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martedì 10 novembre 2009

Moggi: «Perché Carraro e Collina non sono imputati come me?»

Franco Carraro e Pierluigi Collina, perché non sono qui, sul banco degli imputati come me? E' stato questo il senso delle dichiarazioni spontanee rese oggi da Luciano Moggi all'inizio dell'udienza, davanti alla nona sezione penale, collegio A, del tribunale di Napoli dove è in corso il processo Calciopoli che vede l'ex dg della Juventus Moggi indagato insieme ad altre 24 persone. Moggi, nell'atto di accusa dei pm Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci è indicato come il promotore di un'associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Leggendo «le intercettazioni - ha detto Moggi in aula dove ha parlato per la prima volta da quando è cominciato il processo - si trova una telefonata di Collina il quale dice al dirigente del Milan Meani che avrebbe voluto parlare con il presidente della Lega Galliani allora anche vice presidente del Milan. Il tenore della telefonata era piu' o meno questo: "Vorrei parlare con Galliani però dovremmo arrivare al tuo ristorante in un giorno di chiusura a mezzanotte perché possa entrare dalla porta di dietro affinche' non mi veda nessuno". Questa intercettazione non è stata inserita nel processo e addirittura Collina oggi è il designatore capo degli arbitri. Mi domando e vi domando: se un arbitro in attività - ha continuato Moggi - può fare una cosa del genere e se effettivamente come ha detto "incontrare Galliani per un discorso esclusivamente per il futuro della sua carriera" non poteva farlo nelle sedi opportune della Lega dove Galliani era presidente evitando il giorno di chiusura del ristorante, la mezzanotte e la porta sul retro per non farsi vedere? Signor presidente a pensare male si fa presto ma spesso si indovina». Poi Moggi ha tirato in ballo Franco Carraro, all'epoca presidente della Figc. «Sono stato anche accusato - ha detto l'ex dg bianconero - di aver fatto retrocedere il Bologna, quando poi si va a leggere di un'intercettazione dell'allora presidente federale Franco Carraro nella quale dice al designatore Paolo Bergamo che bisogna aiutare Lazio e Fiorentina a evitare la retrocessione. Guarda caso retrocedono Bologna e Brescia e si salvano Lazio e Fiorentina. L'intercettazione del presidente della Figc passa inosservata». Per la cronaca, Carraro è stato prosciolto da ogni addebito con sentenza della Corte di Cassazione da Calciopoli. Collina non è stato mai iscritto nel registro degli indagati. Moggi si e' poi lamentato del trattamento che ha subito rispetto ad altri e in particolare del dirigente del Milan Leonardo Meani che, a detta del teste Manfredi Martino, ascoltato in aula il 6 novembre scorso, riceveva gli sms con i nomi degli arbitri assegnati ai rossoneri anche 20 minuti prima di Moggi. «Martino - ha detto Moggi nella sua dichiarazione spontanea - lo trovo qui come testimone e non come imputato». Durante la sua testimonianza Martino parlò di uno strano colpo di tosse da parte del designatore Pier Luigi Pairetto durante il sorteggio dell'arbitro per Milan-Juve, partita che decideva il campionato 2004-2005, mentre il giornalista indicato dall'Ussi pescava le palline nell'urna dove c'erano le palline con le schede delle partite: «Se quel colpo di tosse era diretto al giornalista - ha detto Moggi in aula - allora questi era parte della combine. Non lo so. Allora tutti i giornalisti e i notai che hanno partecipato ai sorteggi arbitrali dovrebbero essere interrogati, indagati». L'intervento fuori programma di Moggi ha distratto l'attenzione sul teste previsto in udienza, il maresciallo dei carabinieri Michele Di Laroni, uno dei tre militari del pool dell'Arma che ha lavorato alle intercettazioni telefoniche e in particolare sulle 31 utenze di telefonia mobile di una compagnia telefonica svizzera che sarebbero state utilizzate dagli indagati. «Erano come utenze citofoniche - ha detto in aula il teste -. Venivano usate per parlare tra loro». In aula è stato anche affermato che gli indagati avrebbero utilizzato inoltre anche 385 utenze di una compagna di telefonia mobile del Liechtenstein che però erano tutte prive di riferimenti anagrafici.
Fonte: Ansa

venerdì 9 gennaio 2009

Chi era il socio della Gea nascosto da Romafides? Resterà un mistero

I senatori della Lega Nord Stiffoni e Tirelli presentarono nel novembre 2002 un'interpellanza ai ministri Tremonti e Urbani in cui si ipotizzava che la società di procuratori avesse «probabilmente avuto quale fondatore anche il figlio del presidente della Federcalcio» Franco Carraro. Un enigma tuttora irrisolto

Ripropongo questa mia intervista che ho rilasciato il 14 maggio 2006 alla collega Marina Beccuti su www.toronews.net Rileggendola dopo circa due anni e mezzo, mi sembra di essere stato facile profeta: "calciopoli" è stato solo un grande polverone, che ha coperto le responsabilità di chi ha gestito il palazzo del calcio fino al 2006. Molto probabilmente la verità su ciò che è davvero accaduto non verrà mai a galla. A proposito della Gea World, parlai (dopo averne scritto nel 2004 con Salvatore Napolitano nel libro "Il pallone nel burrone") dell'interpellanza presentata il 13 novembre 2002 dai senatori della Lega Nord, Piergiorgio Stiffoni e Francesco Tirelli, agli allora ministri Tremonti e Urbani sul socio occulto che si nascondeva dietro la fiduciaria Romafides dell'allora gruppo Capitalia, oggi confluito in Unicredit: gli esponenti del Carroccio avanzarono il dubbio che la Gea World avesse «probabilmente avuto quale fondatore anche il figlio del presidente della Federcalcio» ossia Luigi Carraro, rampollo di Franco allora numero uno della Figc. Ciò non è dato saperlo: i senatori non hanno mai avuto risposta, nè il processo (di cui ieri è stata pronunziata la sentenza di primo grado) ha dato chiarimenti in merito. E non lo sapremo mai più.
Marco Liguori

"Qualche testa cadrà, ma temo non sarà una rivoluzione''
Intervista a Marco Liguori
Insieme al collega Salvatore Napolitano, Marco Liguori ha iniziato a indagare sugli affari della Gea, per poi produrne un libro di successo “Il pallone nel burrone”. Ora siamo arrivati al bordo di questo burrone, forse ci siamo già finiti dentro, è quasi impossibile stare dietro a tutte le notizie che si susseguono di ora in ora e che non fanno che aumentare il grande circo di chi ha barato per ottenere favori. Abbiamo chiesto proprio a Marco Liguori, che di mestiere fa il giornalista economico del Sole24ore, che sta succedendo e come si è arrivati a questo terremoto.
Partendo dal fondo Marco, ma alla fine cosa succederà?
“Temo niente, nel senso che il calcio non ha la forza per risollevarsi per cui pagheranno alcuni dirigenti, cadranno alcune teste, ma le cose alla fine resteranno come prima. Un consiglio che mi sento di dare è che la Lega venga gestita da manager esterni, non dai presidenti stessi delle società di calcio”.
In Italia è facile avere sospetti, in questo caso si può pensare che se cade un potere è perché ce n’è un altro in atto che cerca di spodestare il primo. E’ possibile come deduzione?
“E’ possibile, niente nasce per caso e comunque se siamo arrivati a questo punto non è solo grazie alle indagini, alle intercettazioni, ma perché certamente qualcuno ha parlato, ha confessato come stavano le cose”.
Intanto si può pensare che anche gli altri procuratori, per intenderci non della Gea, si siano stufati di non poter svolgere il loro lavoro in modo professionale e autonomo, concordi?
“Salvatore ed io abbiamo sentito molti altri procuratori, non della Gea, i quali ci hanno raccontato tante cose che però non abbiamo potuto pubblicare e loro stessi vogliono restare anonimi per timore, per paura, per non esporsi”.
Le vostre inchieste partono a cavallo tra il 2002 e il 2003 in scia ad un’interpellanza parlamentare fatta da due deputati leghisti Tirelli e Stiffoni, che fine hanno fatto quelle interpellanze?
“Giacciono in qualche scrivania di Palazzo Chigi, a prendere polvere. Le richieste di fare luce sul caso erano state portate al cospetto di Tremonti e Urbani, ma i due ormai ex Ministri non hanno mai fornito una risposta”.
Almeno a livello politico la questione è stata trasversale, la denuncia parte da due esponenti della Lega, voi ne avete fatta un’inchiesta giornalistica che venne pubblicata dal Manifesto. Mai avuto pressioni giornalistiche?
“No, siamo sempre stati liberi in questo lavoro. Per chiudere il cerchio della trasversalità politica ricordiamo che le società calcistiche sono state trasformate in S.P.A. a scopo di lucro dal precedente Governo Prodi”.
Nella Gea c’erano altre due società: la Football Management e la General Athletic, ma esisteva anche una finanziaria, Romafides del gruppo Capitalia, che pare detenesse il 40% della Gea, una società di cui si è sempre saputo molto poco.
“Non solo non si è mai capito il suo effettivo ruolo, ma soprattutto dietro c’era un personaggio occulto cui si ipotizzò si trattasse di Luigi Carraro, sì proprio il figlio di Franco, il presidente della Figc che ha dato le dimissioni in questi giorni. Un giorno Alessandro Moggi candidamente al Corriere dello Sport disse che dietro alla Gea non c’era nessuna fiduciaria, di andare a controllare alla Camera di Commercio. Andammo e incredibilmente Romafides era scomparsa. Tra le altre cose mentre degli altri procuratori si conoscono i giocatori affiliati, della Gea non si conoscono tutti i loro assistiti, se non i più noti, come Nesta per esempio”.
Al Tg3 Carlo Nesti ha fatto il nome di Baraldi come possibile successore di Moggi alla Juventus. Non è un nome nuovo nel mondo del calcio, un personaggio non del tutto esente dall’aver aggirato qualche regola…
“In effetti Baraldi è stato colui che ha spalmato dapprincipio i debiti Lazio in cinque anni. Realizzò lo spostamento di una serie di partite di debito, compresi gli stipendi dei calciatori. Nel CdA del Parma Baraldi fu l’unico che prese 318mila euro come quota di liquidazione, mentre tutti gli altri soci incassarono zero euro. Adesso fa il presidente della squadra della sua città: il Modena”.
In bocca al lupo al calcio, ne ha davvero bisogno!
Tratto da https://www.toronews.net/index.php?action=article&ID=2049
La riproduzione del testo introduttivo e dell'intervista è consentita soltanto dietro citazione delle fonti "il pallone in confusione" e "Toronews.net"

mercoledì 5 novembre 2008

Chi deve vergognarsi per i debiti del calcio

Riceviamo e pubblichiamo da Ettore Italo Di Pietramala del sito www.ju29ro.com

La riaffermata intenzione dell'Uefa di eliminare gradualmente la vergogna dei debiti nel calcio ha avuto recentemente sulla stampa nazionale un'eco davvero singolare: ci sono stati tanti articoli sul calcio inglese che, secondo l'audace titolo della Gazzetta dello Sport (del 9/10 a pag.19), sarebbe addirittura "nel baratro" e nessuno sul calcio italiano, nonostante i debiti di Inter e Roma per centinaia di milioni siano prepotentemente balzati all'onore della cronaca (vedi indagine sulla vicenda Saras e il conto col piano di rientro presentato da Unicredit alla famiglia Sensi con scadenza dicembre 2008). Il fatto è che il Presidente della Football Association in una conferenza stampa ha dato ragione all'Uefa, parlando di bilanci non trasparenti e di debiti fuori controllo mentre in Italia l'anatema di Platini ("Vergogna, vince chi bara") non ha apparentemente intaccato nè la flemma di Abete nè la spavalderia di Matarrese e così di conferenze stampa sull'argomento non s'è vista neppure l'ombra.
D'altra parte la reticenza, per non dire l'omertà, del nostro "sistema calcio" non sorprende perché se i bilanci di quasi tutte le società sono traballanti, con debiti "nascosti" nella controllante, o nelle controllate, ed anche falsi (in termini di ordinamento sportivo) le colpe sono diffuse e in tanti dovrebbero vergognarsi: non solo i registi finanziari che firmano i bilanci creativi ma in primo luogo la stampa che, da tempo, ha tradito la sua funzione di informazione e denuncia (mentre insabbia e disinforma) e, subito dopo, gli organismi FIGC di controllo e sanzionatori che, visti i risultati, si può ben dire che sono controllati e non controllano, è non sanzionano per non essere sanzionati.
Cominciamo dalla stampa e riprendiamo proprio l'articolo della Gazzetta secondo il quale il calcio inglese sarebbe nel baratro. E' noto che quasi tutte le società inglesi sono proprietarie degli impianti e quindi hanno sì fatto dei debiti ma si sono patrimonializzate; il Manchester United, per fare l'esempio più significativo, ha sì piu' di 700 milioni di debiti ma, grazie anche al suo stadio, chiude ogni anno il bilancio in attivo e può pagare gli interessi sul debito e le rate di mutuo. La serie A inglese attraversa da anni una fase molto positiva (altro che baratro) con incassi ai botteghini e dai diritti tv sempre in crescita, tant'è che ha attirato l'attenzione prima di finanzieri, magari d'assalto ma con idee chiare sul business del calcio, e più recentemente di sceicchi e petrodollari.
Nel nostro carrozzone, ma questo la Gazzetta non lo dice, è tutto il contrario perché stadi e patrimonio delle società stanno a zero, ai botteghini e per i diritti tv ci sono segni di crisi; l'Inter in due anni ha realizzato perdite per 350 milioni e a Roma la famiglia Sensi deve rientrare di 150 milioni con Unicredit oppure vendere la societ. Mentre oltre-Manica i debiti fanno parte del gioco, in Italia servono solo a gonfiare un pallone che rischia di scoppiare secondo l'allarme che molti esperti hanno suonato da tempo. Ecco perché la scarsa attenzione della nostra stampa tradizionale all'argomento bilanci è una colpa ed anche grave; semmai la Gazzetta, in risposta all'Uefa, avrebbe dovuto sollecitare una conferenza di Abete sui problemi di bilancio delle nostre società, altro che presentare su un quarto di pagina, come ha fatto, una tabella su "Tutti i debiti della Premier", compresi quelli del Wigan e del Hull City.
E non c'è da vergognarsi solo per la scarsa attenzione, perché quando poi un editorialista di grido come Mario Sconcerti affronta l'argomento, può succedere anche di peggio; succede per esempio che sul Corriere della Sera è stato possibile raccogliere in un mese queste due perle: dapprima (con l'editoriale "I miliardi degli emiri falsano le gerarchie ma non sono una novità") l'osservazione che i debiti elevati delle grandi società ci sono sempre stati e che il professionismo l'ha inventato Edoardo Agnelli (cioe' il bisnonno di John Elkann) e prevedeva gia' all'epoca un "indebitamento costante, quasi esponenziale"; e poi quando, volendo argomentare su "Cobolli sbaglia. Anche Moratti ha un progetto", ha scritto che "non e vero che l'Inter e' piena di debiti", aggiungendo che sì, la squadra perde tantissimo ma "le perdite sono continuamente ripianate". Ecco, sarebbe da chiedere a Sconcerti se del ripianamento s'è fatto un'idea da solo, leggendo e interpretando i bilanci dell'Inter, oppure s'è fidato della Gazzetta. Nel dubbio ci limitiamo solo a ricordare (avendo come fonte le ricerche del nostro sito sui bilanci e il Sole 24 Ore) che per coprire il buco di 350 milioni del biennio 2006-07 l'Inter per un parte ha deliberato aumenti di capitale e per la parte rimanente (tra i 150 e i 200 milioni) s'è affidata alla fantasia dei suoi registi finanziari che hanno inventato le finte plusvalenze relative alla compra-vendita del marchio e alla rivalutazione patrimoniale dell'intera società. Un finto ripianamento insomma , roba da retrocessione in termini di giustizia sportiva, che può durare fino a quando c'è speranza che la banca aumenti il fido e gli utilizzi; se poi in quella banca il presidente Moratti siede anche nel Comitato Esecutivo allora uno malizioso può pensare che si tratta di una speranza ben riposta.
Quanto,poi, al richiamo dei tempi andati lo capirebbe anche il "casalingo di Voghera" che è una giustificazione finta (come la compravendita del marchio), perchè dai tempi del senatore Agnelli il contesto normativo è cambiato, anzi, dopo la sentenza Bosman è stato rivoluzionato e con la legge 586/96 (non a caso detta proprio legge Bosman) si è dovuto correre ai ripari pensando proprio ai bilanci e ai debiti, ridisegnando il sistema dei controlli.
Era tanto importante quella legge che è ancora possibile trovare in rete la traccia di una riunione del Consiglio Nazionale del Coni del 23 marzo 2004 (per conferma Sconcerti potrebbe sentire Petrucci) con la quale si stabiliva che le società di calcio dovevano presentare alla FIGC, a cadenza trimestrale, "stato patrimoniale e conto economico con budget che garantisca equilibrio finanziario a consuntivo dell'esercizio".
L'equilibrio finanziario, in particolare, imponeva e impone che i debiti siano un sottomultiplo del fatturato; dato che dopo la sentenza Bosman le società di calcio si ritrovavano con il patrimonio azzerato, l'ordinamento sportivo si era giustamente preoccupato dei debiti, quelli che ai tempi del senatore Agnelli, assicura Sconcerti, crescevano in modo esponenziale (ma le società, all'epoca, possedevano il cartellino dei calciatori).
E siamo così arrivati ai controlli e alle sanzioni dove l'elenco di chi deve vergognarsi è lungo, perchè tutti sono d'accordo sul fatto che i bilanci delle società di calcio non sono "sani", e neppure "corretti", come imporrebbe la normativa, perchè tutti sanno che ci sono degli illeciti e che sono tollerati (vedi l'articolo del prof. Boeri su Repubblica del 3 settembre) ma, quando si prova a ragionare sulle responsabilità, scatta il gioco al rimpiattino: si comincia dalle responsabilità dei presidenti che non sono più i "ricchi scemi" di una volta, si lamentano sì delle perdite ma si tengono stretta la società, anzi, ci portano pure i figli o le figlie (con stipendi che arrivano anche ad un milione di euro all'anno; chiamali scemi!) e ad ogni campionato provano a spendere di più (senza, però, mettere mano al portafoglio).
Si passa alla Covisoc che controlla i bilanci, guarda sì la compra-vendita del marchio da padre in figlio ma "non può vedere" che è finta e fa aumentare i debiti (anche se può vederlo pure uno studente di prima ragioneria ripetente); si rimanda alla Figc (la "Confindustria" dei presidenti di calcio che non sono più ricchi e scemi) dove nessuno chiede rigore o denuncia irregolarità (sarebbe una specie di suicidio quasi collettivo); si finisce col contesto normativo e la specificità dello sport, che nessuno sa bene cos'è (e, infatti. tutti la chiamano in causa).
Dopo l'uscita, con tante polemiche, del prof. Uckmar dalla Covisoc, su queste benedette responsabiltà ci fu un lungo dibattito, che si può rintracciare in rete per ragionarci sopra. Leggendo il dibattito si scoprono due passaggi fondamentali: il primo in una paginata della Gazzetta dello Sport del 15 maggio 2002 (quando era ancora formato lenzuolo e non si limitava solo a "tutto il rosa della vita") e l'altro nell'audizione al Senato del prof. Uckmar del 23 aprile 2004.
Nell'articolo della Gazzetta c'è Carraro che, da politico consumato, chiama in causa il sentimento popolare (vi dice niente?); i bilanci irregolari sarebbero illeciti sportivi ma, si chiede Carraro (all'epoca presidente della Figc e contemporaneamente presidente anche del Mediocredito Centrale della Banca di Roma di Geronzi) "pensate che i tifosi italiani sarebbero in grado di accettare una penalizzazione dei propri club?". Tradotto dal politichese di Carraro e riferito ai nostri giorni sembra quasi che Abete e Matarrese possano avere questo dubbio: se mandiamo l'Inter in B per tutti gli illeciti sportivi che ha fatto, e continua a fare con i bilanci, siamo sicuri che poi i suoi ultras non buttino giù i motorini dalle gradinate di San Siro?
Nell'audizione al Senato, invece, il passaggio fondamentale è quello per cui la situazione dei controlli si sarebbe "ingarbugliata" quando il contesto normativo che doveva tener conto della specificità dello sport è stato riformulato, passando dalla legge 91/1981 alla 586/1996; quella del 1981 prevedeva che la Covisoc dovesse autorizzare le operazioni di carattere straordinario e potesse sindacare sui debiti bloccandoli; con quella del 1996 sono aumentati i controlli, ogni tre mesi le società devono documentare che la gestione è sana e corretta, devono anche indicare come rispettano il budget di inizio stagione (sembra incredibile ma è proprio cosi, c'è scritto nelle Norme Organizzative Interne Federali) ma di sindacare non se ne parla più e la Covisoc dovrebbe, invece, segnalare alla Procura Federale e questa deferire.
In effetti se una società di serie C2 paga le tasse con due gioni di ritardo scattano il deferimento e nell'arco di qualche mese anche le penalità (è successo ancora recentemente) mentre per i bilanci di alcune note società di serie A si arriva a parlare di illeciti tollerati ma di segnalazioni e deferimenti non si parla mai.
I riferimenti a Carraro e Uckmar sono datati 2002-2004. Sono passati solo pochi anni ma è come se fosse passato un secolo perchè, nel frattempo, nell'estate 2006 si è messo in piede il processo di calciopoli nel quale sono stati di nuovo chiamati in causa la specificità dello sport e il "sentimento popolare" ma non per tollerare un illecito che c'era (come si sta facendo per i bilanci sin dai tempi di Carraro), bensì per punire un illecito che non era previsto dalla normativa; il tutto sotto la regia a carattere straordinario di un professionista, il professor Guido Rossi, ex-consigliere dell'Inter e futuro consulente degli eredi di casa Agnelli. Un'offesa all'intelligenza di quanti sono ancora liberi di pensare con la propia testa, una conferma che le scusanti che vengono invocate per non doversi mettere in regola con i bilanci sono logore foglie di fico che non possono più nascondere le vergogne nè, tantomeno, camuffare gli svergognati. Che sono tanti: i "culi di pietra" che hanno occupato e occupano le poltrone di prima fila delle istituzioni sportive, la pletora di professionisti (giuristi di lungo corso, sopratutto) che si prestano a firmare sentenze sensa senso, i politicanti che a tempo perso si occupano anche di sport e poi quelli che nelle istituzioni sportive occupano, scodinzolando, le poltrone di seconda e terza fila e sbavano per scalare qualche posto.
Chi si deve vergognare, Azionisti e Presidenti oppure chi dovrebbe informare e non informa?
Ettore Italo Di Pietramala
(il testo originale è reperibile anche qui)

martedì 4 novembre 2008

Tar Lazio: Carraro ha agito in «conformità alle regole»

Il tribunale amministrativo ha dato ragione all'ex presidente della Figc Carraro, gli è stata tolta anche l'ammenda che gli era stata comminata nell'estate 2006 al termine del processo di Calciopoli

L'ex presidente della Figc Franco Carraro ha incassato l'esito favorevole del ricorso presentato al Tar del Lazio contro le sanzioni ricevute dalla giustizia sportiva per il suo coinvolgimento in Calciopoli. Secondo quanto riferisce la stessa federcalcio, il Tar, con sentenza numero 9547/2008, ha riconosciuto «la conformità alle regole dell'ordinamento sportivo» da parte di Carraro «in occasione della partita Lazio-Brescia campionato 2005/2006, ritenendo ragionevoli e responsabili i mezzi utilizzati per effettuare l'intervento nei confronti della classe arbitrale al fine di richiamarne l'attenzione sulla particolare delicatezza dell'incontro».

Alla vigilia del turno infrasettimanale in cui si giocava Lazio-Brescia, Carraro racconta all'allora designatore Paolo Bergamo le lamentele del presidente della Lazio Claudio Lotito per l'arbitraggio di Massimo Saccani nella precedente partita contro la Reggina. «...Loro (i laziali, ndr) stanno nervosissimi, perché dice che domenica questo arbitro (Saccani, ndr)… Foti è stato dieci minuti da lui nell`intervallo…», erano state le parole di Carraro secondo l'informativa dei Carabinieri. In seguito, Carraro avrebbe chiesto a Bergamo di avvisare l'arbitro di Lazio-Brescia (Daniele Tombolini): «Domani… per carità, se il Brescia deve vincere che è più forte, però che non ci siano… c`è un ambiente qui che è molto teso, capito?». Un'ora dopo, Bergamo chiamò Tombolini, raccomandandosi così con l'allora fischietto anconetano: «E' una partita molto delicata domani, Daniele, perché trovi un ambiente, credimi… Mettiti sulla lunghezza d'onda giuste…».

Quello di Carraro, secondo il Tar, è stato un comportamento legittimo. Il giudice amministrativo ha quindi annullato la decisione della Corte federale anche nella residua parte (l'ammenda di 80mila euro) in cui la sentenza non era stata riformata dal collegio della Camera di Conciliazione Arbitrale dello Sport del Coni, che tolse la diffida all'ex numero uno della federazione.

Fonte: Apcom

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il pallone in confusione

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