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sabato 30 maggio 2009

Potere rossonero, gestione no problem











Secondo il bilancio 2008 del Milan, le lettere di "patronage" del gruppo Fininvest emesse a garanzia per la propria controllata consentono di ottenere dalle banche linee di credito commited per 329,9 milioni

Tenete presente molto bene questa percentuale e questa cifra riguardanti il Milan: 99,92973% e 329,9 milioni di euro. Entrambe sono strettamente e indissolubilmente legate tra loro. La prima rappresenta il controllo pressoché totale della Fininvest sulla società rossonera: il collegio sindacale nella sua relazione evidenzia che «esercita l’attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti». La seconda è illustrata nella relazione sulla gestione all’ultimo bilancio chiuso al 31 dicembre 2008, nella parte dedicata ai rischi di liquidità: «la società gode di un adeguato ammontare di linee di credito committed, a fronte di lettere di “patronage” della controllante Fininvest spa per un ammontare di euro 329,9 milioni». E’ spiegata tutta qui la strapotenza del Milan: la holding della famiglia Berlusconi garantisce presso le banche per la sua controllata calcistica per reperire i fondi necessari per far fronte agli impegni, attraverso linee di credito da rimborsare non prima di una data prestabilita. Per capire meglio la portata del “patronage” occorre tradurre la cifra nel vecchio conio: ammonta a 638,8 miliardi di lire. Una cifra enorme che lascia comprendere le spalle larghe che coprono il Milan: competere con una realtà così, è praticamente impossibile per gran parte delle squadre del nostro campionato, che sono costrette a fare i salti mortali per far quadrare i conti. Per meglio dire, per le società appartenenti alla nuova Lega di serie A, nata da poche settimane, destinata ad essere dominata ancor di più della vecchia Lega Calcio (che comprendeva anche la serie B), oltre che dal Milan berlusconiano, anche dall’Inter di Massimo Moratti e dalla Juventus di Casa Agnelli.

I 329,9 milioni coprono dunque le esigenze della società rossonera. Non creano problemi i 76,99 milioni di euro di perdita del Milan spa e i 66,84 milioni a livello consolidato, in netto aumento rispettivamente dai precedenti passivi di 32 e 31,72 milioni. Ci ha pensato “mamma” Fininvest a coprire le perdite con una serie di versamenti in conto capitale. Il “figlioletto” Milan ha bisogno di denaro? E’ presto fatto. Nella relazione sulla gestione si legge infatti che «nel corso del mese di febbraio 2009 l’azionista di maggioranza Fininvest spa, a richiesta della società (ossia del Milan NDR), ha provveduto a concedere un finanziamento oneroso dell’importo di euro 15,0 milioni». Non sono dunque un problema neppure i 110,8 milioni di debiti dell’Ac Milan spa verso le banche e neanche avere dalle società di factoring circa 114 milioni «per anticipazioni di crediti futuri in riferimento a contratti di natura commerciale» come si legge nella nota integrativa. E a proposito di sistema bancario, “no problem” neppure per le fideiussioni emesse per la sontuosa campagna acquisti della scorsa estate: 10,5 milioni per Ronaldinho e 4,5 milioni per Zambrotta. La strapotenza dell’appartenenza alla galassia berlusconiana si nota anche in una voce dei ricavi. Nelle entrate da diritti tv, ammontate a oltre 109 milioni dai precedenti 102, si nota l’incremento di oltre 10 milioni di euro di quelli versati dai contratti con Rti (società del gruppo Mediaset, ossia Fininvest) cui è stata affidata anche la trasmissione del trofeo “Luigi Berlusconi” che fino all’esercizio precedente era a cura di Sky ed è dunque ritornato in famiglia. La stessa Rti ha esercitato nel gennaio 2008 «il diritto di opzione del contratto di licenza del febbraio 2006 relativo ai diritti di ripresa e trasmissione delle partite interne di campionato per la stagione 2009/10». Figuriamoci se non l’avesse fatto: sarebbe stato un evento più unico che raro all’interno del gruppo Fininvest che, ricordiamo, ha sede a Roma, in largo del Nazareno, e non a Segrate come comunemente si pensa.

Ma c’è di più: il rosso di bilancio crea anche una perdita tributaria. Essa, ai sensi della normativa vigente sul consolidato fiscale, crea un beneficio pari a circa il 33% sull’Ires della capogruppo. Stando alla nota integrativa al bilancio 2008 il Milan, consolidato fiscalmente all’interno del gruppo Fininvest, ha prodotto la voce “remunerazione per vantaggi fiscali trasferiti”. Stando al documento, ciò «rappresenta il provento connesso ai vantaggi fiscali trasferiti alla consolidante Fininvest spa, sotto forma di perdite fiscali». Tale vantaggio ammonta a 23,35 milioni: un sostanzioso “aiutino”, autorizzato dalla legge e dunque perfettamente lecito, ancor più cospicuo rispetto ai 13,54 milioni dell’anno precedente.

Di conseguenza, data la potenza del gruppo a cui appartiene il Milan non costituisce una difficoltà anche la riduzione dei ricavi da 257,8 a 218,7 milioni. La differenza con i costi, pari a 307,5 milioni (287,1 milioni nel 2007), è passata a 88,8 milioni dai precedenti 29,29. E non sarà un problema neppure la nuova ripartizione collettiva dei diritti televisivi prevista dalla legge Melandri-Gentiloni, il cui meccanismo è riportato sinteticamente nella relazione sulla gestione, che dovrebbe portare un decremento di questo introito nelle casse del club rossonero e in quello delle altre grandi del calcio nostrano in favore delle piccole. Sempre che non si voglia cambiare questa norma e riportare tutto come prima, con la contrattazione dei diritti tv svolta da ogni singola società con ciascun operatore. Su essa pende il ricorso presentato da Sky nel marzo 2008 presso il Commissario dell’Ue alla concorrenza, Neelie Kroes. Il vicepresidente vicario del Milan, Adriano Galliani, lo commentò così all’Ansa: «secondo noi è il primo in ordine cronologico e altri ne seguiranno anche davanti ad altri organi giurisdizionali». E il proprietario del Milan, Silvio Berlusconi, dichiarò lunedì 10 marzo su Antenna 3, al programma “Lunedì di rigore” condotto da Fabio Ravezzani che «è chiaro che incombe in Italia la possibilità di vedere ridotte le disponibilità delle grandi squadre e quindi ridotte le loro possibilità di competere con i grandi club europei». Il futuro presidente del Consiglio concluse così: «Immagino che bisognerà intervenire in una direzione diversa da quella che è stata ipotizzata dal governo della sinistra». Forse si sta attendendo l’esito del ricorso di Sky per fare la prima mossa.

Marco Liguori

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domenica 24 maggio 2009

Il romanzo della convenzione tra il Napoli e il Comune generoso per lo stadio

Questo è il romanzo, dettaglio per dettaglio, della convenzione stipulata il 7 novembre 2005 tra il Comune di Napoli e la rinata Società sportiva calcio Napoli (denominata fino al maggio 2006 Napoli Soccer) per l'uso da parte di quest'ultima dello stadio San Paolo. Mi sono occupato di questo tema nel 2007 per Quotidiano.net: ora torna di attualità poiché alla fine di questa stagione calcistica l’intesa (che ha valore retroattivo dalla stagione 2004/05) scadrà. Sei mesi prima del suo termine, ossia alla fine del prossimo giugno, la società di Aurelio De Laurentiis avrebbe dovuto spedire una raccomandata a/r per esercitare il rinnovo per altre cinque stagioni "ai medesimi patti e condizioni" come recita l’articolo 4. E vista la generosità del padrone di casa, ossia del Comune, c’è da immaginare che sia l’abbia fatto. Infatti, l’ente non ha preteso l'affitto dall'inquilino per il primo anno e gli ha concesso una forma di pagamento del canone di locazione particolarmente vantaggiosa per gli altri quattro: in più gli ha pagato l'acqua calda, l'elettricità e il riscaldamento e gli ha già messo per iscritto un rinnovo alle stesse condizioni per i successivi cinque anni. La convenzione concede l'uso esclusivo alla società calcistica del terreno di gioco, di gran parte della tribuna centrale e il parcheggio da 250 posti posto nelle vicinanze dello Stadio. Inoltre, il Napoli ha ottenuto anche il servizio bouvette e ristorazione nelle tribune d'onore, vip e autorità: vi è stato inclusa anche l'apertura di spazi commerciali.
Il documento, prima della firma definitiva apposta dal presidente della società azzurra, Aurelio De Laurentiis, e dal dirigente del Servizio Gestione Grandi Impianti Sportivi del Comune di Napoli, Bruno Giacomo Pierro, è stato oggetto di lunghe trattative tra il Napoli e l'ente locale. Al termine di queste, la prima Giunta del sindaco Rosa Iervolino Russo, con il voto favorevole di 14 assessori su 17 (tre assenti), deliberò il 4 marzo 2005 il testo della convenzione. Il Consiglio Comunale approvò il 28 giugno 2005, con una serie di emendamenti, il documento definitivo alla presenza di 34 consiglieri su 60. In quella seduta si registrarono assenze eccellenti di alcuni esponenti di rilievo della politica napoletana: come quella del leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, di Gennaro Migliore, allora consigliere di Rifondazione Comunista, e di Antonio Martusciello, esponente di spicco di Forza Italia. Il documento passò con una larga maggioranza bipartisan tra centrodestra e centrosinistra: gli unici a votare contro furono Alessandro Fucito e Raffaele Carotenuto di Rifondazione comunista. Si astennero il presidente del Consiglio Giovanni Squame e il consigliere Antonio Funaro. Nel verbale dei lavori che accompagna il testo sottoposto all'approvazione si nota un certo nervosismo: votare contro o astenersi significava assumersi la responsabilità politica di non far giocare il Napoli nello stadio di proprietà comunale.
Durante le dichiarazioni di voto finale, ci fu un "mal di pancia" tra le fila di An: il consigliere Vincenzo Moretto preannunciò "il voto contrario del gruppo di An". Ribattè subito il capogruppo Pietro Diodato affermando che "i consiglieri Laboccetta e Moretto parlano a titolo personale, i vertici di An sono a favore del provvedimento". Non sembrava troppo convinto della convenzione Ciro Fiola dello Sdi: nel verbale è riportato "sostiene che voterà a favore soltanto per disciplina di maggioranza".
Stando al testo della convenzione, il Napoli dovrà versare un canone al Comune a seconda del campionato in cui milita: il 3% in serie C, il 4% in serie B, il 6% in serie A. La quota è elevata dello 0,5% nel caso in cui il Napoli rilevi il servizio di bouvette dell'intero stadio, per effetto della scadenza dell'attuale concessione. Le percentuali valgono singolarmente sia per i biglietti venduti in ciascuna partita, che per gli abbonamenti stagionali venduti. Ma qui c'è il primo atto di generosità del padrone di casa. "Per incassi netti si intendono gli introiti derivanti – si legge nella convenzione – dalla vendita di biglietti unitari a pagamento al netto dell'Iva, dei diritti Siae, dei diritti di prevendita, dei costi di biglietteria e di controlleria, della percentuale spettante alla squadra ospite, della percentuale spettante alla Lega Nazionale Figc ed eventualmente all'Uefa e alla Fifa". Ciò vuol dire che il Comune, proprietario dell'impianto, è l'ultimo creditore ad essere soddisfatto sugli incassi totali: ottiene soltanto le rimanenti briciole. Le stesse tipo di percentuali e modalità di calcolo sono state accordate anche per gli abbonamenti, con in aggiunta tre tetti massimi di 25mila, 50mila e 100mila a seconda del campionato disputato.
Torniamo un attimo indietro. L'attenzione cade sul preambolo della delibera di Giunta in cui si fa accenno alla "bozza di convenzione inviata dalla Napoli Soccer e ricevuta in data 28/2/2005". In essa, la società presieduta da De Laurentiis aveva evidenziato 11 richieste. A questo proposito, l'amministrazione Iervolino rispose che "ritiene di dover procedere all'approvazione dello schema di convenzione, così come inizialmente concordato tra le parti, senza tenere conto delle ulteriori richieste avanzate dalla Napoli Soccer, che giammai possono essere accolte in quanto lesive degli interessi di cui l'ente è portatore". Peccato che, come si evince dalla successivo testo della delibera, la Giunta ha accettato sette proposte della società azzurra. Il primo punto accettato dal Comune riguarda la "rinunzia per i corrispettivi dovuti" relativi ai canoni, "dovuti fino alla sottoscrizione del contratto, non deve essere per il periodo intercorrente fino alla firma del contratto, ma solo per la stagione in corso 2004/05". Invece, la Giunta aveva deliberato che "espressamente rinuncia ai corrispettivi che fino alla data di sottoscrizione risulteranno dovuti a qualsiasi titolo dalla Napoli Soccer per l'utilizzo dell'impianto": un emendamento in Consiglio ha riportato all'originario testo voluto dal Napoli. Ma c'è di più: il Napoli ha ottenuto gratuitamente lo stadio per tutta la stagione 2004/05, in cui militava in serie C1. Infatti, l'articolo 7 della convenzione prevede che "qualunque imposta e/o canone sulla pubblicità, qualora la squadra calcistica della Napoli Soccer militi nel campionato di serie C, resta definitivamente assorbita, e quindi virtualmente assolta, nel corrispettivo di concessione". Siccome quest'ultimo per il 2004/05 non era dovuto, ne consegue che la società presieduta da De Laurentiis non ha versato un solo euro al comune. Ma c’è di più. Ai sensi dell'articolo 14 della convenzione, il Comune ha posto a suo carico la manutenzione ordinaria e straordinaria e la pulizia delle parti non concesse in uso esclusivo alla società azzurra. L'ente si è assunto anche l'onere della derattizzazione e bonifica, l'erogazione dell'acqua calda, dell'energia elettrica e del riscaldamento "dell'intero compendio immobiliare".
Riguardo alla gestione della pubblicità in serie B e in serie A, il Napoli deve rispettivamente al Comune "l'importo forfettizzato di 25.000 euro per ciascuna stagione calcistica" e "la corresponsione di un importo pari al 4% degli introiti del concessionario per la vendita unicamente della pubblicità fissa con un minimo garantito di 45.000 euro all'anno".
Il club azzurro aveva richiesto "l'esclusione dal calcolo di quota percentuale del corrispettivo al Comune di Napoli alla Napoli Soccer di importanti spazi destinati alla pubblicità fissa (maxischermi panoramici sugli spalti e pubblicità all'interno delle aree coperte)". Ciò è stato accettato in gran parte nell'articolo 7.5 della delibera di Giunta, modificata dal Consiglio comunale solo in un punto. Nel testo si prevede che, dal calcolo del 4% previsto per la militanza in Serie A resti esclusa la vendita della pubblicità nelle aree coperte del San Paolo, compresa anche quella proiettata sui maxi schermi panoramici che, secondo l'emendamento consiliare, avrebbero dovuti essere installati dal Napoli "entro e non oltre l'anno solare in corso", ossia quello di firma della convenzione. Degli schermi finora non c'è traccia. Dal calcolo del 4% restano escluse "tutte le entrate del concessionario per sponsorizzazioni a qualunque titolo" e anche "la vendita di tutta la pubblicità al di fuori degli impianti pubblicitari fissi allestiti o allestendi nelle aree scoperte poste all'intero dello stadio San Paolo".
La società azzurra ha avuto anche un altro grazioso regalo. Esso riguarda il fatto che "sono espressamente escluse ed esentate dal pagamento di qualunque imposta o canone sulla pubblicità le partite di calcio organizzate dalla Fifa, dall'Uefa e quelle organizzate, anche nell'ambito di minitornei, con il patrocinio del Comune di Napoli, tanto che sia impegnata la squadra calcistica della Napoli Soccer quanto non lo sia, così come pure le partite che dovessero giocare nell'impianto squadre di calcio rappresentative Nazionali". Quindi se il Napoli dovesse partecipare alla Coppa Uefa o alla Champions League non dovrà pagare le imposte sulla pubblicità al Comune.
Il Comune ha anche accettato l'installazione "da parte del concessionario di tabelloni e/o rotor e altri impianti pubblicitari di qualunque natura e genere ovunque all'interno dell'impianto, anche sulla pista di atletica leggera e su qualunque struttura degli spalti ad essi attigua". Inoltre, le parti hanno convenuto che nulla è dovuto dal Napoli (che lo ha espressamente richiesto) per lo sfruttamento mediatico dell'impianto.
Il Ragioniere generale del Comune, Maria Rosaria Nedi, in una sua lettera del 19 aprile 2005, indirizzata al dirigente del Servizio segreteria della Giunta, segnalò una serie di perplessità riguardo alla proposta di convenzione da poco approvata dalla Giunta Iervolino. In particolare, il Ragioniere segnalò che il dirigente del Servizio grandi Impianti Sportivi, Bruno Giacomo Pierro, aveva evidenziato che "dalla convenzione derivano minori entrate rispetto a quelle derivanti dalla convenzione con la Società Sportiva Calcio Napoli", ossia con il vecchio Napoli fallito nel 2004. Inoltre, sottolineava all’epoca la massima dirigente contabile, "in relazione alle spese che derivano dalla proposta è necessaria che venga assicurata la stessa copertura", poiché per il Ragioniere generale non è possibile "procedere alla compensazione con le entrate, come previsto all'articolo 12.2 dello schema di convenzione". Considerate le caratteristiche della convenzione, c’è da chiedersi se alla Corte dei Conti e agli altri organi preposti al controllo sugli atti comunali conoscono il contenuto di questa convenzione.
Marco Liguori
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sabato 16 maggio 2009

Liga spagnola, la corrida dei debiti

Secondo uno studio dell'Università di Barcellona, le cifre dovute dai 20 club della massima serie nel 2007/08 hanno raggiunto i 3,44 miliardi di euro. Una situazione preoccupante, che nei prossimi anni è destinata ad aumentare e selezionerà le poche società che hanno i mezzi per sostenere le passività

Debiti per 3,44 miliardi di euro (+23,9%), conto economico costi-ricavi in perdita per 239 milioni peggiorato dai precedenti 112 milioni, risultato finale salvato dal forte incremento delle componenti straordinarie (+134%). E’ questa la fotografia impietosa del quadro economico/finanziario delle 20 società della Liga spagnola relativo all’esercizio 2007/08, preparato dal professore José Maria Gay de Liébana, titolare della cattedra di Economia finanziaria e contabilità presso l’Università di Barcellona, che ha concesso in esclusiva a "il pallone in confusione" il suo studio. Il quadro resta molto preoccupante, nonostante la fiscalità complessiva (tanto celebrata in Italia dai dirigenti calcistici) sia rimasta a livelli contenuti: l’anno scorso l’imposta sui ricavi societari ha raggiunto 7,38 milioni, contro i 7,5 milioni dell’esercizio precedente. A ciò si aggiunge che sulle 20 società del massimo campionato, appena la metà ha chiuso in utile: risultato ottenuto in quasi tutti i casi alle componenti straordinarie (in genere plusvalenze da cessione calciatori o di immobili). Dove risiede dunque il problema? E’ nella massa debitoria, salita da 2,78 a 3,44 miliardi, e negli alti costi, incrementatisi da 1,38 del 2006/07 a 1,62 miliardi del 2007/08. Per ora, i debiti sono ancora coperti da 3,79 miliardi di attivo patrimoniale: ma non è detto che si possa reggere all’infinito una politica di spese a incremento costante che fa vivere molti club al disopra delle proprie possibilità. Come nel resto d’Europa occorrerebbe un taglio dei costi: ma anche i dirigenti iberici, come i loro omologhi europei non vogliono sentire ragioni al riguardo. Almeno per ora.
Anzi, in Spagna è sempre più evidente la differenza tra i grandi club che possono sostenere il macigno delle passività e quelle che non riescono. Un esempio: nel 2007/08 il più alto fatturato della Liga, quello del Real Madrid (365,85 milioni), è superiore di circa 67 volte a quello del più basso (ossia dell’ultima in classifica) il Levante (5,50 milioni). Con questo tipo di situazione, il campionato iberico è sulla linea degli altri omologhi europei: le squadre con azionisti potenti alle spalle potranno sopravvivere e indebitarsi per acquistare gli assi del pallone, le altre pian piano spariranno. Per dare un quadro ancora più chiaro dei rischi che corre la massima serie spagnola esaminiamo lo stato debitorio. Lo studio del professor Gay evidenzia che nella scorsa stagione la squadra più indebitata era il Real Madrid con i suoi 562,78 milioni: il club dei "Galacticos" è andato in orbita rispetto ai 527 milioni dell’anno precedente (+7%). Seguono i dirimpettai dell’Atletico Madrid con 510,86 milioni (+18,7%). Un preoccupante balzo in avanti del 76% lo ha compiuto il Valencia, terzo in questa classifica poco edificante: la società ha toccato la preoccupante cifra di 502,34 milioni. Al quarto posto si trova il Barcellona con 437,79 milioni di somme dovute (+12,6%).
Analizzando la differenza ricavi-costi si nota che soltanto due società, Real Madrid e Barcellona, presentano un dato positivo: rispettivamente di 14,23 e 16,16 milioni. L’Atletico Madrid presenta il dato peggiore con una perdita di 46,51 milioni: invece al Valencia le uscite hanno superato le entrate di 44,22 milioni. Significativo il dato dell’ultima in classifica dello scorso torneo, il Levante: la società aveva appena 5,50 milioni di ricavi contro 26,25 milioni di costi, per una differenza negativa di 20,75 milioni. Le componenti straordinarie per 22,77 milioni hanno consentito di chiudere in utile per 200mila euro. Insomma, lo scenario è quello comune a tutta l’Europa: finché il pallone va, lo si lasci rotolare.
Marco Liguori
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venerdì 15 maggio 2009

Calciopoli: ammessi 50 testi per Pm e Moggi

La nona sezione del tribunale di Napoli si è pronunciata oggi sulle richieste di ammissione delle prove avanzate dai pm Beatrice e Narducci e dai difensori degli imputati del processo di 'Calciopolì. Il tribunale ha, tra l'altro, ammesso l'acquisizione delle intercettazioni telefoniche e dei tabulati relativi alle conversazioni avvenute utilizzando le schede sim estere che l'ex dg della Juventus Luciano Moggi avrebbe fornito ad arbitri e designatori. I giudici hanno stabilito che dovranno essere ascoltati 50 dei testimoni indicati dai pm e 50 dei testi indicati da Moggi (entrambe le parti avevano presentato una lista più nutrita). In ogni caso, se nel corso del dibattimento, si rendesse necessario l' interrogatorio di altri testi, il tribunale si è riservato di valutare le richieste. Il tribunale ha ammesso inoltre oltre una cinquantina di testi indicati dai legali degli altri imputati. Il processo riprenderà il 19 maggio prossimo. L'udienza sarà dedicata in particolare all'esame dei primi due testi: Romeo Paparesta, padre dell'arbitro Gianluca Paparesta e Armando Carbone, coinvolto nel primo scandalo del calcio scommesse degli anni '80.
Fonte: Ansa

lunedì 11 maggio 2009

Calciopoli: Beatrice e Narducci chiedono 5 anni per Giraudo

I pubblici ministeri Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci hanno chiesto 11 condanne nei confronti degli imputati di Calciopoli che vengono processati con rito abbreviato davanti al gup Eduardo De Gregorio. La condanna più pesante, a 5 anni di reclusione, è stata chiesta per l'ex amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo. «Il pm ha iniziato il processo e nel suo ruolo è logico che lo concluda con una richiesta di condanna. Questa richiesta peraltro è priva di elementi di sostegno e basata soltanto sull'interpretazione congetturale di qualche normalissima telefonata tra persone che seguono il calcio». Lo ha detto l'avvocato Massimo Krogh, legale dell'ex amministratore delegato della Juventus Antonio Giraudo, commentando la richiesta di condanna avanzata dai pm nel processo di calciopoli che si svolge con rito abbreviato. «Il fatto stesso che il pm abbia discusso 12 ore solo per la posizione di Giraudo - ha aggiunto Krogh - è significativo di quanto sia faticoso ed in salita il percorso dell'accusa».
Giraudo è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Due anni di reclusione sono stati chiesti per l'ex presidente dell'Aia, Tullio Lanese. Queste le altre richieste di condanna. Per quanto riguarda gli arbitri, tre anni e 6 mesi per Tiziano Pieri, due per Stefano Cassarà, Paolo Dondarini e Marco Gabriele, un anno e quattro mesi per Domenico Messina e Gianluca Rocchi. Sul fronte assistenti, c'è la richiesta di tre anni per Duccio Baglioni, uno Giuseppe Foschetti e Alessandro Griselli.
Fonte: Ansa

giovedì 7 maggio 2009

Arrestato il presidente della Pro Patria

È stato arrestato da militari della compagnia della Guardia di finanza di Busto Arsizio Giuseppe Zoppo, presidente della società calcistica Pro Patria, che milita in prima divisione, subentrato nella gestione della società dal luglio 2008. L'accusa è di bancarotta fraudolenta. Le indagini delle Fiamme gialle bustesi erano iniziate qualche mese fa, su delega della locale procura della Repubblica, nell'imminenza del fallimento della Pro Patria, in seguito alle proteste dei giocatori della squadra per il mancato pagamento delle loro retribuzioni, nonchè debiti contratti dalla società calcistica, rimasti insoluti. Approfondimenti investigativi, effettuati tramite acquisizioni ed analisi documentali, nonchè accertamenti finanziari ed assunzioni di testimonianze da parte di persone informate sui fatti, hanno consentito di delineare un quadro preciso delle «anomalie gestionali», che avevano condotto la società sportiva allo stato di insolvenza, realizzate nel corso dell'ultimo trimestre del 2008. Da quanto si è appresso, sarebbero state rilevate, in particolare, plurime condotte fraudolente, addebitabili al presidente Zoppo, commesse attraverso sottrazioni di denaro e risorse finanziarie dalle casse sociali, effettuate senza valide giustificazioni, riguardanti, tra l'altro, i proventi derivanti dagli abbonamenti e dagli incassi delle gare casalinghe, nonchè somme pagate dagli sponsor.
Secondo quanto accertato dalla Guardia di finanza, il presidente Zoppo si sarebbe anche appropriato indebitamente di somme incassate dalla società, per conferimenti relativi all'acquisizione di quote del capitale, prelevate senza valide ragioni dal conto corrente dove erano state depositate ovvero di somme percepite direttamente, per lo stesso motivo, e trattenute in parte consistente, versando solo il residuo nelle casse sociali. Inoltre di fondi da vari conti correnti societari, tramite distrazioni ripetute nel tempo per finalità esclusivamente personali, di denaro contante o di assegni circolari tratti direttamente a proprio vantaggio ovvero intestati a società ad egli stesso riconducibili. In questo contesto sarebbe emerso anche che Zoppo era riuscito ad ottenere, da una banca locale, un'apertura di credito in conto corrente per un importo di 450.000 euro, mediante la garanzia di titoli, ottenuta raggirando una persona (sua ex collaboratrice) inconsapevole della finalità della manovra. Su quel conto, si erano accumulati, successivamente, debiti insoluti per un importo pressochè pari al fido ottenuto. Per ritardare la scoperta dello stato di dissesto al quale veniva gradualmente avviata la società calcistica, ed ottenere ancora credito dalle banche, aveva emesso due fatture relative ad operazioni inesistenti, ammontanti, complessivamente, a 840.000 euro, simulando, così, l'esistenza di correlati crediti. L'importo totale delle distrazioni di fondi accertato è pari a 330.000 euro. Sono state accertate, infine, violazioni tributarie, in capo alla società sportiva, connesse ad omessi versamenti di ritenute fiscali per un importo di 177.000 euro, e omessi versamenti di Iva per 165.000 euro.
Fonte: Ansa

Roma e Italpetroli: smentiamo interesse Angelini

L'As Roma e Italpetroli non hanno mai ricevuto alcuna manifestazione di interesse da parte di Francesco Angelini. A precisarlo in una nota congiunta sono l'As Roma e Italpetroli. Italpetroli, «nella sua qualità di controllante indiretta di As Roma e congiuntamente a quest'ultima», si legge nella nota, «precisa di non aver mai ricevuto, nè direttamente, nè indirettamente, alcuna manifestazione di interesse da parte di Francesco Angelini, avente ad oggetto la propria partecipazione in As Roma, nè alcun contatto anche telefonico è intercorso con tale imprenditore».
Fonte: Adnkronos

mercoledì 6 maggio 2009

Piccoli azionisti Lazio: «Vogliamo chiarimenti sul contratto con Al Sadd per Zarate»

L’avvocato del Comitato ha scritto al Consiglio di sorveglianza per avere lumi sull’eventuale acquisto definitivo del giocatore argentino. Ciò anche alla luce di una serie di dichiarazioni discordanti del presidente Lotito

Il Comitato piccoli azionisti della Lazio ha chiesto chiarimenti al Consiglio di sorveglianza della società biancoceleste sulla vicenda Zarate. In una lettera spedita lo scorso 4 maggio l’avvocato Massimo Rossetti, legale del Comitato, ha chiesto lumi all’organismo di controllo societario. Ciò a causa delle «dichiarazioni pubbliche, riportate dagli organi di informazione, rilasciate dall’attuale Presidente e, anche indirettamente, maggiore azionista, Dr.Claudio Lotito, della Società che sul calciatore Mauro Zarate la Lazio vantava e può vantare il diritto unilaterale di convertire il prestito a titolo oneroso del giocatore per la stagione sportiva 2008-2009 in acquisizione definitiva mediante il versamento alla Al Sadd, società titolare del cartellino del calciatore, entro una data concordata e prestabilita, di una somma, anch’essa concordata e prestabilita».
Secondo l’avvocato Rossetti ciò contrasta con altre dichiarazioni rilasciate dallo stesso Lotito. Nella lettera al Consiglio, se ne sottolineano tre aspetti. Nel primo il presidente della Lazio evidenzia «la necessità di dover "rinegoziare" con la società Al Sadd l’acquisto definitivo di Zarate». Inoltre, sempre secondo Rossetti, Lotito ha sottolineato «la necessità di "approfondimenti tecnico-giuridici che devono essere sviluppati"». Infine, il legale afferma che lo stesso Lotito ha spiegato agli organi d’informazione dell’«esigenza di dover ricorrere all’attivazione di una clausola di risoluzione unilaterale anticipata a favore del calciatore contenuta nel contratto tra quest’ultimo e l’Al Sadd, i cui oneri, ben maggiori di quelli previsti in virtù degli asseriti accordi tra la società araba e la Lazio, sarebbero a carico di quest’ultima». E a proposito di questi eventuali oneri che peserebbero sulle casse della società biancoceleste, Rossetti afferma che «non è chiaro, peraltro, se e come tali oneri e quelli concernenti l’ingaggio del calciatore siano compatibili con i limiti di spesa ( i cosiddetti "paletti") a suo tempo autoimpostisi dalla Società per far fronte agli impegni assunti con l’Agenzia delle Entrate».
Di conseguenza, il Comitato richiede urgentemente «un intervento di codesto Consiglio che, nell’esercizio dei poteri-doveri ad esso attribuiti, chiarisca e comunichi tempestivamente e formalmente, a beneficio di tutti gli azionisti e del mercato, la precisa, reale, effettiva esistenza, consistenza e natura dei diritti contrattuali della Lazio sul giocatore Zarate, così come riscontrabili dagli accordi stipulati nel giugno 2008 con la Al Sadd». L’avvocato Rossetti spiega che i diritti contrattuali emergenti dal contratto del giocatore argentino «non sono riscontrabili dai dati di bilancio e, più in generale,dalle comunicazioni ufficiali della Lazio sinora disponibili». Il chiarimento è dovuto, conclude il legale, poiché essendo la Lazio quotata in Borsa, «la diffusione, in specie se da fonte societaria, di informazioni, voci e notizie rilevanti e price sensitive, come quelle nel caso di una società di calcio, relative a diritti su giocatori, non rispondenti al vero o fuorvianti è vietata e sanzionata» dal Testo Unico sulla Finanza.
Marco Liguori
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lunedì 4 maggio 2009

Una terapia d'urto in 10 punti per la Juventus

Riceviamo e pubblichiamo da Ju29Ro

Lo Ju29roTeam ritiene che per la Juventus non ci sia molto tempo da perdere. E' necessaria una correzione di rotta. Per salvare il salvabile e per ripartire da quello che ancora è rimasto di spendibile in Corso Galileo Ferraris. Ecco dunque l'importanza di individuare 10 punti fermi da cui partire per la rinascita del club e della sua leggenda.

LA PROPRIETA': John Elkann e la sua corte stiano lontani dalla Juventus. Ripristinare gli accordi che furono stipulati, purtroppo solo verbalmente, nel 1994 tra Umberto e Gianni Agnelli. La Juventus venga supervisionata e gestita dal ramo umbertiano della Famiglia. Si prenda in considerazione l'ingresso di un socio "industriale", che possa portare risorse finanziarie fresche da destinare agli investimenti sulla gestione sportiva allo scopo di ritornare velocemente a primeggiare in Italia e in Europa, con il conseguente miglioramento della percezione del brand verso sponsor e tifosi.

LA SOCIETA': Cambiare gran parte del Consiglio di Amministrazione. Portare il CdA da otto a nove (o a sette) elementi, di cui almeno due esperti di calcio e almeno uno espressione degli azionisti di minoranza. Sostituire Cobolli&Gigli, Secco, Fassone, Gattino. Ultima chance per Blanc, ma solo come Amministratore Delegato. Pensi alle carte e allo stadio e stia al suo posto, cioè dietro la scrivania. Assumere un Direttore Generale ESPERTO, che sia anchesso membro del CdA, e che si occupi di mostrare denti e muscoli all'ambiente esterno e interno all'occorrenza. Una persona non arrogante, ma con le palle. In tutti i sensi.

I BILANCI: Appoggiare Platini e la sua battaglia contro il doping amministrativo. Richiedere a gran voce che le valutazioni di merito per le iscrizioni alle competizioni, nazionali ed internazionali, vengano fatte anche con criteri che pongano sotto la lente eventuali episodi di finanza creativa. Creare un dibattito intorno alla necessità che le squadre di calcio non debbano spendere più di quanto incassano, anche se le perdite fossero sostenute, in ultima analisi, da ricchi babbei. 

LO STAFF TECNICO: Assumere un tecnico vincente che abbandoni il low profile e i camaleonti solidi di Ranieri. Accertarsi che il suo staff sia all'altezza di una squadra come la Juventus. Cacciare Castagnini e ricomporre un network di osservatori che non siano scarti del Piacenza. Se dovesse rimanere, Secco si dia da fare per imparare a fare il Direttore Sportivo. Qualcuno lo avvisi che per parlare con Moggi non c'è solo il telefono.

LA COMUNICAZIONE: Assumere urgentemente un Responsabile della Comunicazione che sappia cosa significa comunicare. Riunire TUTTI i tesserati e IMPORRE il divieto di pronunciare frasi che ricordino la circostanza che "solo due anni fa eravamo in B". Istruire i dirigenti, attuali e futuri, sul fatto che alla Juventus si può ridere solo in vacanza e dopo aver vinto qualcosa. Ridurre al minimo le interviste sia degli atleti che dei dirigenti. Parlare meno e concentrarsi di più. Evitare assolutamente di mostrarsi in atteggiamenti subalterni verso squadre di pari o inferiore rango. Cancellare la parola ESPIAZIONE, sostituirla con ORGOGLIO. Abolire la distribuzione allo stadio della Gazzetta dello Sport prima delle partite casalinghe. Querelare immediatamente i giornalisti o chiunque pronunci falsità o concetti lesivi della reputazione della Juventus e dei suoi tifosi.

IL MERCATO: Evitare le trattative estenuanti, riportate da tutti i giornali. Riservatezza sugli obiettivi. Tenere a distanza i giornalisti sull'argomento. Comprare campioni affermati, oppure giovani di grandissimo potenziale. Stare lontani da atleti convalescenti oppure logori. E, nei limiti del possibile, anche dai parametri zero. In pratica prendere un Direttore Generale che sappia di calcio e lasciarlo lavorare tranquillo. 

I CALCIATORI: Punire pesantemente i giocatori che vìolino il segreto dello spogliatoio, o che si rendano protagonisti di episodi di intolleranza nei confronti del tecnico o dei dirigenti. Chiarire ex-ante che TUTTI possono essere sostituiti e che un gesto di stizza significa farsi 5 giornate in tribuna. Imporre ai giocatori più contegno nell'imminenza delle partite e soprattutto nei rapporti con tesserati di altre squadre. Chi ostenta risate e scherzi dopo una sconfitta va punito: non è lo smile il problema, ma lo diventa se si ride quando c'è da piangere. Evitare tassativamente che i tesserati vadano in trasmissioni televisive di intrattenimento durante tutta la stagione ufficiale. Multe, pesantissime, per chi parla troppo e si allena poco. Forte multa per i tesserati che si fanno espellere per proteste o atti irriguardosi nei confronti dell'arbitro, fino ad arrivare alla risoluzione del contratto nei casi di recidiva plurima.

GLI ARBITRI: Pretendere l'applicazione imparziale dei principi base del regolamento del gioco del Calcio. Non aver paura di alzare la voce per sostenere gli interessi della squadra e indirettamente degli azionisti. In casi estremi, minacciare il ricorso alla magistratura ordinaria.

LA MEMORIA: Ripristinare la memoria storica degli anni dal 1994 al 2006. Riabilitare mediaticamente i signori Moggi, Giraudo e Bettega. Attrezzarsi psicologicamente e amministrativamente a richiedere la restituzione dei due scudetti sottratti con un procedimento anticostituzionale nel 2006. Togliere i due asterischi dalla bacheca del Sito Ufficiale. Rimuovere dalla sala trofei la Coppa Zaccone e fonderla, facendone attaccapanni per il nuovo stadio.

I TIFOSI: I tifosi non abbiano paura di contestare. Non accontentarsi di una JUVINESE. Pretendere la VERA JUVENTUS. Non dimenticare mai quello che è successo nel 2006. Informarsi su quello che è accaduto, su quello che sta accadendo e su quello che accadrà. Pretendere il merchandising con il numero 29. Evitare anche il solo contatto fisico con la Gazzetta dello Sport. Testa alta e risposta pronta. SEMPRE.

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sabato 2 maggio 2009

Scissione in Lega, fallimenti dietro l’angolo

«Altri fallimenti seguiranno inevitabilmente». Avevo scritto questa frase nel 2004 assieme a Salvatore Napolitano nel libro “Il pallone nel burrone”: nello stesso anno erano falliti il Napoli e il Taranto, due anni prima era fallita la Fiorentina, l’anno dopo Torino, Venezia e Ancona. Con la nascita della Lega di Serie A e la conseguente separazione dalla B, avvenute venerdì scorso, questo scenario è ancor più facilmente realizzabile. I debiti accumulati negli ultimi anni dal sistema calcio sono un macigno ormai sempre più insopportabile: soprattutto per le squadre cadette e ancor di più dalle piccole, costrette a salti mortali con le poche risorse che hanno (leggi soprattutto plusvalenze da cessione calciatori) per riuscire a tirare avanti. C’è da pensare che nell’ultima seduta della Lega Calcio unita è stato compiuto il primo passo verso il progetto della “Superlega” che è stato ideato e voluto da Inter, Milan e Juventus e che è stato solo riposto in un cassetto in attesa di tempi migliori. Ancor più di prima, adesso chi avrà alle spalle un azionista forte potrà resistere: altrimenti sparirà dalla geografia dell’italica pedata. Pian piano spariranno i club di provincia che lasceranno spazio alle squadre delle grandi città, con buona pace del principio della rivalità del “campanile”. Incredibilmente proprio i piccoli club, come Chievo, Reggina e Siena, che compiono il percorso “saliscendi” dalla A alla B, hanno votato per la scissione: non comprendendo che il fine della scissione è l’eliminazione del principio di mutualità. Ossia: chi va in B non avrà più un centesimo di euro e dovrà arrangiarsi come può. Un calcio per ricchi che possono sostenere il fardello dei debiti: proprio com’è accaduto nell’Inghilterra a cui tutti guardano come modello. A differenza del football d’Oltremanica, dove nelle maggior parte dei club si sono indebitati per finanziare i progetti di sviluppo immobiliari (stadi, centri commerciali e nuovi quartieri), in Italia le società si sono indebitate per pagare le spese della gestione corrente, in primis gli altissimi costi degli stipendi e dei diritti alle prestazioni dei calciatori.

A proposito di “saliscendi” il vicepresidente vicario del Milan, Adriano Galliani, ha dichiarato che «succederà quello che è successo in molti paesi d’Europa. Promozioni e retrocessioni non si toccano». Il lucidissimo dirigente rossonero ha ragione e ciò non si può confutare. Però bisogna aggiungere una cosa: come si può sostenere il costo di una retrocessione che rappresenta una vera e propria “morte civile” per le società? Un esempio per tutti. Nel 2007 scrivevo su Quotidiano.net che il Bologna, per effetto della retrocessione subita nella stagione 2004/05, aveva avuto un crollo verticale dei ricavi del 62% (13,62 milioni contro i precedenti 35,68 milioni) nell’anno successivo in cui disputò il campionato cadetto. In particolare, il salto all’indietro di categoria ha avuto un effetto devastante sugli incassi allo stadio: la differenza in negativo rispetto al 2004/05 è stata di 4,24 milioni. Né era servito all’allora presidente Alfredo Cazzola una ferrea politica di tagli dei costi, diminuiti drasticamente del 46%: lo squilibrio costi/ricavi è stato pari a 8,96 milioni e si è incrementato del 48% rispetto all’anno precedente. Sono cifre da brivido, che fanno capire che le società che incappassero malauguratamente nella discesa agli inferi della serie inferiore difficilmente potranno restare in piedi o che comunque ricevono una mazzata da cui non riusciranno a risollevarsi con facilità.

Cosa bisognava fare? La trasformazione delle società di calcio in aziende a scopo di lucro, sancita dalla catastrofica legge 586/96 voluta dalla dirigenza di Milan e Juventus, andava accompagnata da un percorso di attuazione per gradi. Bisognava che la norma prevedesse un periodo transitorio, in cui le squadre avrebbero potuto ottenere condizioni agevolate per acquistare gli stadi dai Comuni o costruirne di nuovi, in modo da avere una prima forma di diversificazione dei ricavi. Invece si è pensato solo ai diritti televisivi, che costituiscono il 45/50% delle entrate, e a tenere in piedi un baraccone di 132 società professionistiche (incluso la Lega Pro, ossia la vecchia C) in cui la maggior parte di esse cerca di sopravvivere. Adesso si sta approvando una legge in Parlamento proprio sugli impianti: a questo punto si può pensare che ci sia il rischio che serva soltanto ai grandi club. E si potrebbe pensare che la legge Melandri/Gentiloni sulla ripartizione collettiva dei diritti televisivi, che concede meno risorse alle grandi, possa essere abrogata: bisogna ricordare che pende sempre il ricorso presso la Corte di Giustizia europea di Sky. Inoltre, nel settembre scorso, l'Antitrust ha affermato che «la disciplina sui diritti audiovisivi sportivi va rivista perché non garantisce pienamente la concorrenza tra operatori». Con questo scenario, forse è meglio pensare al campionato, alla moviola e ai rigori ammessi e non concessi, finché si può.

Marco Liguori 

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il pallone in confusione

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