dall’olandese Stichting Viridis. Domenico De Leo è sindaco di Unicredit Banca: inoltre ricopre anche l’incarico di consigliere della Lbo Italia Investimenti, società finanziaria controllata al 100% da Europe Capital Partners V. Quest’ultima, secondo il Journal Officiel del Lussemburgo, è posseduta dalla Europe Capital Partners V Lp con sede ad Hamilton, capitale delle Bermuda.

La favola gialloblù a rischio

Liberomercato 16 aprile 2008 pagina 10

Bilancio in bilico

L’Hellas Verona davanti al bivio
tra fallimento e nuova proprietà

«In mancanza della certezza della ricostituzione ed adeguamento del capitale sociale per sostenere finanziariamente la gestione, si ritiene non esistano i ragionevoli presupposti di continuità aziendale». Questa frase della relazione del collegio sindacale al bilancio 2006/07, redatta lo scorso 18 gennaio dai tre membri da tempo dimissionari e sostituiti dall’assemblea dei soci il 15 febbraio scorso, testimonia lo stato di gravissima difficoltà in cui versa l’Hellas Verona, retrocesso in C1 nella scorsa stagione. La società scaligera, campione d’Italia nel 1984/85, rischia quindi di diventare l’ennesima vittima eccellente dell’era del calcio a scopo di lucro. Il collegio conclude affermando che «non è in grado di esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio della vostra società alla data del 30 giugno 2007». Nella relazione è spiegato che il Verona, nonostante l’utile di 1,1 milioni di euro, «in considerazione delle perdite accumulate nei precedenti esercizi, si trova nelle condizioni previste dall’articolo 2446 del Codice Civile, avendo le perdite accumulate raggiunto il limite del terzo del capitale sociale». La situazione è grave nonostante la controllante Arilicense, posseduta dall’amministratore unico Pietro Arvedi d’Emilei, abbia provveduto alla parziale riduzione del passivo pregresso per 2,13 milioni. Arvedi ha percepito un compenso di 42.833 euro: il direttore generale ha ottenuto 41.335 euro.
Lo stato patrimoniale presenta crediti per 10,3 milioni e debiti per 12,4 milioni: tra questi, si segnalano 3,99 milioni dovuti alle banche, di cui 3,4 milioni a Unicredit Banca d’Impresa (+1,9 milioni sul 2006/07). In aumento da 195mila a 464mila le somme dovute al fisco: nella relazione sulla gestione si evidenzia la notifica dall’Agenzia delle Entrate di «avvisi di accertamento e irrogazione sanzioni volte al recupero a tassazione Irap delle plusvalenze da vendita calciatori per gli esercizi al 30 giugno 2002, 2003 e 2004». Il Verona ha incaricato un professionista per «proporre atto di adesione e/o ricorso tributario». Nella relazione si accenna anche al «saldo negativo di euro 0,6 milioni» della «gestione finanziaria vera e propria» dovuta «esclusivamente al ricorso al mercato bancario e all’accantonamento a fronte della perdita insita nel contratto derivato Irs». Quest’ultimo fu sottoscritto con Unicredit ed è stato rinegoziato nel corso di maggio «con l’obiettivo di contenere in via definitiva il rischio delle potenziali passività».
Ma. Lig.

lunedì 14 aprile 2008

Quanto è responsabile Moggi per lo sfascio del calcio italiano? (risultati)

Ringrazio le oltre 100 persone che hanno partecipato al sondaggio su Moggi.
Chi lo desiderasse, può sottopormi nei commenti a questo post altri temi per i futuri quesiti.
Questi sono i risultati

Quanto è responsabile Moggi per lo sfascio del calcio italiano?

Sì, è l'unico responsabile (20%)

No, le sue responsabilità sono divise con altri (67%)

Non è responsabile (11%)

venerdì 11 aprile 2008

Aggiornamento: Secco deferito per telefonate a Preziosi, Spinelli per contatti con Moggi (Ansa)

CALCIO:19 DEFERIMENTI,SECCO A GIUDIZIO MA NON PER MOGGI/ANSA
Diciannove tra dirigenti e tesserati federali deferiti alla Disciplinare, otto società a giudizio per responsabilità oggettiva, le posizioni di altri dieci e di Luciano Moggi archiviate: motivo, quell'intrigo di telefonate tra dirigenti di primo piano e sottobosco calcistico con l'ex dg Juve, ma anche le trattative di mercato con Enrico Preziosi, presidente del Genoa inibito a vita, e altro ancora. Tutto uscito dalle carte dell'inchiesta napoletana su Calciopoli2. In primo piano la figura di Alessio Secco, attuale ds della Juve, la cui posizione èstata archiviata dal Procuratore federale Stefano Palazzi per quelle telefonate all'ex 'direttorè Moggi emerse dagli atti della procura di Napoli, e che tanto rumore avevano creato anche all'interno della Juve. Secco è però stato deferito, insieme all'ex vicepresidente Bettega, per aver partecipato con Preziosi alla trattativa con Criscito. Non poteva, perchè il presidente del Genoa era inibito a svolgere qualsiasi attività di dirigente. I nuovi atti di Palazzi sono un coacervo di nomi, situazioni, capi di 'imputazionè. Si comincia dai 10 dirigenti la cui posizione è stata archiviata, nonostante le telefonate con Moggi: sono Roberto Benigni, Mario Beretta, Urbano Cairo, Antonello Cuccureddu, Giovanni Lombardi Stronati, Fabrizio Lucchesi, Giovanni Paolo Palermini, Daniele Pradè, Alessio Secco e Luciano Tarantino. «La normativa federale all'epoca dei fatti - spiega Palazzi - non faceva divieto assoluto di intrattenere rapporti con soggetti inibiti, ma solo di eventuali rapporti finalizzati a un'attività di tesseramento o a condotte a questa direttamente riconducibili». E per Palazzi non era questo il caso, si trattava insomma di telefonate personali.
Chiuso anche il capitolo, al riguardo, su Luciano Moggi, al tempo delle telefonate già inibito per cinque anni e «non soggetto alla potestà disciplinare degli organi di giustizia sportiva». Ma poi, a seguire, una pioggia di deferimenti, ovvero di rinvii a giudizio della giustizia sportiva. È stato rinviato alla Disciplinare il presidente del Livorno Aldo Spinelli: parlò al telefono con Moggi per tesserare come preparatore Giampietro Ventrone, già alla Juve, e deferito anch'egli per lo stesso motivo. Responsabilità oggettiva e deferimento scattati anche per il Livorno. Rino Foschi, ds del Palermo, dovrà rispondere alla Disciplinare dei contatti di mercato con Moggi quando era inibito, e per considerazioni lesive verso dirigenti Coni e Figc. Deferito anche il Palermo. Romano Malavolta, presidente del Teramo, telefonava a Moggi per chiedere di intermediare nella trattativa d'acquisto del Siena, e Camillo De Nicola, dirigente dell'Ascoli, lavorava per mettere i due in contatto (deferiti anche Teramo): deferiti. Claudio Mangiavacchi, all'epoca dei fatti socio di minoranza del Siena, chiamava Moggi per lo stesso motivo, lo voleva come intermediario nella cessione di società (deferito il Siena). Ultimo deferito del capito Moggi, Vincenzo Berardino Angeloni, all'epoca consigliere Siena e ora socio della Pescina San Giovenco: telefonò all'ex dg Juve per tesserare un nuovo allenatore al Siena, club anche per questo deferito in base alla responsabilità oggettiva. Poi c'è il capitolo dei rapporti indebiti con Preziosi, inibito a vita. Palazzi ha deferito il ds Juve Alessio Secco e l'ex vicepresidente bianconero Roberto Bettega (violazione art.1, lealtà sportiva, e art.8, «illecito amministrativo... per informazioni mendaci, reticenti o parziali») per aver intavolato la trattativa per l'acquisto del difensore Domenico Criscito con il presidente Genoa Enrico Preziosi, inibito a vita. Per la stessa trattativa deferiti anche il vicepresidente del Genoa Giambattista Pastorello, al tempo non ancora dirigente del club rossoblù, l'ad del Genoa Alessandro Zarbano e Preziosi stesso, più Juventus e Genoa. A giudizio per aver trattato con Preziosi, su altri giocatori, anche Giorgio Perinetti, ds del Bari e all'epoca dirigente Siena (deferiti al riguardo anche Siena, Genoa e Preziosi) Terzo capitolo emerso da Napoli, per altri illeciti. Deferito Giovanni Lombardi Stronati, ad del Siena: ebbe contatti con Ermanno Pieroni, inibito in via definitiva, per l'acquisti di due calciatori dall'Arezzo. Deferito anche il Siena.
Raffaele Auriemma, dirigente della Nuorese, dovrà rispondere della telefonata al fratello Mario, per far pressioni sul designatore di C Mattei su designazioni favorevoli, e per aver mentito alla procura federale (deferita anche la Nuorese). Deferiti Fabrizio De Poli, già dirigente Lucchese, e Stefano Capozzucca, dirigente Genoa: si incontrarono per una trattativa di mercato nonostante il secondo fosse inibito, e poi negarono alla procura l'incontro. Deferimento anche per il presidente della Lucchese Fouzi Ahmad Hadj, per non aver comunicato il tesseramento di De Poli che lavorava da consulente, e per i due club Ultimo deferimento per Paolo Merestrini, agente Fifa: tra 2006 e 2008 faceva contemporaneamente il procuratore e l'osservatore giovanile per Livorno e Siena.
ANSA 11-APRILE-2008

Secco e Spinelli "rinviati" da Palazzi per telefonate a Moggi (Repubblica.it)

da http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/sport/calcio/calciopoli/calciopoli/calciopoli.html

Rapporti con squalificati
tredici dirigenti deferiti


ROMA - Tredici dirigenti calcistici (fra i quali il presidente del Livorno Aldo Spinelli e il dg della Juventus Alessio Secco) sono stati deferiti dalla Federcalcio per aver intrattenuto rapporti con dirigenti squalificati, come Luciano Moggi ed Enrico Preziosi


CALCIO: RAPPORTI MOGGI; DEFERITI SPINELLI E FOSCHI (Ansa)
ROMA - Diversi dirigenti calcistici, tra i quali spiccano i nomi del presidente del Livorno Aldo Spinelli e del ds del Palermo Rino Foschi sono stati deferiti dal procuratore federale alla commissione disciplinare della Figc per avere intrattenuto rapporti con Luciano Moggi, soggetto inibito dalla giustizia sportiva. La decisione è stata adottata «esaminati gli ulteriori atti di indagine posti in essere dalla procura della repubblica di Napoli».
ANSA 11-APRILE-2008

lunedì 7 aprile 2008

Moggi afferma che nella Juve contava poco o nulla

Ringrazio gli amici e i colleghi che mi hanno segnalato che su You Tube è stato inserita la parte del programma di Antenna 3, "Lunedì di Rigore" dell'ottobre 2006 dove chiedo a Luciano Moggi perché la Juventus sotto la sua gestione incassava in anticipo somme consistenti per la sua gestione. Il video è visibile su http://www.youtube.com/watch?v=XO4aC9XfE7A
Moggi risponde "dribblando" la mia domanda in questo modo: era un semplice direttore sportivo e non partecipava alla stesura dei bilanci. In pratica, ha ammesso di non contare nulla all'interno della società bianconera. Strano, poiché nei documenti contabili della Juventus si afferma il contrario: egli era consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, così come lo erano Roberto Bettega e l'amministratore delegato Antonio Giraudo, e direttore generale. Se non fosse stato così, non avrebbe potuto ricevere l'avviso di garanzia nell'ambito dell'inchiesta per l'ipotesi di reato di falso in bilancio condotta dalla Procura della Repubblica di Torino.
Riporto qui due miei articoli, pubblicati su Liberomercato e su http://www.quotidiano.net/, in cui ho scritto anche degli incarichi di Moggi.


Liberomercato 19 ottobre 2007

Il giallo degli orologi nel bilancio della Juve

Marco Liguori

Ci risiamo. Dopo i celebri Rolex d’oro della Roma, alla Juventus spuntano gli orologi da 2.500 euro ciascuno. Ne dà notizia la relazione preparata dal collegio sindacale in risposta alla denuncia presentata, secondo l’articolo 2408 del Codice Civile, dall’azionista Marco Bava nell’assemblea del 26 ottobre 2006 in cui è stato approvato il bilancio chiuso al precedente 30 giugno. Questo è l’esercizio che in cui sedevano ancora nel cda bianconero, fino al mese di maggio, l’amministratore delegato Antonio Giraudo e il consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, nonché direttore generale, Luciano Moggi. Bava nella sua denuncia aveva chiesto ai tre sindaci juventini di indagare "sulle spese di rappresentanza ed in particolare su quante di queste vanno ricondotte a Moggi e Giraudo, per verificare se queste siano servite per occultare spese ad personam".
Liberomercato è in grado di anticipare le risposte del collegio sindacale, che saranno consegnate in un documento all’assemblea degli azionisti il 26 ottobre prossimo in cui sarà approvato il bilancio 2006/2007. I sindaci hanno esaminato il dossier delle spese di rappresentanza e omaggio che nel bilancio al 30 giugno 2006 ammontavano a 2,9 milioni. Il collegio ha evidenziato che "il 48% di dette spese (1,4 milioni) riguarda omaggi vari di cui 538mila euro materiale Nike, 422mila euro omaggi di valore unitario inferiore a 25,82 euro, 229mila conguaglio biglietti e abbonamenti". Ma c’è una voce molto particolare del dettaglio, riguardante "143mila euro ad orologi del costo medio unitario di 2.500 euro circa". I sindaci non danno indicazioni su chi possano essere i beneficiari dei 57 orologi, non specificando se fossero da polso, da tavolo o da muro.
Il collegio sindacale, per questi regali e le restanti spese, afferma che "non è verificabile una significativa destinazione 'ad personam' delle stesse". "Voglio sapere chi sono gli omaggiati – ha spiegato Marco Bava a Liberomercato – di orologi di valore unitario così elevato. Alla prossima assemblea ripresenterò un’ulteriore denuncia ai sindaci". Sia per gli orologi che per l’operazione di vendita (avvenuta il 30 giugno 2005, ultimo giorno del bilancio bianconero) della sede sociale della Juventus alla Virgiliocinque, da questa poi affittata alla società bianconera, i sindaci ritengono "che non siano emersi fatti censurabili". Il collegio afferma che "il corrispettivo del trasferimento, pari a 15 milioni, è stato versato contestualmente all’atto pubblico, mediante assegni circolari" e fruttò, secondo il bilancio 2004/05 juventino, una plusvalenza di 8,9 milioni. Nella risposta si legge anche che il canone annuo del contratto di locazione (durata 12 anni) è pari "a 1,185 milioni di euro all’anno, salvo che per i primi due anni di durata del contratto per i quali il corrispettivo è, rispettivamente, di 1,0 e 1,1 milioni di euro". Anche questo non ha soddisfatto Bava che ritiene "economicamente censurabile cedere un immobile per 15 milioni ed esserne obbligato a pagare l’affitto per 12 anni. Di fatto è un leasing back, senza la proprietà finale dell’immobile".

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/04/26/8267-juventus_moggi.shtmlGEAWORLD
26 aprile 2007


La Juventus e Moggi

Marco Liguori
Riguardo alla Gea World, la Juventus ha confessato il rapporto d'affari e il conflitto d'interessi tra Moggi padre e Moggi figlio. A pagina 42 del bilancio chiuso al 30 giugno 2006, nel paragrafo dedicato alle operazione con società controllate e altre parti correlate, è stata inserita una nota riguardante la società presieduta da Alessandro Moggi: quest'ultimo ne è tuttora socio al 45% tramite la Football Management. Dopo la messa in liquidazione volontaria votata dall'assemblea del 18 luglio 2006, c'è stato un passaggio di quote Gea dalla General Athletic a Riccardo Calleri, diventato socio al 22,6%, e a Chiara Geronzi, che ne possiede il 32,4%.Nel documento della società bianconera si evidenzia che la Gea "è stata parte correlata fino al 16 maggio 2006, data delle dimissioni dell'ex direttore generale Luciano Moggi".Tradotto dal freddo linguaggio di Borsa, l'espressione "parte correlata" significa che la società di procuratori calcistici aveva un rapporto professionale continuativo con la Juve. La "confessione" dei bianconeri riguarda quindi il rapporto tra Luciano Moggi e l'azienda presieduta da suo figlio Alessandro, terminato, guarda caso, proprio con l'uscita di scena di Moggi senior: entrambi trattavano fra loro la compravendita dei calciatori.Ciò è anche supportato dal dettaglio dei poteri di papà Luciano, specificati minuziosamente nel bilancio al 30 giugno 2005 della Juve.
Oltre ad essere direttore generale, egli era anche consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, così come lo erano l'amministratore delegato Antonio Giraudo e il vicepresidente Roberto Bettega: tutti e tre partecipavano anche alla stesura del bilancio e hanno partecipato a tutte le riunioni del consiglio d'amministrazione. Inoltre lo stesso Cda aveva dato a Luciano Moggi, con delibera in data 4 settembre 2001 e confermata il 28 ottobre 2003, "specifici poteri nell'ambito delle competenze sportive".
Alla Gea World sono stati versati 970 mila euro, per il solo esercizio 2005/06, "in occasione di operazioni riguardanti la gestione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori". Tuttavia la Juventus risulta debitrice verso la Gea per 550mila euro e nei confronti della controllante di quest'ultima, la Football Management, per 110 mila euro.

giovedì 3 aprile 2008

Una banca nel pallone

Liberomercato 3 aprile 2008

L’intreccio tra Unicredit e il mondo del calcio

Dalla Roma al Frosinone: il campionato di Profumo

Marco Liguori
Benvenuti nella "Unicredit league" che conta 10 società di calcio. Attraverso l’esame di bilanci e visure della Camera di Commercio e i prospetti informativi dei club, Liberomercato ha ricostruito i legami diretti e indiretti tra essi e l’istituto guidato dall’amministratore delegato Alessandro Profumo. Essi riguardano l’Italpetroli (esercitante la direzione e il coordinamento sulla Roma), la Lazio, la Juventus, il Verona (vedi box in pagina), il Brescia, il Napoli, la Reggina Service (detentrice del marchio della Reggina Calcio), il Frosinone, l’Udinese e il Genoa.
Italpetroli. Unicredit controlla al 49% il gruppo operante nella distribuzione di prodotti derivati dal greggio facente capo alla famiglia Sensi. L’istituto di credito ha incluso questo pacchetto nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2007 nello schema riguardante le «partecipazioni in società controllate in modo congiunto e in società sottoposte a influenza notevole». Stando all’ultimo bilancio consolidato disponibile di Italpetroli al 31 dicembre 2006, sono 381 milioni i debiti complessivi (-91 milioni rispetto al 2005) che gravano sul gruppo, di cui 343,2 milioni verso le banche (-68,7 milioni). Nella nota integrativa si legge che «l’ammontare dei debiti a breve verso la Banca di Roma (ex Capitalia ora appartenente al gruppo Unicredit) è pari a» 268,2 milioni di cui 267,1 milioni «per scoperti di c/c» e 1,1 milioni «relativi alla quota esigibile entro l’esercizio successivo di mutui concessi da detto istituto di credito».
Lazio. l’altra squadra della Capitale ha reso noto nella semestrale di aver sottoscritto il 13 febbraio scorso con Unicredit Banca d’impresa «in qualità di mandatari d’impresa» un accordo riguardante «tutte le posizioni aperte (finanziarie e non) al 31 dicembre 2007» senza interessi. L’importo complessivo è di 6,68 milioni, «con un risparmio di euro 5,18 milioni da pagare in otto rate trimestrali di euro 0,8 milioni ed una di euro 0,42». La controllata Lazio Marketing e Communication, proprietaria dei marchi e del ramo commerciale, garantisce l’operazione tramite «la cessione degli incassi futuri rinvenienti dai contratti con la Puma Italia scadenti rispettivamente al 30 giugno 2008 e 30 giugno 2012».
Juventus. stando al prospetto dell’aumento di capitale della società bianconera del maggio 2007, «Bayerische Hypo und Vereinsbank – succursale di Milano (gruppo Unicredit)» è stata una delle banche garanti dell’operazione. Nel documento si fa riferimento alla «situazione di potenziale conflitto d’interessi» in quanto la banca del gruppo Unicredit è un finanziatore della Juve. Inoltre, il club ha stipulato con un’altra società della galassia creditizia di Alessandro Profumo, la Locat, «un contratto di locazione finanziaria» sul centro sportivo di Vinovo.
Brescia. Nel bilancio al 30 giugno 2007 della società lombarda vi sono evidenziati tre contratti derivati, senza specificare con quale banca fossero stati stipulati. Il 27 febbraio scorso Liberomercato contattò Attilia Ferrari, procuratore speciale delle "rondinelle", la quale spiegò che l’istituto «è Unicredit Banca». Sono stati sottoscritti un "sunrise swap" nel 2003, con scadenza al prossimo 24 giugno, per un importo di 11,5 milioni di euro, e un "knock in forward" nel 2005 per un milione di dollari Usa, con scadenza al 16 giugno prossimo. In questo giorno terminerà il "currency option" per un milione di dollari, firmato dal Brescia nel luglio di tre anni fa.
Napoli. la società presieduta da Aurelio De Laurentiis è controllata al 100% dalla Filmauro. Il 90% di quest’ultima è detenuto da Romafides, fiduciaria del gruppo Unicredit (che secondo la relazione sulla gestione al bilancio 2007 sarà fusa in Cordusio Fiduciaria), che scherma il reale intestatario. Il Napoli ebbe nel 2004 una linea di fido dall’istituto bancario per 32,1 milioni (rimborsata per 25,1 milioni al 2006/07) per l’acquisizione dei marchi e trofei dal vecchio Napoli fallito.
Reggina. Restando in tema di fiduciarie, il 98% della Reggina Service, proprietaria del marchio della Reggina Calcio, è custodito nelle stanze ovattate della Cordusio Fiduciaria: non è dato sapere il nome del proprietario. Nel 2006 la Reggina Calcio ha acquistato 2,6 milioni in obbligazioni Unicredit.
Frosinone. Cordusio Fiduciaria detiene il 33,3% della Bs Servizi, che è una delle due società in cima alla catena di controllo del club ciociaro.
Udinese e Genoa. i friulani, secondo il bilancio 2006/07, hanno un debito di 6,33 milioni con Unicredit Factoring. Invece, stando al documento contabile al 30 giugno scorso di quella genovese, Unicredit Banca d’Impresa ha garantito con fidejussione bancaria la rateizzazione in 4 anni e mezzo di un debito fiscale da 2,12 milioni relativo all’«anno di imposta 2002».

Troppi crediti da incassare, si rischia di non fronteggiare le uscite

La Padania 28/09/2006

Il collegio sindacale già nel 2004 aveva chiesto agli amministratori una maggiore attenzione

La gestione della Gea? Inefficiente

Marco Liguori

«Il Collegio sindacale aveva richiesto agli amministratori, che ne avevano assunto formale impegno, di pervenire quanto prima ad una più efficace ed efficiente struttura organizzativa e dell’assetto amministrativo-contabile della società». Questa “ammonizione” è stata data dal collegio sindacale al consiglio di amministrazione della Gea World, nel corso della riunione del 12 novembre 2004. I tre sindaci, nella loro relazione allegata al bilancio al 31 dicembre 2005, riportano però che l’efficienza aziendale non è stata raggiunta neppure nel corso dell’ultimo esercizio, precedente alla messa in liquidazione (come anticipato da La Padania il 29 luglio) avvenuta dal 1° agosto scorso. «Ad oggi deve constatarsi che - proseguono i tre professionisti - nonostante lo sforzo profuso dalla direzione aziendale e volto al miglioramento dell’operatività, le procedure interne dell’area amministrativa non si mostrano del tutto adeguate alle esigenze poste dall’accresciuta attività aziendale e necessitano pertanto di ulteriori miglioramenti».Fatta questa premessa, i sindaci hanno svolto un importante rilievo sulla gestione societaria, riguardante i cospicui «crediti nei confronti di calciatori e società calcistiche» vantati dalla Gea. Alla fine dello scorso anno questa voce (registrata come crediti verso clienti) ammontava a 3,87 milioni di euro, tutti esigibili entro l’esercizio successivo, in crescita del 21,6% rispetto ai 3,17 milioni del 2004 e pari a poco meno della metà dei ricavi della società nel 2005 (6,6 milioni). Riguardo alla consistente cifra da riscuotere alla fine del 2005, il collegio sindacale ha evidenziato che si doveva considerare «la difficile situazione economico-finanziaria che caratterizza l’intero settore del calcio professionistico ed il significativo rallentamento dell’attività aziendale a seguito delle note vicende giudiziarie». Ma i tre “sceriffi” societari hanno lanciato anche un preciso monito: «Ove la società nel breve termine non riuscisse ad incassare una congrua parte dei crediti verso clienti non sarà in grado di fronteggiare con fondi propri le uscite programmate». I sindaci sottolinearono che nel caso in cui non fossero stati recuperati i crediti «per garantire la continuità aziendale, dovrà farsi ricorso all’indebitamento bancario e/o all’apporto degli azionisti, poiché il problematico incasso dei crediti potrebbe generare difficoltà nel puntuale adempimento dei debiti verso fornitori e tributari».I nomi dei debitori della Gea non sono noti: in tutti i bilanci dal 2001 sino al 2005 non sono menzionati nomi di calciatori e di società. Di sicuro la Juventus, dove fino allo scorso maggio era direttore generale Luciano Moggi, non è presente nella “lista nera” di chi deve danari alla società di procuratori: infatti, stando ai bilanci 2002/03, 2003/2004 e 2004/2005 del club bianconero, la “galassia Gea” (ossia la Gea World e la sua controllante Football Management) ha introitato una cifra superiore ai 2,8 milioni.Nel bilancio si nota anche che la Gea è stata anche vittima del crack Parmalat. Nella nota integrativa redatta dal consiglio di amministrazione, alla voce “altre partecipazioni” si nota una somma pari a 6252 euro. «Trattasi della partecipazione e warrant della Parmalat spa - si legge nel documento del cda - assegnati alla Gea World per conversione dei crediti da essa vantati, già svalutati in precedenti esercizi». Molto probabilmente, la Gea aveva investito in obbligazioni Parmalat: in seguito ha aderito al piano predisposto dal commissario straordinario della società emiliana, Enrico Bondi, che ha convertito le cifre investite nelle obbligazioni in propri warrant e nuove azioni.

mercoledì 2 aprile 2008

La grande bugia sulla Premier League

di Stefano Olivari

02.04.2008

La vittoria del Manchester United all'Olimpico non ha fornito alcun pretesto agli ultras, più o meno organizzati, che rischiavano di togliere a Roma la finale di Champions 2009, ma scatenerà di sicuro i fanatici italiani di quello che potremmo definire 'Il Partito dei Ricavi'. Un movimento il cui unico credo è che la forza sportiva delle squadre dipenda esclusivamente dalle spese in sede di calciomercato e che quindi si debba incassare sempre di più per spendere sempre di più, innalzando a catena le pretese dei giocatori medi e le commissioni di procuratori in torta con i dirigenti delle società stesse. Mettiamoci l'elmetto per difenderci dal diluvio di editoriali e di interviste sulo strapotere della Premier League, scritti da chi anche solo un anno fa avrebbe deriso Milan e Inter se avesero acquistato Clichy o Arbeloa.

Delle tre sfide che hanno portato all'eliminazione delle italiane dalla fase decisiva della Champions a dire il vero solo l'ultima sembrerebbe portare qualche argomento a supporto della tesi tanto cara a Galliani: nell'esercizio 2006-2007, l'ultimo di cui esista un bilancio completo, il club di Old Trafford ha infatti avuto ricavi per 245 milioni di sterline, cioé circa 307 milioni di euro, mentre la Roma (fonte: Borsa Italiana) ha avuto ricavi consolidati per 162 milioni di euro. In estrema sintesi la più amata squadra inglese ricava il doppio della quinta più amata squadra italiana (dopo le solite tre ed il Napoli), ma se guardiamo agli ingaggi dei giocatori l'analisi si fa ancora più interessante: la società dei Sensi ha un costo del lavoro di circa 75 milioni mentre quella dei Glazer di 133. Insomma, al netto delle situazioni debitorie e delle spese per l'acquisto dei giocatori, per i semplici ingaggi Ferguson può manovrare un budget doppio rispetto a Rosella Sensi.

C'è però un piccolo particolare: la Roma è, come dicono le statistiche in possesso anche della Lega, la quinta squadra italiana per tifo mentre il Manchester United è nettamente la prima inglese ed oltretutto ha 139 milioni di tifosi sparsi in tutto il mondo, di cui 83 milioni in Asia (recente intervista del chief executive David Gill, con stime addirittura prudenziali rispetto a quelle di agenzie di marketing indipendenti). Paragonando più correttamente il club inglese con la prima italiana per seguito popolare, cioè la Juventus, nel suo più recente bilancio disponibile relativo ad una stagione in serie A (quindi la 2005-2006), si nota che nell'ultimo anno della Triade i bianconeri hanno fatturato 252 milioni di euro, all'epoca cifra praticamente identica al fatturato del Man U. Quindi la Roma e le italiane sarebbero penalizzate dai diritti televisivi?

Al bar della Lega, prima di imbeccare i propri uomini, potrebbero magari informarsi: le 'media revenue' del Manchester United, fra Premier League e Champions, nel 2006-2007 sono state pari a 61,5 milioni di sterline (83,4 milioni di euro), tutto compreso cifra inferiore a Juve, Inter e Milan, ed addirittura inferiore agli 88,316 euro della Roma. Non rifacciamo i soliti discorsi su marchandising e cose simili, nel paese del tarocco diffuso non attaccano, e concentriamoci sul teatro della passione dei tifosi, che in teoria sarebbe lo stadio: l'Old Trafford nel 2006-2007 ha generato 92,6 milioni di sterline, circa 116 in euro, mentre l'Olimpico 36,226 euro. Un terzo...Conclusione: dalle tivù, europee e locali, grandi club inglesi ed italiani prendono gli stessi soldi, il merchandising è direttamente proporzionale al numero dei tifosi nel mondo con potenziale di spesa per cose inutili e qui non c'è scampo (il Manchester ne ha cento volte più della Roma, che a sua volta ne ha cento volte più del Chievo), invece per quanto riguarda lo stadio dovrebbe contare solo la città: Manchester, intesa come Greater Manchester (il comune in senso stretto ne ha 440mila) ha circa 2milioni e 250 mila abitanti, mentre Roma con i suoi dintorni viaggia sui quattro milioni e mezzo, il doppio. Il doppio degli abitanti produce quindi un terzo dei ricavi locali?

Non è causata delle tivù cattive la differenza di prospettiva fra i club italiani e quelli di Premier League, ma di chi pensa in piccolo nell'illusione che qualche milione in più da Sky gli cambi la vita. Discorsi validi anche con Totti in campo e con Spalletti non surclassato da Ferguson come è stato, perché la palla è rotonda ed i bookmaker non avevano torto nel dare speranze alla Roma. Per i media è comunque sempre meglio giustificare i fallimenti del campo con la sfortuna, che ci può sempre stare, con i complotti, che almeno i tifosi ottusi ci crederanno, o al limite anche con le colpe di tecnico e giocatori, che tanto sono di passaggio, piuttosto che con l'incapacità dei dirigenti. Almeno di quelli che credono che la colpa sia sempre di Murdoch.
stefano@indiscreto.it
(in esclusiva per La Settimana Sportiva)

martedì 1 aprile 2008

Napoli-Swindon Town, un giorno di ordinaria follia

Questo articolo l'ho scritto poco più di due anni fa per http://www.indiscreto.it/, dopo un demenziale Napoli-Roma di Coppa Italia in cui era accaduto di tutto, grazie alla furia distruttiva di un consistente numero di ultras. E' il brutto ricordo, purtroppo indelebile, della mia prima volta allo stadio San Paolo per assistere a una partita del Napoli. Era la finale del 1970 di Coppa Anglo-Italiana con la squadra inglese dello Swindon Town, terminata con la guerriglia di una parte della tifoseria: all'epoca non esistevano gli ultras, ma la violenza e l'imbecillità gratuita purtroppo sono sempre esistite. Lo ripropongo oggi, dopo l'ennesima uccisione di un tifoso avvenuta domenica scorsa prima di Juventus-Parma.
Per gli amanti della storia (che però continua a non insegnare mai nulla) e consiglio su http://marcoliguori.blogspot.com/2008/03/pompei-nocera-incidenti-e-squalifiche.html la lettura di un celeberrimo passo degli annali di Tacito riguardante gli incidenti tra pompeiani e nocerini dopo uno spettacolo di gladiatori.

Tratto da http://www.indiscreto.it/indiscreto.nsf/ae8140bf6cc31ac3c12569a300629c7f/aebda8cb9d2ede31c12570d40040d542?OpenDocument

Domenica 11 dicembre 2005

Migliorato l'anglo e peggiorato l'italiano

di Marco Liguori

Napoli–Swindon Town, giovedì 28 maggio 1970, finale del torneo Anglo-italiano. Una testimonianza del passato, con la quale si può rammentare che il teppismo e l’imbecillità gratuita allo stadio esisteva già in anni lontani. Questa data è stata purtroppo rimossa dalla memoria collettiva, non solo dei napoletani, ma anche da chi si occupa di calcio: eppure dovrebbe essere ricordata, a causa dei gravi fatti che accaddero in quella occasione, per evitare che si ripeta in futuro. All’epoca non esistevano ancora gli ultras o quantomeno non esisteva nulla di paragonabile al fenomeno odierno del tifo organizzato: fu probabilmente una vera "insorgenza" o, per dirla con Karl Von Clausewitz, una "guerra di popolo". La tifoseria azzurra non era nuova ad esplosioni di violenza: nell’ultima giornata del campionato di 1962/63 di serie A il Modena vinse a Napoli 2 a 0, condannando i partenopei retrocessione in B. Ci fu un’invasione di campo e furono completamente distrutte le due porte. Purtroppo questa demenza collettiva è proseguita ininterrotta fino ai giorni nostri, come ricordano gli ultimi episodi di violenza sui campi nostrani. La mia prima volta allo Stadio San Paolo di Napoli coincise proprio con quella partita maledetta. Ero un bimbo, ma ricordo ogni particolare: era un pomeriggio di tiepido sole ‘e maggio napoletano, un’occasione di festa tra gli striscioni e le bandiere inneggianti al "ciuccio". Rammento bene la forte e dolce mano di mio padre dall’ingresso sino al momento in cui giungemmo alla tribuna. E, non appena seduto, vidi il colpo d’occhio del grande anello del San Paolo: all’epoca della sua inaugurazione (correva l’anno 1957) era stato inizialmente chiamato (non a caso) Stadio del Sole. Secondo le cronache dell’epoca, gli spettatori erano 55mila: la folla attendeva l’incontro con la sua calda passione vesuviana, incitando con cori e canti i propri beniamini, come se fosse stato la finale di Coppa dei Campioni. Ma come avrebbero detto i due famosi padri della moviola, i giornalisti della Rai Carlo Sassi ed Heron Vitaletti, "torniamo un attimo indietro" per capire brevemente come erano arrivate il Napoli e la squadra inglese dello Swindon Town a quella finale, rivelatasi poi sciagurata.

Il torneo Anglo-italiano era stato ideato nel 1969 da Gigi Peronace, calabrese di Soverato, indimenticato talent scout trasferitosi in Inghilterra negli anni ’50, anello di congiunzione tra il calcio del Belpaese e quello britannico. A lui si deve l’arrivo in Italia di campioni del calibro di John Charles, Denis Law, Jimmy Greaves, Joe Baker e Liam Brady. Il suo genio risolse una situazione di imbarazzo per l’Uefa: lo Swindon Town aveva conquistato nel 1969 la coppa di Lega inglese, ma era una società militante nella terza divisione britannica. In teoria, con questa sua vittoria, il club avrebbe dovuto partecipare alla Coppa delle Fiere (la progenitrice dell’attuale Coppa Uefa): ma a causa della sua "bassa militanza" lo Swindon Town non ne aveva diritto. Tuttavia, il traguardo raggiunto dalla società della omonima cittadina (un centro industriale che contava oltre 100mila abitanti a fine anni ’60) posta a 130 chilometri ad ovest di Londra non poteva restare inosservato: fu così che Peronace partorì questa particolare competizione. Alla prima edizione parteciparono sei squadre italiane e sei squadre inglesi, incluse le due vincitrici delle rispettive coppe nazionali: la Roma e, appunto, lo Swindon Town. L’Anglo-italiano non deve confondersi con la Coppa di Lega Anglo-italiana, che prevedeva una sfida con partite di andata e ritorno tra le due vincitrici della Coppa di Lega inglese e della Coppa Italia: nel 1969 l’aveva vinta lo Swindon Town superando la Roma (2 a 1 per i giallorossi all’Olimpico, 4 a 0 al ritorno per gli inglesi). Tra le altre partecipanti, per la parte britannica c’erano il Middlesbrough, lo Sheffield Wednesday, il Sunderland, il West Bromwich Albion e il Wolverhampton. La rappresentanza italiana era composta dalla Juventus, dal Lanerossi Vicenza, dalla Lazio e dalla Fiorentina. La macchinosa formula dell’Anglo-italiano prevedeva tre gruppi composti da squadre di entrambe le nazioni: i risultati conseguiti erano però inseriti in due classifiche distinte, una per le italiane e una per le inglesi. Il regolamento prevedeva un criterio di classificazione completamente differente dal parametro classico dell’epoca, che prevedeva per la vittoria due punti, per il pareggio un punto e per la sconfitta: al punteggio erano sommati anche i gol segnati. Era dunque premiata la squadra che segnava di più. Il primo raggruppamento era composto da Juventus, Napoli, Swindon Town e Sheffield Wednesday; il secondo da Lanerossi Vicenza, Roma, Middlesbrough e West Bromwich Albion; il terzo da Lazio, Fiorentina, Sunderland e Wolverhampton Wanderers. Il regolamento prevedeva che, dopo la prima fase a gironi, si sfidassero in finale le due prime classificate italiana e inglese, sul campo del squadra che avesse ottenuto il maggior numero di punti più gol segnati. Il Napoli, classificatosi primo tra le italiane, aveva conseguito una somma di 14 contro i 13 dello Swindon Town, il primo club inglese: la partita decisiva tra le due si sarebbe disputata al San Paolo il 28 maggio 1970.

Torniamo ora a quella giornata maledetta. Il Napoli aveva già affrontato la formazione inglese: gli azzurri avevano vinto a Swindon 2 a 1 e avevano perso in casa per 1 a 0. Nella formazione partenopea mancavano le due stelle, Dino Zoff e Antonio Juliano: entrambi erano stati convocati in Nazionale dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per i mondiali di Messico ’70. A sostituire in porta il Dino nazionale (in quel periodo riserva di Enrico Albertosi) c’era Trevisan. Ad eccezione dei due nazionali e di Altafini, Hamrin e Barison, il "ciuccio" non aveva grandi nomi nella sua formazione, a causa delle croniche difficoltà economiche. C’erano anche Ottavio Bianchi, che aveva fatto faville nel suo ruolo a centrocampo nel campionato 1969/70 ma non era stato convocato in Nazionale per la spedizione messicana, e Gianni Improta, all’epoca giovane promessa, amatissimo dai tifosi. Gli altri erano erano Floris, Monticolo, Zurlini, Panzanato e Montefusco. Dall’altra parte c’era lo Swindon Town, che, nonostante la squillante vittoria con la Roma nella Coppa Anglo-italiana, restava sulla carta una formazione più debole, considerata la sua perdurante militanza nella terza serie inglese. I suoi undici nomi (Jones, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Smith, Smart, Horsfield, Noble, Rogers) non erano certo al livello dei mostri sacri dell’allora formazione nazionale (come Bobby Moore, Jack Charlton e Geoffrey Hurst) che si accingeva a difendere in Messico il titolo mondiale conquistato a Wembley nel 1966. Eppure, sin dalle prime battute dell’incontro si vide che lo Swindon era una formazione molto agile e compatta: il suo allenatore, Fred Ford, aveva creato un gruppo vincente che dava filo da torcere agli avversari. Il Napoli, oltre alle sue lacune difensive, soffriva la mancanza del suo capitano Juliano, che sapeva guidare il gioco della squadra: mancando il suo faro di centrocampo la formazione napoletana piombò ben presto nella notte più nera. Invece la forza della squadra inglese era evidente proprio nella linea mediana: e così dopo soli 24 minuti Noble segna la prima rete per gli inglesi. La reazione degli azzurri è impacciata e incosistente: all’epoca non erano ancora consentite le sostituzioni, che sarebbero state introdotte ufficialmente ai mondiali messicani. L’allenatore Giuseppe Chiappella non avrebbe potuto quindi porre rimedi dal punto di vista tattico. Viste le premesse del primo tempo non si poteva pretendere che nella ripresa il Napoli potesse fare miracoli: così giunse la disfatta. Lo Swindon Town realizzò altri due gol: al 58' ancora con Noble e al 63' con Horsfield solo davanti a Trevisan: fu il giusto coronamento della netta superiorità della squadra inglese, contro un Napoli formato vacanza da fine stagione. Intanto, sugli spalti la situazione stava progressivamente degenerando. I tifosi montarono una feroce contestazione, che passò dai fischi, dalle urla e dalle invettive lanciati dopo i primi due gol inglesi, alle vie di fatto più vergognose della storia del "ciuccio". Proprio dopo il terzo gol, mio padre intuì quel tremendo clima di rabbia: "Marco andiamo!" esclamò prendendomi ancora per mano, ma stavolta in modo fermo e deciso. Quella decisione improvvisa, ma provvidenziale, mi risparmiò la visione dell’avvilente e denigrante spettacolo che si sarebbe scatenato poco dopo.

Secondo la ricca (e purtroppo unica, tranne qualche accenno sui siti di storia del Napoli) documentazione presente sul sito dello Swindon Town (http://www.swindon-town-fc.co.uk/) a poco più di 10 minuti dalla fine al San Paolo si scatenò l’inferno. Come novelli cavernicoli del XX secolo, i tifosi napoletani divelsero le panche di travertino, dov’erano seduti, poste nella parte bassa delle due curve e dei distinti e le frantumarono in piccoli pezzi: così iniziarono un fitto lancio di pietre verso il campo, accompagnato (come se non fosse bastato) da bottiglie di vetro. Le eloquenti fotografie presenti sul sito del club inglese testimoniano la follia di quei momenti. Fu una sarabanda infernale. Correva il 79° minuto: l’arbitro austriaco Paul Schiller decise di interrompere la partita e mandò subito le squadre negli spogliatoi. Nonostante la pronta disposizione del direttore di gara, Horsfield, autore del terzo gol, fu centrato sulla coscia da una pietra e riportò una brutta ferita. Secondo le cronache dei quotidiani inglesi, il lancio del travertino dagli spalti durò a lungo, anche durante la carica della polizia, che riuscì a domare la rivolta dei tifosi soltanto dopo molto tempo. Intanto, nel "bunker" degli spogliatoi l’arbitro decideva la sospensione definitiva e l’assegnazione della coppa del torneo allo Swindon Town. La battaglia sugli spalti e all’esterno dello stadio proseguiva tra la folla rabbiosa e le forze dell’ordine: alla fine si conteranno 40 feriti tra i poliziotti e 60 tra i tifosi. Le persone arrestate furono 30, quelle fermate 11. Secondo le stime rese note dal quotidiano inglese "The Evening Advertiser" i danni arrecati allo stadio San Paolo ammontarono a oltre 20mila sterline dell’epoca. Terminati i disordini, fu assegnata la coppa dal vice presidente della Figc, Orfeo Pianelli. Sul sito dello Swindon sono presenti anche una serie di fotografie non "bellicose", che ritraggono i calciatori della squadra inglese che festeggiano la conquista della coppa con alcuni napoletani. Ford l’allenatore effettuò un giro del campo con il trofeo: un onore dovutogli, considerata l’elevata qualità del gioco espressa dai suoi ragazzi. Ma la vergogna degli incidenti restava purtroppo indelebile.

C’è da dire che l’abitudine del pubblico napoletano di frantumare i sedili di travertino si è ripetuta anche in tempi recenti. Basta leggere sul sito http://www.grandenapoli.it/ la cronaca del dopo partita di Napoli – Bologna 1-5 del campionato 2000-2001: "Un inferno: la pioggia di pietre ricavate dai sedili di travertino, gli agenti che svolgevano opera di contenimento per evitare la peggio agli spettatori. Cento facinorosi contro circa 150 tra poliziotti e carabinieri". Insomma, questi tristi avvenimenti potrebbero ripetersi ancora. E’ mai possibile che un pugno di "brave persone" possa mettere sotto scacco l’ordine pubblico e cancellare lo splendido spettacolo di un partita di calcio? La storia sembra non insegnare mai nulla: questo paese ha una memoria troppo corta. Non a caso l’8 dicembre scorso, in occasione della partita di Coppa Italia Napoli-Roma, il teppismo ha superato ogni limite, con due "attacchi" mai accaduti finora: negli incidenti del dopo partita sono stati assaltati il commissariato di Polizia e la sede del quotidiano Cronache di Napoli, situati nelle adiacenze del San Paolo. Dopo questi ultimi fatti di "guerra di popolo" viene alla mente una considerazione di tipo economico: come si potrà trasformare gli stadi italiani in strutture polifunzionali, con esercizi commerciali e multisala cinematografiche, se c'è un pugno di teppisti capace di sfasciare tutto? Chi pagherebbe i danni in quei casi? C’è da scommettere che nessuno aprirebbe un’attività commerciale in uno stadio, considerato l’elevatissimo rischio costituito dal potenziale distruttivo degli ultras. Sicuramente, dopo la solita sequela di sdegno e di analisi sociali, anche gli ultimi incidenti accaduti nel capoluogo campano saranno posti in tutta fretta nell’italico dimenticatoio. Come suol dirsi a Napoli: "Scurdammece ‘o passato!".
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il pallone in confusione

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