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martedì 14 luglio 2009

CRAC ANCONA: condannato Pieroni a 4 anni e otto mesi

Quattro anni e otto mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta per distrazione, truffa e tentata truffa aggravata. È la condanna inflitta oggi dal tribunale di Ancona nei confronti di Ermanno Pieroni, ex patron dell'Ancona calcio, a conclusione del processo per fatti fino al 2004 quando la società venne dichiarata fallita. L'ex numero uno biancorosso è stato invece assolto dall'accusa di bancarotta documentale perchè il fatto non sussiste. Il collegio, presieduto da Antonio Frisina, ha condannato anche l'ex direttore amministrativo del club Gianfranco Cusini a due anni e due mesi di reclusione per concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione. Secondo l'accusa, rappresentata dal pm Irene Bilotta, avrebbe concorso alla distrazione di denaro alterando le scritture contabili. Otto mesi di reclusione, invece, per l'ultimo ad prima del crac, Vincenzo D'Ambrosio, ritenuto responsabile solo di tentata truffa per i contributi federali incassati mediante, secondo l'accusa, scritture contabili alterate che, dunque, non potevano essere valido presupposto per l'iscrizione al campionato. Come Pieroni, anche D'Ambrosio è stato assolto dal concorso in bancarotta documentale. Alle parti civili, la curatela fallimentare dell'Ancona calcio e la Figc, i giudici hanno riconosciuto il diritto ad essere risarcite di un danno da quantificare in sede civile. Il tribunale depositerà la sentenza in 90 giorni. Quasi scontato il ricorso in appello contro la sentenza da parte dei difensori. Pieroni ha sempre sostenuto di non aver mai distratto fondi dalle casse dell'Ancona ma di avere utilizzato il denaro uscito sottobanco per pagare giocatori e altri tesserati in nero.

sabato 2 maggio 2009

Scissione in Lega, fallimenti dietro l’angolo

«Altri fallimenti seguiranno inevitabilmente». Avevo scritto questa frase nel 2004 assieme a Salvatore Napolitano nel libro “Il pallone nel burrone”: nello stesso anno erano falliti il Napoli e il Taranto, due anni prima era fallita la Fiorentina, l’anno dopo Torino, Venezia e Ancona. Con la nascita della Lega di Serie A e la conseguente separazione dalla B, avvenute venerdì scorso, questo scenario è ancor più facilmente realizzabile. I debiti accumulati negli ultimi anni dal sistema calcio sono un macigno ormai sempre più insopportabile: soprattutto per le squadre cadette e ancor di più dalle piccole, costrette a salti mortali con le poche risorse che hanno (leggi soprattutto plusvalenze da cessione calciatori) per riuscire a tirare avanti. C’è da pensare che nell’ultima seduta della Lega Calcio unita è stato compiuto il primo passo verso il progetto della “Superlega” che è stato ideato e voluto da Inter, Milan e Juventus e che è stato solo riposto in un cassetto in attesa di tempi migliori. Ancor più di prima, adesso chi avrà alle spalle un azionista forte potrà resistere: altrimenti sparirà dalla geografia dell’italica pedata. Pian piano spariranno i club di provincia che lasceranno spazio alle squadre delle grandi città, con buona pace del principio della rivalità del “campanile”. Incredibilmente proprio i piccoli club, come Chievo, Reggina e Siena, che compiono il percorso “saliscendi” dalla A alla B, hanno votato per la scissione: non comprendendo che il fine della scissione è l’eliminazione del principio di mutualità. Ossia: chi va in B non avrà più un centesimo di euro e dovrà arrangiarsi come può. Un calcio per ricchi che possono sostenere il fardello dei debiti: proprio com’è accaduto nell’Inghilterra a cui tutti guardano come modello. A differenza del football d’Oltremanica, dove nelle maggior parte dei club si sono indebitati per finanziare i progetti di sviluppo immobiliari (stadi, centri commerciali e nuovi quartieri), in Italia le società si sono indebitate per pagare le spese della gestione corrente, in primis gli altissimi costi degli stipendi e dei diritti alle prestazioni dei calciatori.

A proposito di “saliscendi” il vicepresidente vicario del Milan, Adriano Galliani, ha dichiarato che «succederà quello che è successo in molti paesi d’Europa. Promozioni e retrocessioni non si toccano». Il lucidissimo dirigente rossonero ha ragione e ciò non si può confutare. Però bisogna aggiungere una cosa: come si può sostenere il costo di una retrocessione che rappresenta una vera e propria “morte civile” per le società? Un esempio per tutti. Nel 2007 scrivevo su Quotidiano.net che il Bologna, per effetto della retrocessione subita nella stagione 2004/05, aveva avuto un crollo verticale dei ricavi del 62% (13,62 milioni contro i precedenti 35,68 milioni) nell’anno successivo in cui disputò il campionato cadetto. In particolare, il salto all’indietro di categoria ha avuto un effetto devastante sugli incassi allo stadio: la differenza in negativo rispetto al 2004/05 è stata di 4,24 milioni. Né era servito all’allora presidente Alfredo Cazzola una ferrea politica di tagli dei costi, diminuiti drasticamente del 46%: lo squilibrio costi/ricavi è stato pari a 8,96 milioni e si è incrementato del 48% rispetto all’anno precedente. Sono cifre da brivido, che fanno capire che le società che incappassero malauguratamente nella discesa agli inferi della serie inferiore difficilmente potranno restare in piedi o che comunque ricevono una mazzata da cui non riusciranno a risollevarsi con facilità.

Cosa bisognava fare? La trasformazione delle società di calcio in aziende a scopo di lucro, sancita dalla catastrofica legge 586/96 voluta dalla dirigenza di Milan e Juventus, andava accompagnata da un percorso di attuazione per gradi. Bisognava che la norma prevedesse un periodo transitorio, in cui le squadre avrebbero potuto ottenere condizioni agevolate per acquistare gli stadi dai Comuni o costruirne di nuovi, in modo da avere una prima forma di diversificazione dei ricavi. Invece si è pensato solo ai diritti televisivi, che costituiscono il 45/50% delle entrate, e a tenere in piedi un baraccone di 132 società professionistiche (incluso la Lega Pro, ossia la vecchia C) in cui la maggior parte di esse cerca di sopravvivere. Adesso si sta approvando una legge in Parlamento proprio sugli impianti: a questo punto si può pensare che ci sia il rischio che serva soltanto ai grandi club. E si potrebbe pensare che la legge Melandri/Gentiloni sulla ripartizione collettiva dei diritti televisivi, che concede meno risorse alle grandi, possa essere abrogata: bisogna ricordare che pende sempre il ricorso presso la Corte di Giustizia europea di Sky. Inoltre, nel settembre scorso, l'Antitrust ha affermato che «la disciplina sui diritti audiovisivi sportivi va rivista perché non garantisce pienamente la concorrenza tra operatori». Con questo scenario, forse è meglio pensare al campionato, alla moviola e ai rigori ammessi e non concessi, finché si può.

Marco Liguori 

Riproduzione riservata consentita soltanto dietro citazione della fonte

giovedì 2 aprile 2009

Pro Patria: Tribunale Busto Arsizio dichiara il fallimento

Il collegio del Tribunale di Busto Arsizio, sezione fallimentare, si è riunito per esaminare il caso della società calcistica Pro Patria e ha deciso per il fallimento della società. Il club, che gioca nel girone A della Prima Divisione della Lega Pro, è attualmente in testa al campionato insieme con il Cesena e in corsa per la promozione in serie B.
Ieri si era svolta un'udienza in cui il presidente Giuseppe Zoppo, tramite il suo legale, aveva chiesto di poter presentare un piano di rientro della situazione debitoria, mentre il sostituto procuratore Massimo Baraldo e i sette creditori si erano opposti sostenendo che si trattava di un espediente dilatorio. Secondo il presidente della società il debito si aggirava sui 180 mila euro, mentre la Procura di Busto ha calcolato un ammontare di 2 milioni di euro.
Fonte: Ansa

venerdì 5 dicembre 2008

Galliani:«Nessun crac in serie A, rischi contrazione pesante»

L'azienda calcio è in crisi rischia di fallire. Lo ha denunciato anche ieri sera in un'intervista a Sky Sport24 il presidente della Lega Pro Mario Macalli. Per Adriano Galliani però non c'è alcun pericolo, almeno per il calcio di serie A. "La A non rischia il crac - spiega l'ad del Milan intervistato da La Repubblica - Però una pesante contrazione, quella sì. E questo perché il calcio italiano non è autosufficiente. E' un sistema in perdita. Con i buchi dei bilanci che vengono risanati dai proprietari, a fondo perduto. In Italia i presidenti hanno le spalle coperte. Il fatturato di una grande squadra è dato per il 65% dai diritti Tv, per il 25% dalle sponsorizzazioni e dal marketing e per il 10% dalla biglietteria. La recessione non porterà un grande calo di abbonamenti a Sky, Mediaset e La7. Non credo che il nostro paese arrivi a questo punto di povertà endemica tale che la gente non potrà più permettersi di comprare la partita a cinque euro. E non credo nemmeno che il problema arriverà dalla biglietteria. Le sponsorizzazioni? Le aziende fanno meno utili e potrebbe accadere domani quello che accade oggi con i giornali e le tv. Grossi tagli di budget". Della Valle ha parlato di imbarazzo a livello morale nel vedere in campo calciatori che guadagnano tanto e gente sugli spalti che non arriva a mille euro al mese. "A livello morale siamo d'accordo - spiega Galliani - Però non posso non considerare che il mondo dello show business funziona così. Bruce Willis prende 30 milioni a film. Una star della canzone 8 milioni a concerto".
Fonte: Agi

Macalli: molte altre società di calcio falliranno

"Credo che alla fine dell'anno piangeremo molti club perché non riusciranno ad ottenere l'iscrizione per il prossimo campionato". Lo ha detto il presidente della Lega Pro Mario Macalli, intervistato da Sky Sport 24 in uno speciale dedicato alla crisi del nostro calcio. "Lo scorso anno avevo detto che sarebbero fallite 10 squadre e ho indovinato il numero. Quest'anno la vedo molto male. In una situazione di crisi generale in cui mancano i soldi per portare avanti le aziende, non credo che gli imprenditori investino ancora tanto nel calcio. Il nostro è un mondo che ha un indebitamento notevole, è in difficoltà, i costi superano i ricavi. L'unica cosa che mi dispiace è che questo è un mondo che non vuol prendere atto di questo e nessuno vuole sedersi su un tavolo per discuterne. Il calcio è una azienda che sta fallendo. Nessuno vuole fare l'amministratore unico dei club professionistici italiani - spiega Macalli -; il lavoro federale è quello di dare indirizzi. C'è un grande calcio che deve andare per conto suo, ma gli altri devono fare da sé. Non capisco perché un club di B deve avere risorse dalla serie A che le produce. Sotto la B c'è Lega Pro con 90 squadre, si dice che sono troppe, ma io dico che sotto di noi ci stanno 162 squadre di un mondo che viene chiamato dilettantistico ma che in realtà non lo è". Per Mario Macalli una delle ricette sarebbe la ristrutturazione dei campionati di calcio e di questo si parlerà anche nel prossimo consiglio federale il 18 dicembre. "Io penso che ci debba essere una Lega che governi il grande calcio, quello di serie A che fa spettacolo - spiega - poi sotto vedo due gironi a 18 squadre di serie B e ancora sotto 3 gironi da 18 in Lega Pro". Tante le squadre in difficoltà in questo inizio stagione che rischiano di non poter portare a termine i rispettivi campionati. "Il Messina? Mi chiedo come ha fatto a giocare campionati di A e B con debiti di 45 milioni di euro. Chi doveva controllare cosa ha fatto? Il Pescara ha 11 milioni di indebitamento, ma qualche mese fa a queste società è stato consentito iscriversi, li hanno fatti in pochi mesi questi debiti? Sono cose che mi impressionano. Le posizioni di club come Venezia e Legnano invece sono difficili ma possono trovare soluzioni". Uno dei motivi della crisi secondo Macalli deriva dai costi troppo elevati. "Noi paghiamo troppo. Abbiamo un costo di lavoro elevato e non abbiamo ricavi. Gli stipendi sono molto alti, anche se l'Aic sostiene il contrario. Le società spendono troppo e la cosa più grave, senza critiche agli imprenditori che con i loro soldi fanno cio' che vogliono, è che paghiamo troppo per dei giocatori che non producono nulla. Non abbiamo giovani ed è difficile anche mettere insieme 30 giocatori per le nostre selezioni".
Fonte: Agi
Leggi anche Galliani:«Nessun crac in serie A, rischi contrazione pesante"

martedì 2 dicembre 2008

Cronache del fallimento del Calcio Napoli

In occasione della notizia pubblicata ieri sera dall'Ansa sul rinvio a giudizio degli ex presidenti del Napoli, Ferlaino e Corbelli, e del patteggiamento dell'ex numero uno azzurro, Salvatore Naldi, riproponiamo l'articolo de "La Voce della Campania" sulla relazione del curatore fallimentare Nicola Rascio e i due link di due articoli de "il manifesto" sull'imminente dissesto.
Si ricorda che la riproduzione di tutti gli articoli è soggetta alla citazione obbligatoria della fonte: questo sito non è un archivio per i giornali cartacei, come qualcuno ha purtroppo pensato in passato, nè un'agenzia di stampa.
Marco Liguori

Gli ex presidenti del Napoli Corrado Ferlaino e Giorgio Corbelli e l'ex presidente del collegio sindacale Giuseppe Tampalini sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di concorso in bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della società Calcio Napoli. Lo ha deciso il gup Umberto Lucarelli, che ha accolto le richieste del pm Fabio Del Mauro. Il processo comincerà il 18 marzo davanti alla nona sezione del tribunale. Ha patteggiato invece due anni di reclusione, con pena sospesa, l'ex presidente Salvatore Naldi, assistito dall'avvocato Lucio Maiorano. ''Con l'odierna sentenza - ha commentato Naldi - spero di avere pagato l'ultima onerosa cambiale firmata il giorno in cui mi sentii in dovere di operare un estremo tentativo per salvare la S.S. Calcio Napoli, di cui da anni si chiedeva il fallimento. I miei sacrifici furono vanificati dall'indifferenza e dal tradimento di tutte le istituzioni, cui mi ero ripetutamente rivolto, consapevole che solo l'unione di tutte le forze sane della citta' potesse riuscire nell'impresa, sollecitata da ogni parte''. ''Ora, saldato il conto finale, - ha concluso Naoldi - torno con serenità alla mia famiglia ed al mio lavoro, nella certezza di avere onorato come sempre, fino in fondo, i miei doveri''.
Fonte: Ansa

La Voce della Campania luglio 2006

Calcio Napoli - tutto il marcio minuto x minuto

di Marco Liguori
«Un errore colossale, un danno enorme». Così Nicola Rascio, curatore fallimentare della Società Sportiva Calcio Napoli (Sscn), ha definito nelle 39 pagine della sua prima relazione del maggio 2005 il fallimento della società sportiva napoletana, dichiarato dalla VII sezione del tribunale di Napoli il 30 luglio 2004, quando militava in serie B. Un durissimo “j’accuse” tuttora al vaglio della Procura della Repubblica di Napoli. I pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli e Fabio Massimo De Mauro aprirono, nel periodo successivo al fallimento, un’inchiesta. La relazione del curatore è in parte coperta da “omissis”: non risultano leggibili le pagine da 3 a 17, parzialmente la 35, e quelle da 36 a 39. Molto probabilmente, sono sezioni criptate dall’indagine penale in corso.Secondo indiscrezioni, risultano indagati dalla Procura tre ex presidenti per l’ipotesi di bancarotta fraudolenta: Salvatore Naldi, Corrado Ferlaino e Giorgio Corbelli. Nello scorso febbraio la guardia di Finanza eseguì il sequestro di materiale nelle abitazioni e negli uffici dei tre indagati. Le voci da Palazzo di giustizia riportano che l’indagine dovrebbe concludersi in tempi abbastanza stretti, al massimo entro settembre-ottobre. Inoltre, contro il consiglio di amministrazione è stata anche promossa un’azione di responsabilità. Rascio racconta che secondo la situazione economico-patrimoniale al 31 luglio 2004, la società era sepolta sotto 64 milioni di euro di debiti, con la conseguente revoca dell’affiliazione al campionato di serie B. Inoltre, il curatore aggiunge che a partire da novembre 2003 cessò definitivamente la corresponsione alla maggior parte dei dipendenti tesserati: secondo i prospetti consegnati dall'amministratore unico Paolo Bellamio, alla data del fallimento i relativi crediti privilegiati verso il Napoli ammontavano a più di 13 milioni di euro lordi, cui vanno aggiunte le retribuzioni non percepite dai dipendenti non tesserati e dai co.co.co da aprile a maggio 2004.«La formazione del debito è illustrata nella relazione della coadiutrice - spiega il curatore - dottoressa Giovanna Carrieri, da cui emerge la cospicua entità dei debiti, specie tributari, risalenti alla gestione Corbelli-Ferlaino». La cancellazione del Napoli dal campionato, secondo il curatore, avrebbe potuto essere evitata con il fallimento dichiarato nel corso della stagione sportiva 2003-2004. Ma la situazione risultava critica già nel dicembre del 2002, dopo che era terminato il periodo di “reggenza” dell’amministratore giudiziario, Gustavo Minervini. Il curatore osserva che «era scaduta da più di quattro mesi la concessione» per il centro sportivo di Marianella «ed era pure pervenuto il preannunciato diniego di nuova proroga». Rascio evidenzia ancora che «sarebbe bastata la doverosa appostazione in conto economico di una svalutazione pari al 7% della relativa immobilizzazione al 30/6/2002 per portare la perdita di periodo a euro 8.984.124 e far emergere così, tenuto conto delle perdite per 222.070 euro già registrate tra il 31/5 e il 30/6 portate a nuovo, la perdita dell’intero capitale sociale». Ciò comportava, per il Codice Civile, la convocazione senza indugio dell’assemblea per la ricapitalizzazione oppure lo scioglimento del Napoli. il napoli si poteva salvare Sul danno arrecato dal crack al Napoli, Rascio è molto puntuale e preciso nella descrizione. Il curatore ha spiegato che le Norme organizzative della Federazione italiana giuoco calcio (Noif) prevedono «che in caso di fallimento alla società sportiva viene revocata l’affiliazione con la duplice immediata conseguenza dello svincolo di autorità dei calciatori tesserati e della perdita del titolo sportivo». La situazione descritta nelle Noif ricalca esattamente ciò che è accaduto al vecchio Napoli. Invece, ha sottolineato Rascio, se il fallimento fosse stato dichiarato «nel corso della stagione sportiva e il tribunale dispone la continuità temporanea dell’esercizio dell’impresa», la revoca del titolo sportivo, necessario per la partecipazione ai campionati, «produce effetto solo al termine della stagione sportiva». In pratica, se il fallimento interviene nel corso del campionato «è possibile cedere l’azienda arricchita (sia pure subordinatamente alla delibera del presidente Figc) dal titolo sportivo ed eventualmente dai contratti con i tesserati, come avvenuto ad esempio nel caso del fallimento del Calcio Monza».Quindi, il Napoli si sarebbe potuto salvare: ma ciò non avvenne, poiché il crack ci fu dopo la conclusione della stagione (30 giugno 2004). «Prima che il Napoli sia dichiarato fallito - sottolinea Rascio - la stagione sportiva 2003/04 avrà termine e, come previsto dal collegio sindacale fin dalla riunione del 31/10/2003, l’iscrizione al campionato successivo verrà negata dalla Figc per la carenza dei prescritti requisiti economici-finanziari». Il curatore ha sottolineato che il danno «va ben al di là del residuo, sempre opinabile, valore delle immobilizzazioni relative alle prestazioni sportive dei calciatori, coinvolgendo appunto lo stesso titolo sportivo di serie B». Secondo il bilancio esteso dal consiglio d’amministrazione della Ssc Napoli al 31/3/04, il valore delle immobilizzazioni, al netto della svalutazione della legge “salvacalcio”, era pari a 7,9 milioni. Ma nella relazione il curatore ha rilevato alcuni «indici significativi per la determinazione del pregiudizio arrecato alla società e ai creditori». Tra questi rientra il contratto di affitto d’azienda «stipulato dalla Sscn con Luciano Gaucci il 13/7/2004, sospensivamente condizionato all’iscrizione al campionato di serie B nella stagione 2004/05». Solo alla scadenza del quinto anno era prevista nel contratto l’opzione per l’acquisto del Napoli «al prezzo di 21 milioni, che si vanno ad aggiungere ai 25 milioni corrisposti a titolo di canone». Per Rascio è pregiudizievole anche il contratto «sottoscritto da Gaucci e Napoli Sportiva per l’acquisto dal fallimento della Sscn, non comprensiva nè degli immobili, nè dei contratti dei tesserati» al prezzo di 42,4 milioni in caso di iscrizione in serie B e di 9 milioni in C1.
COLPI DI SOCCER
Ma il curatore ha giudicato negativamente anche l’offerta del 31 agosto 2004 della Napoli Soccer, presieduta da Aurelio De Laurentiis, accompagnata da assegni circolari per 31,25 milioni. Vi rientra anche il contratto di cessione di ramo di azienda (stipulato il 10/9/04) «con la quale la Napoli Soccer acquista dal fallimento della Sscn il ramo di azienda avente ad oggetto l’esercizio dell’attività sportiva per il corrispettivo di 29,25 milioni, ovvero di 47,25 milioni in ragione dell’iscrizione, rispettivamente, al campionato di serie C1 o di serie B per la stagione sportiva 2004/05». Nella relazione sono riportate anche numerose operazioni censurate dal collegio sindacale della società azzurra. Tra esse si segnala un finanziamento di 820mila euro concesso dal Napoli alla Saf, con scadenza 14/11/02 e restituito il 19/12/02. L’operazione, non autorizzata dal cda, è stata svolta in conflitto d’interesse: «le due società sono rappresentate legalmente dal medesimo soggetto» ossia Salvatore Naldi, all’epoca presidente della Saf e del Napoli. Sempre riguardo alla Saf, i sindaci hanno rilevato un pagamento di 178mila euro più iva effettuato a suo favore il 19 novembre 2003 «per utilizzo di personale presso la Sscn in virtù di contratto non disponibile presso la società».Questo contratto aveva ad oggetto «il distacco per un anno del dott. Nicola De Leva presso Sscn con compiti di direttore generale secondo quanto disposto dal cda del 25/2/2003: il costo mensile per Sscn è di ben 22.250 euro (iva esclusa)». Riguardo a questa voce, le scritture contabili riportano tre pagamenti: 213.600 euro il 19 novembre 2003, 80.100 euro il 3 febbraio 2004 e 7.500 euro il primo aprile 2004, tutti effettuati su disposizione di Salvatore Naldi. Il curatore ritiene significativo che nello stesso periodo De Leva abbia con il Napoli un contratto di collaborazione coordinata e continuativa per un corrispettivo netto di 25mila euro, oltre a un premio di fine rapporto del 13,5%. Le scritture contabili rilevano pagamenti mensili in favore di Di Leva per complessivi 28.847,39 euro, con un costo lordo di 40.247,10 euro.
VISSI D'ARTIS
Un’altra anomalia riguarda un «pagamento di 350mila euro in data 8/9/03 a titolo di caparra penitenziale per un contratto di somministrazione di servizi alberghieri» effettuato a favore di Hotel Mediterraneo-Cerc, il cui capitale appartiene a Salvatore Naldi, che ne era anche presidente. Il curatore ha rinvenuto presso la sede del Napoli un contratto del 16 settembre 2003 stipulato da Salvatore Naldi per conto della società azzurra con la Artis Consulting, avente ad oggetto «l’incarico di svolgere in favore della società un’attività di consulenza finalizzata al risanamento del Napoli» al “modico” prezzo annuo di 130mila euro più iva. La Artis (acronimo di Alternative-Risk-Transfer-Integraded-Solutions) è una srl con 10mila euro di capitale sociale: ne è amministratore unico e direttore generale Giovanna Russo, che ne detiene il 52%, mentre Maria Soledad Agretto è al 48%. La Russo è definita dalle cronache dei quotidiani dell'epoca come «consulente di Salvatore Naldi». Rascio sottolinea ben tre singolarità dell'accordo Napoli-Artis. Per lo svolgimento dell’incarico è consentito ad Artis «di avvalersi di professionisti e/o società specialistiche da essa insindacabilmente designati e retribuiti previa messa a disposizione di corrispondente fondo spesa da parte di Sscn». Per tutta la durata triennale del contratto, nonostante all’articolo 5 venga indicato che sia «rescindibile da ambo le parti in ogni momento», il Napoli «si impegna a non recedere sino alla scadenza, obbligandosi in caso contrario a corrispondere una somma pari al residuo corrispettivo contrattuale maggiorato del 2%».Ma il curatore rileva due circostanze ancor più gravi. La prima riguarda il fatto che «Artis viene costituita il 15/9/2003, dunque appositamente per ricevere i “benefici” del contratto stipulato l’indomani con Sscn». Inoltre, «nello stesso periodo in cui Sscn - scrive Rascio - non riesce a soddisfare i crediti privilegiati dei dipendenti tesserati, Artis riceveva, anche su espressi ordini del presidente Naldi, tre pagamenti per 14.950 euro in data 3/11/2003, per 84mila euro in data 18/11/2003 e per 30mila euro in data 23/2/2004». A ciò bisogna aggiungere due pagamenti per complessivi 98.950 euro in favore della Artis, rilevati dal collegio sindacale del Napoli, a fronte di fatture in acconto per “consulenza risk management”, senza che «in sede siano disponibili nè il contratto nè l’eventuale risultato scritto della consulenza».
PARADISI FISCALI
I sindaci denunciano anche il persistente mancato versamento dei residui 7/10 dell’aumento di capitale sottoscritto il 17 luglio 2003 dal socio di maggioranza, la società lussemburghese Napoli Calcio Sa, e l’inerzia del consiglio di amministrazione, «che non ha dato seguito alla diffida ex articolo 2344 codice civile pubblicata in Gazzetta Ufficiale fin dal 13/11/2003». La norma prevede che, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta, se il socio non esegue il pagamento delle quote dovute gli amministratori possano vendere le azioni a suo rischio e per suo conto, a mezzo di un istituto di credito. Proprio riguardo alla rimanente somma dovuta, pari a 3,36 milioni, per l’aumento di capitale dalla Napoli Calcio Sa il curatore ha rilevato che nella riunione del cda del 3 febbraio 2004 fu deliberato «di dare mandato al legale di fiducia per ottenere il pagamento». Nonostante la conclamata situazione di dissesto del Napoli e il parere sfavorevole dei sindaci, il consiglio deliberò i compensi per i consiglieri e anche le retribuizioni per l’attività pregressa. Soltanto queste ultime saranno incassate dai membri della sfortunata società azzurra: 200mila euro al presidente Naldi per compenso dal 1/7/2002 al 3/2/2004, 35mila euro all’amministratore delegato Luigi Albisinni per incarico dal luglio 2002 al gennaio 2004 e 10.240 euro al vicepresidente Bruno Matera per compenso dal luglio 2002 al dicembre 2003. Su questi pagamenti grava la chiosa finale del curatore fallimentare: "la natura privilegiata del cui credito è quantomeno discutibile".
Affari di famiglia
Nella vicenda del "ciuccio-crack" grava anche un macroscopico intreccio familiare. Secondo la relazione del curatore fallimentare, nell’aprile 2004 il collegio sindacale ha rilevato "la stipula, in conflitto d’interessi, di due contratti con Napoli Service Promotion e uno con Napoli Team relativi allo sfruttamento del marchio Sscn e ritenuti pregiudizievoli per Sscn". Tutte le scritture sono state firmate da Salvatore Naldi, quale presidente del Napoli, e da suo figlio Cesare, legale rappresentante delle due controparti. Il contratto con la Napoli Team, costituita il 22 ottobre 2002 con Cesare Naldi socio al 25,5%, fu sottoscritto il 10 gennaio 2003 e aveva come oggetto "una licenza d’uso dell’immagine, del nome e del marchio per la realizzazione di una specifica iniziativa promozionale relativa alla creazione di un circuito di negozi convenzionati e di una fidelity card a punti, contro un corrispettivo ragguagliato sul 10% del fatturato generato". Peccato però che non fosse previsto un minimo garantito per il Napoli. Il contratto prevedeva una clausola molto onerosa per il club azzurro: il pagamento di una somma di 1,5 milioni di euro rivalutabile annualmente "a titolo di corrispettivo per il recesso o per la risoluzione per inadempimento della stessa Sscn". Per Rascio i due contratti con la Napoli Service Promotion sono stipulati in tempi "assai prossimi al fallimento e con ogni probabilità in grado di svuotare la Sscn dal suo maggior valore commerciale". La scrittura stipulata nel gennaio 2004 aveva ad oggetto la concessione del marchio Sscn per la produzione e commercializzazione di determinati articoli per un corrispettivo pari al 10% del fatturato, senza però minimo garantito. L’altro contratto, firmato nel marzo 2004, attribuiva addirittura la licenza esclusiva dei marchi del Napoli sino al 30/12/2014 per un corrispettivo pari al 10% del fatturato, sempre senza minimo garantito. Il curatore raffronta l’eccessiva onerosità di questo contratto per il Napoli con le condizioni decisamente più eque di quello stipulato dalla società partenopea con Publitalia ‘80 nell’agosto 2001, a cui era stato concesso un uso limitato di sfruttamento del marchio. Per tre stagioni sportive, la società del gruppo Fininvest ha dovuto elargire al Napoli un minimo garantito compreso tra i 7,5 e i 18 miliardi di vecchie lire. Riguardo all’azionariato della Nsp (in liquidazione dal novembre 2004) c’è un mistero targato Svizzera: il 99% del suo capitale è in mano alla società di gestione patrimoni Taurus Financial Services sa di Ginevra, con succursale a Lugano. Chi sia il reale possessore o possessori del pacchetto di maggioranza non è dato saperlo. Il restante 1% è in mano a Cesare Naldi. Il curatore ha ritenuto di segnalare che il 1° ottobre 2003, poco prima di assumere la carica di amministratore unico di Napoli Service Promotion, Cesare Naldi ha sottoscritto con il presidente della Ssc Napoli, ossia con suo padre Salvatore, un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un compenso di 10mila euro netti mensili per "la gestione e lo sviluppo dell’intero settore commerciale". In esecuzione del co.co.co. il 23 gennaio 2004 gli sarà corrisposta la somma di 30mila euro.
Marco Liguori

Il manifesto 15/04/2003
Conti e paradisi fiscali, la tragica farsa del ciuccio
Un'inchiesta in due puntate sui guai finanziari che rischiano di far sparire il club azzurro dal calcio che conta
di Marco Liguori e Salvatore Napolitano
http://marcoliguori.blogspot.com/2008/02/il-ciuccio-in-agonia.html

giovedì 27 novembre 2008

Il tribunale dichiara il fallimento del Messina

Il tribunale di Messina ha dichiarato il fallimento dell'Fc Messina, la società calcistica dei fratelli Vincenzo e Pietro Franza. La Procura aveva chiesto il fallimento dell'Fc Messina, nell'ambito dell'inchiesta relativa al falso in bilancio, dopo aver visionato gli atti sequestrati lo scorso 15 ottobre e le perizie depositate dai consulenti. La sezione di Pg della Guardia di finanza aveva allora sequestrato gli atti e i bilanci relativi alla gestione delle due società, a partire dal 2006. Attualmente il Messina gioca in Serie D e si trova in coda alla classifica. 
Nel 2004 fu la sorpresa del Campionato di A: settimo posto, miglior piazzamento di sempre nella massima serie, ed entusiasmo tra i tifosi per l'arrivo del grande calcio. Ma l'anno successivo il Messina dei fratelli Franza retrocede. Saranno le vicende 'calciopoli' a consentire il ripescaggio dei giallorossi. Le speranze svaniscono presto e nel 2006 la squadra torna in B per rimanerci anche l'anno successivo. A luglio scorso la doccia fredda: niente soldi per l'iscrizione nel campionato cadetto. Oggi il fallimento. I Franza evitano le conseguenze del Lodo Petrucci e la discesa nella Seconda divisione, ottenendo l'iscrizione il Serie D, dove attualmente la squadra si trova al terzultimo posto. Al di là delle vicende sportive, sulla società pesa un'inchiesta della procura, partita dalla mancata iscrizione e poi estesa al contratto stipulato tra il Comune e i Franza, che hanno avuto in concessione le aree non sportive dei due stadi, il Celeste e il San Filippo, con l'obiettivo di utilizzarle per attività commerciali. Ai primi di dicembre il Consiglio comunale dovrà decidere se bloccare quella convenzione. Ma intanto è arrivato il fallimento.
Fonte: Ansa

lunedì 3 novembre 2008

Fallimento Perugia: tolto l'ordine di carcerazione per Luciano Gaucci

Il gup del tribunale di Perugia Paolo Micheli ha revocato l' ordinanza di custodia cautelare in carcere per Luciano Gaucci, emessa nel 2005 nell' ambito della inchiesta sul fallimento del Perugia calcio. Gaucci non fu arrestato perche' fuggito a Santo Domingo dove vive tuttora. Il gup ha accolto l' istanza di revoca del suo difensore Angelo Sammarco.
L' istanza di revoca era stata presentata per gravi problemi di salute del fratello del ex patron del Perugia. Il pm Antonella Duchini aveva espresso parere favorevole ed il gup Paolo Micheli, lo stesso del processo per l' uccisione della studentessa inglese Meredith Kercher, ha disposto la revoca dell' ordinanza. Gaucci e' accusato di bancarotta fraudolenta ed altri reati. Con lui sono imputati i figli Alessandro e Riccardo Gaucci, che invece erano stati entrambi arrestati e poi scarcerati. Per il 26 novembre prossimo e' fissata l' udienza nella quale il gup dovra' decidere se accogliere la richiesta di patteggiamento alla condanna a tre anni di reclusione per Luciano Gaucci.
Fonte: Ansa

martedì 30 settembre 2008

«Preziosi poteva evitare il crac del Como Calcio»

Tratto da Liberomercato - 17 Ottobre 2007
Dopo circa un anno, si è svolta ieri la seconda udienza del processo per il crack del Como Calcio presso il tribunale penale di Como. Non si sono presentati a difendersi dalle accuse di bancarotta fraudolenta i due imputati, l'’industriale ed ex presidente della società lariana (e attuale numero uno del Genoa) Enrico Preziosi e l’'ex amministratore unico Massimo D’Alma. Nell’'udienza di ieri si è registrato il ritiro di tre parti civili (l'’ex allenatore Roberto Galia e i calciatori Crisopulli e Rossini) ed è iniziata l’'audizione dei 41 testimoni. Tra quelli dell'’accusa si segnalano l'’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi e il curatore fallimentare Francesco Corrado. Proprio la relazione preparata da quest'’ultimo costituisce uno dei cardini principali dell’'accusa. In essa si legge che «la Fingiochi spa è stata sino al 18/10/2003 socio di maggioranza sia del Como che del Genoa, Enrico Preziosi è stato presidente del cda del Como sino al 18/10/2003 e dal novembre 2003 nel cda del Genoa». Il curatore ha puntato l'’indice contro le operazioni di calciomercato svolte dalla dirigenza della società lariana. «Si ritiene pertanto che il presidente del cda del Como Calcio –- prosegue Corrado -– ben conosceva lo stato d’'insolvenza della società, operando con i passaggi tra Como-Modena-Genoa ha causato notevoli danni alla società Como distraendone cespiti attivi, con i quali avrebbe potuto coprire parte dell'’indebitamento». Sempre a proposito della compravendita calciatori, il curatore ha anche evidenziato che «le omesse rilevazioni relative ai giocatori, ai fini del bilancio hanno comportato la possibilità di nascondere il pesante risultato negativo». Corrado ha espresso anche i suoi dubbi per alcune «cessioni gratuite con pesanti conseguenze a carico del Calcio Como e gli enormi benefici per il Genoa Calcio, aggiungendo infine che è palese il contrasto di interessi esistenti trattandosi dello stesso soggetto».
Oltre agli atti processuali, c’'è anche una “chicca” contenuta nella relazione del collegio sindacale allegata al bilancio del Como chiuso al 30 giugno 2004. I tre componenti scrivono che nella riunione del 19 settembre 2004 «il collegio sindacale non è stato messo nella condizione di visionare tutti i libri sociali perché non disponibili presso la sede sociale». Ma i tre sindaci riportano anche di un particolare grave. «In merito alle verifiche extra contabili relative all’'affidabilità del sistema amministrativo contabile, il collegio sindacale NON ha ricevuto nessuna relazione dal responsabile amministrativo dott. D’'Alma Massimo».

Marco Liguori

mercoledì 24 settembre 2008

Il fallimento del Como calcio

Tratto da mensile La voce della Campania – Gennaio 2007
In fondo al lago di Como c’è un mistero: il crac del Como Calcio. La società fu dichiarata fallita dal tribunale della città lariana il 22 dicembre 2004, dopo alcuni anni di travagliate vicende societarie. I pubblici ministeri hanno di seguito indagato sulle cause del dissesto, arrestando nel settembre 2005 un imputato eccellente: l’ex presidente Enrico Preziosi, titolare della Giochi Preziosi, con l’ipotesi di bancarotta fraudolenta. Quattro anni fa Preziosi – oggi in sella al Genoa che tenta la risalita in serie A – cercò di dare la scalata al Napoli, alle prese con la querelle Ferlaino-Corbelli e prima della disastrosa gestione Naldi. Gli ultimi, vorticosi passaggi di mano sono ancora al vaglio della magistratura penale, pm Vincenzo Piscitelli, il quale tra l’altro segue i clamorosi crac del gruppo Ambrosio e del Banco di Napoli, per molti versi collegati, visto che sono stati i crediti facili da mille miliardi e passa di vecchie lire a provocare le voragini nelle casse del Banco, poi svenduto alla BNL e quindi lautamente smistato al San Paolo di Torino. Ma torniamo in riva al lago. L’epilogo dell’inchiesta giudiziaria ha visto la successiva richiesta di giudizio immediato (ossia di ricorre re al dibattimento saltando l’udienza davanti al Gup) dell’ex numero uno del defunto Como. Insieme a lui deve essere giudicato, per l’ipotesi di concorso nella bancarotta, l’ex amministratore unico, Massimo D’Alma, che ha gestito la società nei mesi immediatamente precedenti al fallimento. Invece il primo successore di Preziosi, l’ex presidente Aleardo Dall’Oglio, ha patteggiato il 16 febbraio scorso la condanna ad un anno e quattro mesi di reclusione, con pena sospesa e un risarcimento di 500mila euro. Il processo contro Preziosi e D’Alma ha però subito uno stop improvviso già alla prima udienza, che si è tenuta lo scorso 5 dicembre presso il tribunale di Como. E’ stata riscontrata, in un’ordinanza del presidente del collegio giudicante Alessandro Bianchi, l’impossibilità di proseguire «a causa della riduzione di organico della sezione penale, aggravata dal recente trasferimento ad altra sede del magistrato che avrebbe dovuto presiedere l’odierno Collegio». Di conseguenza, il tutto è stato rinviato al 16 ottobre 2007.
Curatore contro
Ma facciamo un passo indietro: la relazione del curatore fallimentare Francesco Corrado, e un atto di transazione firmato da quest’ultimo con Preziosi, possono aiutare a comprendere alcuni aspetti della vicenda. Lo stesso Preziosi, nella transazione, specifica «di aver rivestito gli uffici di consigliere di amministrazione, presidente e consigliere delegato di Calcio Como spa, con sede in Como, in via Sinigaglia 2, nel periodo 16 luglio 1997-18 ottobre 2003». Ma, stando al rapporto del curatore, ciò non sembra esimerlo dalle sue responsabilità. Il primo punto cruciale nella relazione riguarda la riunione tra Corrado e D’Alma nel gennaio 2005. Il curatore chiese per iscritto all’amministratore unico del club comasco una relazione dettagliata in dieci punti sul fallimento della società. D’Alma rispose il 10 gennaio 2005, difendendo il suo operato: «Le cause del dissesto sono sicuramente anteriori alla mia durata in carica, viste le preesistenti perdite». L’amministratore prosegue spiegando che «al fine di abbattere parte delle perdite era prevista la rinuncia ai crediti dei soci verso la società, relativi ai precedenti finanziamenti pari a circa 2.500.000 euro, con l’aggiunta di un contributo di 300.000 euro ogni mese da parte di Preziosi e di un contributo annuo complessivo di circa 750.000 euro da parte di Dall’Oglio». D’Alma ha fornito anche informazioni riguardo al suo acquisto del pacchetto di maggioranza del Como dalla Lo. da.s r l. «Formalmente – scrive D’Alma – le azioni sono state rilevate il 21/6/2004 dalla Lo. da. indicandone il prezzo nominale, ma non effettuando nessun esborso in danaro. In realtà mi venne chiesto di svolgere il ruolo di amministratore unico della società; parallelamente, mi venne chiesto di acquistare nominalmente il 74,70% delle quote sociali con l’intesa che le stesse sarebbero state rivendute a terzi, con cui vi erano trattative in corso non perfezionate». Stando alla relazione del curatore, Lo. da aveva a sua volta rilevato l’8 ottobre 2003 il 99,7% del Como dalla Fingiochi, di cui Preziosi era azionista di riferimento. Scorrendo l’elenco soci in Camera di Commercio si ha una sorpresa: Lo. da. è posseduta quasi interamente da una fiduciaria, la milanese Pvm srl. Chi ci sia dietro la società resta un mistero: neanche il curatore fornisce informazioni in merito. Secondo le visure camerali Lo. da. ha un patrimonio da appena 10mila euro: ne è presidente Aleardo Dall’Oglio, nominato al vertice del Como nell’assemblea del 30 ottobre 2003.
Litigi preziosi
Dunque D’Alma deteneva il pacchetto di maggioranza del Como, in attesa dell’arrivo di partner freschi. Aggiunge che gli fu garantito che «sino al momento dell’ingresso dei nuovi soci, Preziosi e dall’Oglio avrebbero provveduto al fabbisogno finanziario della società». Ciò fu effettivamente eseguito. «Poi improvvisamente – prosegue D’Alma – a quanto mi venne detto dallo stesso Dall’Oglio, per dissidi sorti tra lui e Preziosi i finanziamenti cessarono». L’ex amministratore evidenzia che «la situazione della Calcio Como spa era già gravosa al momento del mio ingresso». Nonostante ciò, i suoi rapporti con Preziosi e Dall’Oglio «prima del mio ingresso si sono limitati ad un paio di incontri, mentre più continui sono stati i rapporti tra i loro e i miei consulenti che mi hanno assistito nei primi mesi di gestione». D’Alma conclude la sua relazione evidenziando che il debito verso i tesserati era così ingente «in quanto legato a contratti perfezionati per la quasi totalità in serie A, e non avendo la possibilità di pagarlo in un’unica soluzione, dato che Preziosi e Dall’Oglio avrebbero fornito i contributi promessi solo in tranches mensili, a seguito di trattative con atleti e loro procuratori, come di prassi nel mondo del calcio, è emersa la volontà comune di corrispondere un congruo acconto subito e di transare con dei titoli posdatati, confidando tutti nell’adempimento degli impegni assunti verso la società dai due finanziatori».
Incredibile ma vero. Tutto questo era necessario per ottenere le liberatorie da presentare presso la Lega, per l’iscrizione del Como al campionato di serie C1. In base all’esposto di D’Alma, il curatore fallimentare Francesco Corrado evidenzia come «sembrerebbe che le responsabilità del dissesto sarebbero da addebitare al Signor Dall’Oglio Aleardo e in particolare al Signor Preziosi Enrico». Preziosi ha dichiarato di aver richiesto il dibattimento per dimostrare fermamente la propria innocenza. Tuttavia c’è un documento che ne accerta le responsabilità riguardo al fallimento del Calcio Como: è proprio quell’atto di transazione con il curatore fallimentare, stipulato dall’ex numero uno lariano il 28 settembre del 2005, ossia pochi giorni dopo la notifica nei suoi confronti dell’ordinanza di custodia cautelare. Nel documento si legge che l’imprenditore avellinese «intende prevenire l’esperimento in confronto suo e del figlio Matteo Preziosi di azione di responsabilità ex art. 146 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, da parte del fallimento Calcio Como anche in relazione al periodo successivo alla formale cessazione dalle cariche sua e del figlio». Inoltre, ha anche impedito al curatore l’esercizio di «possibili azioni revocatorie e/o risarcitorie verso Genoa Cricket and Football Club spa» posseduta attualmente da Enrico Preziosi. A seguito di questo atto, la curatela non si è neppure costituita parte civile nel giudizio penale. Nella transazione è previsto il «risarcimento della quota-parte dei danni causati dal proponente e dal signor Matteo Preziosi alla società dichiarata fallita e ai creditori di questa e riferibile ai soli signori Enrico Preziosi e Matteo Preziosi determinata in complessivi 5.500.000 euro».
È dalle relazioni del collegio sindacale che arrivano, infine, le chicche forse più "preziose". La relazione allegata al bilancio del Como chiuso al 30 giugno 2004, l’ultimo prima del fallimento, evidenzia un vero e proprio festival delle irregolarità. A causa di queste i tre componenti, Adolfo Accarino, Guido Campopiano e Giovanni Anastasio, avevano espresso nel loro documento, datato 22 novembre 2004, parere contrario all’approvazione del bilancio. I sindaci premettono che sono stati nominati il 20 giugno 2004, a pochi giorni dalla chiusura dell’esercizio e si sono trovati «nella materiale impossibilità di verificare la vita sociale, contabile e amministrativa del Calcio Como spa, in quanto tale compito era di competenza del precedente collegio sindacale». Il successivo 19 settembre i sindaci procedono alla verifica trimestrale e denunciano che «in quella riunione il collegio sindacale non è stato messo nella condizione di visionare tutti i libri sociali perché non disponibili presso la sede sociale». Ma c’è anche un particolare grottesco. I tre, infatti, segnalano che la relazione per la verifica «NON è stata trascritta nel libro dei verbali del collegio sindacale perché lo stesso era custodito presso il dott. Plazzotta Marco, precedente presidente del Collegio Sindacale». Il rilievo seguente è stupefacente. «In merito alle verifiche extra-contabili – prosegue il collegio – relative all’affidabilità del sistema amministrativo contabile, il collegio sindacale NON ha ricevuto nessuna relazione dal responsabile amministrativo dott. D’Alma Massimo». I tre sindaci segnalano che la società lariana al precedente 30 giugno evidenziava una perdita di 8,2 milioni che aveva eroso il capitale sociale. Di conseguenza, gli "sceriffi" consigliano il ripianamento immediato della perdita e la ricostituzione del capitale.
Creditori vip
Anche la Gea World risulta nell’elenco dei creditori ammessi al passivo del fallimento del Como ammontante a oltre 16,6 milioni, mentre gli esclusi ammontano a 10,6 milioni. La società già presieduta da Alessandro Moggi è stata «ammessa al chirografo per euro 121.836». Nell’elenco risultano alt re società di procuratori o agenti di calciatori tutti creditori chirografari: Stefano Antonelli per 81.539 euro ed escluso per 16mila euro, Branchini & Associati per 41.879 euro ed escluso per 8mila, Silvano Martina per 41.489 euro. C’è anche la Sir di Genova del procuratore Vincenzo Rispoli «ammessa al chirografo per euro 360.228» ed esclusa per 34mila euro. Un altro "re" del mercato, Claudio Pasqualin, è stato escluso per 607mila euro. Anche Publitalia ‘80 è rimasta coinvolta con un credito chirografaro per oltre 48mila euro. Ovviamente sono compresi anche i calciatori. In particolare, vi sono i sei che si sono costituiti parte civile ammessi: Mauro Bressan, Alessandro Colasante, Daniele Gregori, Francesco De Francesco, Luigi Crisopulli e Stefano Rossini, il solo che vanti un credito privilegiato. I primi quattro sono stati riconosciuti creditori chirografari «in quanto la prova del credito è data da un assegno, titolo che per sua natura non reca alcun collegamento funzionale con la prestazione di lavoro che risulta soddisfatta in data 6/7/2004 e come da libera toria sottoscritta dal richiedente». I calciatori non sono stati ammessi per alcuni importi per la mancata ratifica dell’accordo con il Como. Anche Crisopulli è stato escluso per 152mila euro per lo stesso motivo. Nell’elenco compare anche l’ultimo allenatore del Como, Roberto Galia, altra parte civile. Infine, ci sono anche due big del foro: gli avvocati Eduardo Chiacchio e Ruggero Stincardini. Il legale napoletano è stato riconosciuto creditore privilegiato per 116mila euro e chirografaro per 7150 euro per "indennità di trasferta", mentre Stincardini è privilegiato per 116mila euro, chirografaro per 15mila ed escluso per 27mila euro.
Marco Liguori


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il pallone in confusione

Registrazione n° 61 del 28 settembre 2009 presso il Tribunale di Napoli
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