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venerdì 3 luglio 2009

Lazio: debiti scaduti in maggio ammontano a 11,44 milioni

La voce risulta in aumento dai precedenti 10,87. Salgono gli importi dovuti al personale da 1,26 a 1,30 milioni. L’indebitamento complessivo è pari a 114,37 milioni, composti in gran parte dalla transazione col fisco

Lazio e Roma sono al centro dell’attenzione delle cronache. La società di Claudio Lotito è sotto i riflettori delle varie trattative di calciomercato, con alcuni possibili partenze di calciatori di rilievo come Pandev, Ledesma, De Silvestri. Invece, la società della famiglia Sensi è giunta all’ennesima puntata della “telenovela” della possibile cessione: stavolta è il turno della cordata Fioranelli. Su entrambe pesa lo stato debitorio, su cui la Consob ha imposto la comunicazione mensile al mercato. L’ultima è quella relativa allo scorso maggio: oggi si inizia a esaminare l’indebitamento della Lazio, pari a 114,37 milioni, in calo di 1,36 milioni rispetto ad aprile. Si deve sottolineare che, come espresso dal professore Alfredo Parisi in un suo recente studio sulle società di calcio quotate, entrambe presentano informazioni disomogenee. «Mentre per la Lazio il rispetto della norma regolamentare appare solo formale – scrive Parisi – e non consente alcuna approfondita valutazione, per la Roma l’analisi si presenta dettagliata e diversificata».

Stando sempre alle comunicazioni mensili Consob, la società biancoceleste è riuscita a calare il suo indebitamento soprattutto grazie alla riduzione degli importi dovuti alle altre società di calcio (indicate come “Enti settore specifico”), passate dai precedenti 7,86 a 5,88 milioni. La Lazio continua a pagare regolarmente la transazione con il fisco, stabilita in 23 anni: al riguardo, restano da pagare ancora 85,58 milioni. L’attenzione va posta in modo particolare all’aumento dello somme scadute, passate dai 10,87 milioni di aprile agli 11,44 milioni di maggio. Ciò è avvenuto a causa dell’incremento di quelle dovute al personale da 1,26 a 1,30 milioni: la società non effettua una specifica degli importi dovuti, ma è presumibile che siano per la quasi totalità dovute ai tesserati. L’ammontare totale che deve ancora essere erogato al personale, alla data del 31 maggio scorso, è pari a 4,61 milioni. Crescono anche gli importi scaduti verso i fornitori: da 5,06 a 5,36 milioni. L’ammontare complessivo, dovuto sempre alla fine di maggio, è di 9,57 milioni.

Marco Liguori

Riproduzione riservata, consentita (anche in modo parziale) soltanto dietro citazione della fonte

L'indebitamento della SS Lazio al 31 maggio 2009 (fonte: comunicazione della società alla Consob disponibile sul sito www.sslazio.it)

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sabato 16 maggio 2009

Liga spagnola, la corrida dei debiti

Secondo uno studio dell'Università di Barcellona, le cifre dovute dai 20 club della massima serie nel 2007/08 hanno raggiunto i 3,44 miliardi di euro. Una situazione preoccupante, che nei prossimi anni è destinata ad aumentare e selezionerà le poche società che hanno i mezzi per sostenere le passività

Debiti per 3,44 miliardi di euro (+23,9%), conto economico costi-ricavi in perdita per 239 milioni peggiorato dai precedenti 112 milioni, risultato finale salvato dal forte incremento delle componenti straordinarie (+134%). E’ questa la fotografia impietosa del quadro economico/finanziario delle 20 società della Liga spagnola relativo all’esercizio 2007/08, preparato dal professore José Maria Gay de Liébana, titolare della cattedra di Economia finanziaria e contabilità presso l’Università di Barcellona, che ha concesso in esclusiva a "il pallone in confusione" il suo studio. Il quadro resta molto preoccupante, nonostante la fiscalità complessiva (tanto celebrata in Italia dai dirigenti calcistici) sia rimasta a livelli contenuti: l’anno scorso l’imposta sui ricavi societari ha raggiunto 7,38 milioni, contro i 7,5 milioni dell’esercizio precedente. A ciò si aggiunge che sulle 20 società del massimo campionato, appena la metà ha chiuso in utile: risultato ottenuto in quasi tutti i casi alle componenti straordinarie (in genere plusvalenze da cessione calciatori o di immobili). Dove risiede dunque il problema? E’ nella massa debitoria, salita da 2,78 a 3,44 miliardi, e negli alti costi, incrementatisi da 1,38 del 2006/07 a 1,62 miliardi del 2007/08. Per ora, i debiti sono ancora coperti da 3,79 miliardi di attivo patrimoniale: ma non è detto che si possa reggere all’infinito una politica di spese a incremento costante che fa vivere molti club al disopra delle proprie possibilità. Come nel resto d’Europa occorrerebbe un taglio dei costi: ma anche i dirigenti iberici, come i loro omologhi europei non vogliono sentire ragioni al riguardo. Almeno per ora.
Anzi, in Spagna è sempre più evidente la differenza tra i grandi club che possono sostenere il macigno delle passività e quelle che non riescono. Un esempio: nel 2007/08 il più alto fatturato della Liga, quello del Real Madrid (365,85 milioni), è superiore di circa 67 volte a quello del più basso (ossia dell’ultima in classifica) il Levante (5,50 milioni). Con questo tipo di situazione, il campionato iberico è sulla linea degli altri omologhi europei: le squadre con azionisti potenti alle spalle potranno sopravvivere e indebitarsi per acquistare gli assi del pallone, le altre pian piano spariranno. Per dare un quadro ancora più chiaro dei rischi che corre la massima serie spagnola esaminiamo lo stato debitorio. Lo studio del professor Gay evidenzia che nella scorsa stagione la squadra più indebitata era il Real Madrid con i suoi 562,78 milioni: il club dei "Galacticos" è andato in orbita rispetto ai 527 milioni dell’anno precedente (+7%). Seguono i dirimpettai dell’Atletico Madrid con 510,86 milioni (+18,7%). Un preoccupante balzo in avanti del 76% lo ha compiuto il Valencia, terzo in questa classifica poco edificante: la società ha toccato la preoccupante cifra di 502,34 milioni. Al quarto posto si trova il Barcellona con 437,79 milioni di somme dovute (+12,6%).
Analizzando la differenza ricavi-costi si nota che soltanto due società, Real Madrid e Barcellona, presentano un dato positivo: rispettivamente di 14,23 e 16,16 milioni. L’Atletico Madrid presenta il dato peggiore con una perdita di 46,51 milioni: invece al Valencia le uscite hanno superato le entrate di 44,22 milioni. Significativo il dato dell’ultima in classifica dello scorso torneo, il Levante: la società aveva appena 5,50 milioni di ricavi contro 26,25 milioni di costi, per una differenza negativa di 20,75 milioni. Le componenti straordinarie per 22,77 milioni hanno consentito di chiudere in utile per 200mila euro. Insomma, lo scenario è quello comune a tutta l’Europa: finché il pallone va, lo si lasci rotolare.
Marco Liguori
Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte

venerdì 5 dicembre 2008

Macalli: molte altre società di calcio falliranno

"Credo che alla fine dell'anno piangeremo molti club perché non riusciranno ad ottenere l'iscrizione per il prossimo campionato". Lo ha detto il presidente della Lega Pro Mario Macalli, intervistato da Sky Sport 24 in uno speciale dedicato alla crisi del nostro calcio. "Lo scorso anno avevo detto che sarebbero fallite 10 squadre e ho indovinato il numero. Quest'anno la vedo molto male. In una situazione di crisi generale in cui mancano i soldi per portare avanti le aziende, non credo che gli imprenditori investino ancora tanto nel calcio. Il nostro è un mondo che ha un indebitamento notevole, è in difficoltà, i costi superano i ricavi. L'unica cosa che mi dispiace è che questo è un mondo che non vuol prendere atto di questo e nessuno vuole sedersi su un tavolo per discuterne. Il calcio è una azienda che sta fallendo. Nessuno vuole fare l'amministratore unico dei club professionistici italiani - spiega Macalli -; il lavoro federale è quello di dare indirizzi. C'è un grande calcio che deve andare per conto suo, ma gli altri devono fare da sé. Non capisco perché un club di B deve avere risorse dalla serie A che le produce. Sotto la B c'è Lega Pro con 90 squadre, si dice che sono troppe, ma io dico che sotto di noi ci stanno 162 squadre di un mondo che viene chiamato dilettantistico ma che in realtà non lo è". Per Mario Macalli una delle ricette sarebbe la ristrutturazione dei campionati di calcio e di questo si parlerà anche nel prossimo consiglio federale il 18 dicembre. "Io penso che ci debba essere una Lega che governi il grande calcio, quello di serie A che fa spettacolo - spiega - poi sotto vedo due gironi a 18 squadre di serie B e ancora sotto 3 gironi da 18 in Lega Pro". Tante le squadre in difficoltà in questo inizio stagione che rischiano di non poter portare a termine i rispettivi campionati. "Il Messina? Mi chiedo come ha fatto a giocare campionati di A e B con debiti di 45 milioni di euro. Chi doveva controllare cosa ha fatto? Il Pescara ha 11 milioni di indebitamento, ma qualche mese fa a queste società è stato consentito iscriversi, li hanno fatti in pochi mesi questi debiti? Sono cose che mi impressionano. Le posizioni di club come Venezia e Legnano invece sono difficili ma possono trovare soluzioni". Uno dei motivi della crisi secondo Macalli deriva dai costi troppo elevati. "Noi paghiamo troppo. Abbiamo un costo di lavoro elevato e non abbiamo ricavi. Gli stipendi sono molto alti, anche se l'Aic sostiene il contrario. Le società spendono troppo e la cosa più grave, senza critiche agli imprenditori che con i loro soldi fanno cio' che vogliono, è che paghiamo troppo per dei giocatori che non producono nulla. Non abbiamo giovani ed è difficile anche mettere insieme 30 giocatori per le nostre selezioni".
Fonte: Agi
Leggi anche Galliani:«Nessun crac in serie A, rischi contrazione pesante"

martedì 18 novembre 2008

Tutti i debiti dell’Inter

Ammontano a 394,9 milioni le somme dovute a vario titolo ai creditori, in calo del 6,8%, con squilibrio rispetto ai crediti di 32,1 milioni: spicca l’incremento del’81% di quelle verso banche. In evidenza tra i costi la cospicua cifra sostenuta per il Centenario nerazzurro, pari a 2,43 milioni

Debiti per 394,9 milioni di euro, in calo del 6,8%, con squilibrio rispetto ai crediti pari a 32,1 milioni. E’ questa la fotografia dello stato patrimoniale 2007/08 dell’Inter, che ha chiuso l’esercizio con una perdita di 148,3 milioni e un patrimonio netto negativo di 12,8 milioni. Nel bilancio, depositato in Camera di commercio, si nota anche che i costi (pari a 342,5 milioni) hanno superato il valore della produzione (203,4 milioni) di 139 milioni: per ogni euro incassato la società di Massimo Moratti ne ha speso circa 1,7. Tra le voci di spesa desta curiosità la cospicua cifra sostenuta per il Centenario nerazzurro, pari a 2,43 milioni. Esse costituiscono la seconda componente, dopo l’ammontare di 2,7 milioni per consulenze esterne, di quelle amministrative, pubblicitarie e generali. All’interno di queste ultime vi sono compresi anche i 700mila euro complessivi per tutti i componenti del consiglio di amministrazione. In netta diminuzione gli ammortamenti dei diritti alle prestazioni dei giocatori, da 147 milioni a 34,9 milioni, per effetto dell’ultima rata dello “spalmadebiti”.
La radiografia dello stato debitorio interista vede il considerevole aumento dell’81%, delle somme dovute agli istituti di credito, per un cifra complessiva di 82,2 milioni interamente a breve termine. Nella nota integrativa si legge che «i debiti verso banche a breve termine si riferiscono a scoperti di conto corrente presso primari istituti di credito con i quali la società intrattiene rapporti regolati a tassi in linea con il mercato». Nel documento non sono riportati i nomi delle banche. In aumento anche i debiti tributari del 5,1%, che hanno sfiorato i 21 milioni.
Il calo dello stato debitorio complessivo è dovuto in gran parte al consistente taglio degli “altri debiti” del 52,53%. Essi hanno toccato i 38,3 milioni e sono costituiti da 35,6 milioni per «debiti verso dipendenti e ex dipendenti per competenze maturate e non liquidate». Inoltre, sono diminuite di 16,8 milioni le cifre dovute alla controllata Inter Brand, a cui sono stati ceduti i marchi. «L’importo pari a euro 127.462.363 – prosegue la nota integrativa – si riferisce essenzialmente ai canoni di licenza d’uso dei marchi per l’intera durata del contratto di licenza».
Venendo ai ricavi, si nota l’aumento di 5,3 milioni delle vendite. In esse sono compresi i biglietti allo stadio: quelli per le gare di campionato hanno superato i 9 milioni (+9,04%), mentre gli introiti per i tagliandi della Champions League hanno fruttato 3,3 milioni (+22%). In aumento anche i proventi delle sponsorizzazioni (pari a 30,8 milioni) del 4,14%. Invece, risultano inaspettatamente in calo i diritti televisivi (-1,18%, 90,3 milioni) e quelli tv della Champions League (-22,6%, 23,7 milioni). Diminuiscono da 24 a soli 8 milioni di euro le plusvalenze calciatori, che l’Inter inserisce nei ricavi secondo quanto stabilito dalla Figc: secondo il Codice civile vanno invece collocati tra i proventi straordinari.
Marco Liguori
(Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte)

mercoledì 5 novembre 2008

Chi deve vergognarsi per i debiti del calcio

Riceviamo e pubblichiamo da Ettore Italo Di Pietramala del sito www.ju29ro.com

La riaffermata intenzione dell'Uefa di eliminare gradualmente la vergogna dei debiti nel calcio ha avuto recentemente sulla stampa nazionale un'eco davvero singolare: ci sono stati tanti articoli sul calcio inglese che, secondo l'audace titolo della Gazzetta dello Sport (del 9/10 a pag.19), sarebbe addirittura "nel baratro" e nessuno sul calcio italiano, nonostante i debiti di Inter e Roma per centinaia di milioni siano prepotentemente balzati all'onore della cronaca (vedi indagine sulla vicenda Saras e il conto col piano di rientro presentato da Unicredit alla famiglia Sensi con scadenza dicembre 2008). Il fatto è che il Presidente della Football Association in una conferenza stampa ha dato ragione all'Uefa, parlando di bilanci non trasparenti e di debiti fuori controllo mentre in Italia l'anatema di Platini ("Vergogna, vince chi bara") non ha apparentemente intaccato nè la flemma di Abete nè la spavalderia di Matarrese e così di conferenze stampa sull'argomento non s'è vista neppure l'ombra.
D'altra parte la reticenza, per non dire l'omertà, del nostro "sistema calcio" non sorprende perché se i bilanci di quasi tutte le società sono traballanti, con debiti "nascosti" nella controllante, o nelle controllate, ed anche falsi (in termini di ordinamento sportivo) le colpe sono diffuse e in tanti dovrebbero vergognarsi: non solo i registi finanziari che firmano i bilanci creativi ma in primo luogo la stampa che, da tempo, ha tradito la sua funzione di informazione e denuncia (mentre insabbia e disinforma) e, subito dopo, gli organismi FIGC di controllo e sanzionatori che, visti i risultati, si può ben dire che sono controllati e non controllano, è non sanzionano per non essere sanzionati.
Cominciamo dalla stampa e riprendiamo proprio l'articolo della Gazzetta secondo il quale il calcio inglese sarebbe nel baratro. E' noto che quasi tutte le società inglesi sono proprietarie degli impianti e quindi hanno sì fatto dei debiti ma si sono patrimonializzate; il Manchester United, per fare l'esempio più significativo, ha sì piu' di 700 milioni di debiti ma, grazie anche al suo stadio, chiude ogni anno il bilancio in attivo e può pagare gli interessi sul debito e le rate di mutuo. La serie A inglese attraversa da anni una fase molto positiva (altro che baratro) con incassi ai botteghini e dai diritti tv sempre in crescita, tant'è che ha attirato l'attenzione prima di finanzieri, magari d'assalto ma con idee chiare sul business del calcio, e più recentemente di sceicchi e petrodollari.
Nel nostro carrozzone, ma questo la Gazzetta non lo dice, è tutto il contrario perché stadi e patrimonio delle società stanno a zero, ai botteghini e per i diritti tv ci sono segni di crisi; l'Inter in due anni ha realizzato perdite per 350 milioni e a Roma la famiglia Sensi deve rientrare di 150 milioni con Unicredit oppure vendere la societ. Mentre oltre-Manica i debiti fanno parte del gioco, in Italia servono solo a gonfiare un pallone che rischia di scoppiare secondo l'allarme che molti esperti hanno suonato da tempo. Ecco perché la scarsa attenzione della nostra stampa tradizionale all'argomento bilanci è una colpa ed anche grave; semmai la Gazzetta, in risposta all'Uefa, avrebbe dovuto sollecitare una conferenza di Abete sui problemi di bilancio delle nostre società, altro che presentare su un quarto di pagina, come ha fatto, una tabella su "Tutti i debiti della Premier", compresi quelli del Wigan e del Hull City.
E non c'è da vergognarsi solo per la scarsa attenzione, perché quando poi un editorialista di grido come Mario Sconcerti affronta l'argomento, può succedere anche di peggio; succede per esempio che sul Corriere della Sera è stato possibile raccogliere in un mese queste due perle: dapprima (con l'editoriale "I miliardi degli emiri falsano le gerarchie ma non sono una novità") l'osservazione che i debiti elevati delle grandi società ci sono sempre stati e che il professionismo l'ha inventato Edoardo Agnelli (cioe' il bisnonno di John Elkann) e prevedeva gia' all'epoca un "indebitamento costante, quasi esponenziale"; e poi quando, volendo argomentare su "Cobolli sbaglia. Anche Moratti ha un progetto", ha scritto che "non e vero che l'Inter e' piena di debiti", aggiungendo che sì, la squadra perde tantissimo ma "le perdite sono continuamente ripianate". Ecco, sarebbe da chiedere a Sconcerti se del ripianamento s'è fatto un'idea da solo, leggendo e interpretando i bilanci dell'Inter, oppure s'è fidato della Gazzetta. Nel dubbio ci limitiamo solo a ricordare (avendo come fonte le ricerche del nostro sito sui bilanci e il Sole 24 Ore) che per coprire il buco di 350 milioni del biennio 2006-07 l'Inter per un parte ha deliberato aumenti di capitale e per la parte rimanente (tra i 150 e i 200 milioni) s'è affidata alla fantasia dei suoi registi finanziari che hanno inventato le finte plusvalenze relative alla compra-vendita del marchio e alla rivalutazione patrimoniale dell'intera società. Un finto ripianamento insomma , roba da retrocessione in termini di giustizia sportiva, che può durare fino a quando c'è speranza che la banca aumenti il fido e gli utilizzi; se poi in quella banca il presidente Moratti siede anche nel Comitato Esecutivo allora uno malizioso può pensare che si tratta di una speranza ben riposta.
Quanto,poi, al richiamo dei tempi andati lo capirebbe anche il "casalingo di Voghera" che è una giustificazione finta (come la compravendita del marchio), perchè dai tempi del senatore Agnelli il contesto normativo è cambiato, anzi, dopo la sentenza Bosman è stato rivoluzionato e con la legge 586/96 (non a caso detta proprio legge Bosman) si è dovuto correre ai ripari pensando proprio ai bilanci e ai debiti, ridisegnando il sistema dei controlli.
Era tanto importante quella legge che è ancora possibile trovare in rete la traccia di una riunione del Consiglio Nazionale del Coni del 23 marzo 2004 (per conferma Sconcerti potrebbe sentire Petrucci) con la quale si stabiliva che le società di calcio dovevano presentare alla FIGC, a cadenza trimestrale, "stato patrimoniale e conto economico con budget che garantisca equilibrio finanziario a consuntivo dell'esercizio".
L'equilibrio finanziario, in particolare, imponeva e impone che i debiti siano un sottomultiplo del fatturato; dato che dopo la sentenza Bosman le società di calcio si ritrovavano con il patrimonio azzerato, l'ordinamento sportivo si era giustamente preoccupato dei debiti, quelli che ai tempi del senatore Agnelli, assicura Sconcerti, crescevano in modo esponenziale (ma le società, all'epoca, possedevano il cartellino dei calciatori).
E siamo così arrivati ai controlli e alle sanzioni dove l'elenco di chi deve vergognarsi è lungo, perchè tutti sono d'accordo sul fatto che i bilanci delle società di calcio non sono "sani", e neppure "corretti", come imporrebbe la normativa, perchè tutti sanno che ci sono degli illeciti e che sono tollerati (vedi l'articolo del prof. Boeri su Repubblica del 3 settembre) ma, quando si prova a ragionare sulle responsabilità, scatta il gioco al rimpiattino: si comincia dalle responsabilità dei presidenti che non sono più i "ricchi scemi" di una volta, si lamentano sì delle perdite ma si tengono stretta la società, anzi, ci portano pure i figli o le figlie (con stipendi che arrivano anche ad un milione di euro all'anno; chiamali scemi!) e ad ogni campionato provano a spendere di più (senza, però, mettere mano al portafoglio).
Si passa alla Covisoc che controlla i bilanci, guarda sì la compra-vendita del marchio da padre in figlio ma "non può vedere" che è finta e fa aumentare i debiti (anche se può vederlo pure uno studente di prima ragioneria ripetente); si rimanda alla Figc (la "Confindustria" dei presidenti di calcio che non sono più ricchi e scemi) dove nessuno chiede rigore o denuncia irregolarità (sarebbe una specie di suicidio quasi collettivo); si finisce col contesto normativo e la specificità dello sport, che nessuno sa bene cos'è (e, infatti. tutti la chiamano in causa).
Dopo l'uscita, con tante polemiche, del prof. Uckmar dalla Covisoc, su queste benedette responsabiltà ci fu un lungo dibattito, che si può rintracciare in rete per ragionarci sopra. Leggendo il dibattito si scoprono due passaggi fondamentali: il primo in una paginata della Gazzetta dello Sport del 15 maggio 2002 (quando era ancora formato lenzuolo e non si limitava solo a "tutto il rosa della vita") e l'altro nell'audizione al Senato del prof. Uckmar del 23 aprile 2004.
Nell'articolo della Gazzetta c'è Carraro che, da politico consumato, chiama in causa il sentimento popolare (vi dice niente?); i bilanci irregolari sarebbero illeciti sportivi ma, si chiede Carraro (all'epoca presidente della Figc e contemporaneamente presidente anche del Mediocredito Centrale della Banca di Roma di Geronzi) "pensate che i tifosi italiani sarebbero in grado di accettare una penalizzazione dei propri club?". Tradotto dal politichese di Carraro e riferito ai nostri giorni sembra quasi che Abete e Matarrese possano avere questo dubbio: se mandiamo l'Inter in B per tutti gli illeciti sportivi che ha fatto, e continua a fare con i bilanci, siamo sicuri che poi i suoi ultras non buttino giù i motorini dalle gradinate di San Siro?
Nell'audizione al Senato, invece, il passaggio fondamentale è quello per cui la situazione dei controlli si sarebbe "ingarbugliata" quando il contesto normativo che doveva tener conto della specificità dello sport è stato riformulato, passando dalla legge 91/1981 alla 586/1996; quella del 1981 prevedeva che la Covisoc dovesse autorizzare le operazioni di carattere straordinario e potesse sindacare sui debiti bloccandoli; con quella del 1996 sono aumentati i controlli, ogni tre mesi le società devono documentare che la gestione è sana e corretta, devono anche indicare come rispettano il budget di inizio stagione (sembra incredibile ma è proprio cosi, c'è scritto nelle Norme Organizzative Interne Federali) ma di sindacare non se ne parla più e la Covisoc dovrebbe, invece, segnalare alla Procura Federale e questa deferire.
In effetti se una società di serie C2 paga le tasse con due gioni di ritardo scattano il deferimento e nell'arco di qualche mese anche le penalità (è successo ancora recentemente) mentre per i bilanci di alcune note società di serie A si arriva a parlare di illeciti tollerati ma di segnalazioni e deferimenti non si parla mai.
I riferimenti a Carraro e Uckmar sono datati 2002-2004. Sono passati solo pochi anni ma è come se fosse passato un secolo perchè, nel frattempo, nell'estate 2006 si è messo in piede il processo di calciopoli nel quale sono stati di nuovo chiamati in causa la specificità dello sport e il "sentimento popolare" ma non per tollerare un illecito che c'era (come si sta facendo per i bilanci sin dai tempi di Carraro), bensì per punire un illecito che non era previsto dalla normativa; il tutto sotto la regia a carattere straordinario di un professionista, il professor Guido Rossi, ex-consigliere dell'Inter e futuro consulente degli eredi di casa Agnelli. Un'offesa all'intelligenza di quanti sono ancora liberi di pensare con la propia testa, una conferma che le scusanti che vengono invocate per non doversi mettere in regola con i bilanci sono logore foglie di fico che non possono più nascondere le vergogne nè, tantomeno, camuffare gli svergognati. Che sono tanti: i "culi di pietra" che hanno occupato e occupano le poltrone di prima fila delle istituzioni sportive, la pletora di professionisti (giuristi di lungo corso, sopratutto) che si prestano a firmare sentenze sensa senso, i politicanti che a tempo perso si occupano anche di sport e poi quelli che nelle istituzioni sportive occupano, scodinzolando, le poltrone di seconda e terza fila e sbavano per scalare qualche posto.
Chi si deve vergognare, Azionisti e Presidenti oppure chi dovrebbe informare e non informa?
Ettore Italo Di Pietramala
(il testo originale è reperibile anche qui)
http://www.wikio.it

il pallone in confusione

Registrazione n° 61 del 28 settembre 2009 presso il Tribunale di Napoli
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