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mercoledì 22 dicembre 2010

Il mio ricordo di Enzo Bearzot, trionfatore in Spagna

Chi era Enzo Bearzot? Me lo hanno chiesto alcuni miei lettori che a causa della loro giovane età non hanno vissuto il Mondiale argentino del 1978, il trionfo spagnolo del 1982 e la parabola discendente del 1986. Ci proverò, aiutato dall’onda dei ricordi e di qualche ritaglio di giornali dell’epoca, nel giorno della sua scomparsa che tanta emozione ha suscitato. Un pezzo di storia gloriosa del nostro calcio che va doverosamente ricordato.
Bearzot era un furlan particolare, diverso dal taciturno Zoff che era uno dei suoi calciatori in cui riponeva grande fiducia. Non aveva peli sulla lingua come ricorda Gianni Perelli sull’Europeo: criticato da alcuni deputati, replicò prontamente «Gli onorevoli farebbero meglio a occuparsi dei “premi loro”». Era l’uomo giusto al momento giusto per il rilancio della Nazionale, malamente eliminata nel girone eliminatorio della Coppa del mondo del 1974 in Germania. Lo precedette Fulvio Bernardini, il celebre tecnico teorizzatore dell’uso di giocatori dai “piedi buoni”, che riuscì a svecchiare la formazione azzurra lanciando alcuni futuri campioni del mondo, come Graziani e Antognoni. “Fuffo” fu commissario tecnico per un anno fino al 1975: poi fece coppia fissa come direttore generale con Bearzot fino all’ottobre del 1977. La coppia ottenne una serie di alti e bassi nelle qualificazioni ai Campionati europei del 1976 e cercò di creare un nuova identità dopo il disastro in terra tedesca. Dopo un’onorevole sconfitta in Olanda, seconda classificata, arrivò una vittoria e un pareggio contro la Finlandia. “Fuffo” e il “Vecio” riuscirono a pareggiare alzando un “muro” a Roma e a Varsavia contro la Polonia che ci aveva eliminato in Germania. L’Italia ottenne una vittoria di prestigio, anche se inutile, contro l’Olanda vincitrice del girone. Nel 1977 ha inizio la vera e propria “era Bearzot”. Il tecnico friulano riesce a qualificarsi per il “mundial” argentino eliminando nientepopodimeno che l’Inghilterra. I critici, sempre molto pungenti con lui in tutto l’arco di tempo in cui fu sulla panchina azzurra, rilasciarono però giudizi poco confortanti dopo tre amichevoli di preparazioni al massimo torneo internazionale. La Nazionale fu sconfitta in Spagna, pareggiò in casa contro la Francia dopo un doppio vantaggio, e pareggiò contro la Jugoslavia prima di volare verso il Sudamerica. Ai tempi si diceva: «Bearzot è come la Democrazia Cristiana, non cambia mai uomini e modulo». E invece no: sull’onda della richiesta popolare e della stampa sportiva, nella partita inaugurale contro la Francia giocarono Paolo Rossi e Antonio Cabrini. Il gol bruciante di Lacombe dopo appena 40 secondi non spense le speranze azzurre: pareggiò proprio “Pablito” nel primo tempo. Zaccarelli sostituì uno spento Antognoni e relizzò il gol della vittoria. Quel mondiale si ricorderà soprattutto per il capolavoro “bearzottiano” del successo sui padroni di casa dell’Argentina: riuscì a bloccare i temibili Kempes e Bertoni, riuscendo a segnare un gol capolavoro con Bettega. Triangolo perfetto: da Antognoni per Rossi che porge un assist allo juventino che segna l’1-0 finale. I critici del “Vecio” lo aspettarono al varco: dopo un autogol a favore degli Azzurri arrivò la sconfitta contro l’Olanda, grazie ai due “missili” fuori area di Brandts e Haan, portò l’Italia alla finale per il 3° e 4° posto contro il Brasile. Anche qui identico copione: Causio segna il punto del vantaggio, poi due altri due tiri da lontano giustiziano Zoff. Si disse di tutto sul portierone riguardo alla sua presunta debolezza nei palloni scagliati da 20-30 metri: ovviamente anche Bearzot fu posto sul banco degli accusati. Di concreto restava un buon quarto posto e le premesse positive per il futuro. Curiosità: al ct il cantautore Rino Gaetano dedicò un verso di "Nunteregghecchiù".
Due anni dopo si tengono gli Europei nel nostro Paese. Si era abbattuto sul nostro campionato il ciclone dello scandalo del totonero: fu convolto anche Paolo Rossi che fu squalificato. Nel suo girone l’Italia pareggiò contro la Spagna, battè l’Inghilterra, ma pareggiò nell’ultima gara a reti inviolate contro il Belgio che si qualificò per la finalissima. Gli Azzurri disputarono la finalina per il 3° posto contro la Cecoslovacchia a Napoli. “Senza Rossi non si vince” era scritto su uno striscione al San Paolo: e così fu, la Nazionale fu sconfitta ai rigori. Anche in quella occasione critiche a gogò per Bearzot, ritenuto incapace di costruire alternative di gioco in attacco. Ma il tempo della rivincita per lui stava per arrivare.Neanche il tempo di fiatare e in ottobre prendono il via le qualificazioni per il Mondiale in Spagna. L’Italia mette in riga nel girone di andata le sue quattro rivali, Lussemburgo, Danimarca, Jugoslavia e Grecia (che il “Vecio” temeva e aveva definito “fastidiosa”), con l’identico punteggio di 2-0. Ricordo un titolo dopo la vittoria a Torino sugli slavi capeggiati dall’attaccante Zlatko Vujovic sul Guerin Sportivo: «Bearzot ha domato le tigri di carta». Il ct aveva imbrigliato una Jugoslavia, sulla carta la più forte del girone, molto confusionaria con una gara perfetta. Il girone di ritorno, invece, ebbe un andamento molto incerto: sconfitta 3-1 contro la Danimarca a Copenaghen, buon 1-1 contro la Jugoslavia a Belgrado e mezzo passo falso a Torino contro la Grecia (1-1). Per fortuna a Napoli la Nazionale supera il Lussemburgo con il gol qualificazione di Collovati. Seguì un trittico di amichevoli che, come accadde nel periodo precedente al torneo in Argentina, fu deludente. La sconfitta per 2-0 nel periodo di Carnevale a Parigi contro la Francia di Platini valse a Bearzot un titolo ironico del Guerin Sportivo: «La Nazionale in maschera». La squadra vista al Parco dei Principi sembrava davvero poco reattiva e poco tonica. Sensazione identica anche contro la Germania Est che battè 1-0 gli Azzurri. Contro la Svizzera arrivò un pareggio che confermò i problemi. Arrivò il giorno dell’esordio a Vigo contro la Polonia del fuoriclasse Zibì Boniek. Ricordo il commento di Nando Marellini dopo i primi minuti disputati discretamente dagli uomini del “Vecio”: «In queste prime battute l’Italia c’è». Era però una formazione che espimeva un gioco balbettante che fu confermato anche dalle gare contro il modesto Perù e i “maratoneti” del Camerun. La Nazionale de “l’uomo con la pipa” (il ct amava molto fumarla nei momenti di relax) arriva seconda nel girone e deve affrontare il gironcino a tre contro due mostri sacri del calcio di allora: l’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico. «Ma a Barcellona cosa andiamo a fare?» titolò Paese Sera. Sembrava proprio che l’Italia fosse destinata al ruolo di vittima sacrificale: i giornali puntarono tutti l’indice contro Bearzot, considerato l’unico responsabile del gioco evanescente e della più che possibile figuraccia contro i “mostri” sudamericani. Dopo le veementi polemiche, i giocatori decisero unilateralmente un “silenzio stampa”: fu il segnale della compatezza della squadra che faceva quadrato attorno al commissario tecnico contro tutto e tutti. Fu nominato unico “portavoce” Zoff, il portierone di poche parole.
Invece le cose presero una piega diversa. Nella prima gara contro l’Argentina, Bearzot mette Gentile su Maradona come un’ombra: il fuoriclasse raramente toccò palla e Tardelli e Cabrini realizzarono le reti per il 2-1 finale. La gara capolavoro fu contro il Brasile contro cui era necessaria la vittoria, poiché l’Italia era a pari punti con una differenza reti a sfavore. Azzurri sempre in vantaggio con i verdeoro a inseguire. Ci furono anche le “agevolazioni” provocate dalle incertezze difensive di Junior e del portiere Valdir Peres. In più nel Brasile delle stelle non brillava affatto il centravanti Serginho che sciupò alcune occasioni: i punti deboli dell’avversario furono sapientemente sfruttati da Bearzot, l’Italia vinse 3-2 e arrivò in semifinale contro la Polonia con tripletta del rinato Paolo Rossi rientrato dopo la squalifica. Lo stesso Pablito segnò la doppietta vincente contro i biancorossi privi di Boniek. Poi arrivò il trionfo in finale con la Germania schiacciata 3-1: “el hombre del partido” Rossi fu affiancato dall’urlo di Tardelli e dalla marcatura del neoentrato Altobelli. Si parlò di schieramento a “zona mista”, di innovazioni tattiche: in realtà Bearzot era riuscito a ricostruire il gioco all’italiana, catenaccio e contropiede, in edizione riveduta e corretta con gli uomini adatti. Ma era stato abile nel costruirlo e utilizzarlo: in attacco c’era una punta, Graziani, che subiva i falli dagli avversari e faceva da sponda, liberandogli gli spazi, per Rossi che in velocità infilzava le difese avversarie. Un meccanismo perfetto che entusiasmò anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini la sera della finale al Bernabeu. Qualcuno ricorderà anche la cover dei "Masters" che cantavano in italo-spagnolo una delle canzoni più ascoltate di quell'anno, "Da Da Da" manco a farlo apposta del gruppo tedesco "Trio". Si chamava "Da-da-da Mundial 82" in cui nominavano tutti i giocatori Campioni del Mondo. Il ritornello diceva: «Son tutti figli di Bearzot, aha! Son tutti figli di Bearzot».I mondiali del 1986 in Messico furono il “canto del cigno”. L’Italia, priva ormai di molti degli eroi di Spagna, non brillò e non riuscì a ripetere l’exploit di quattro anni prima. La sconfitta negli ottavi di finale contro la Francia scatenò tutti i critici contro Bearzot e ne chiesero la testa. Si conclusero così 11 anni culminati con due quarti posti e un titolo mondiale. Il tecnico furlan ora è passato alla storia: i suoi risultati sono e resteranno incancellabili.
Marco Liguori
RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL'ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: "IL PALLONE IN CONFUSIONE"

mercoledì 20 ottobre 2010

Avvocato Turrà: incidenti Genova, ecco quali sanzioni rischia l’Italia

Il pallone in confusione ospita il parere di un noto esperto in materia di diritto sportivo che spiega i motivi di una possibile sanzione ad opera dell’Uefa anche contro la Figc, a seguito dell’incontro Italia-Serbia interrotto a pochi minuti dall'inizio


A seguito della sospensione della gara di qualificazione a UEFA EURO 2012 tra Italia e Serbia di martedì scorso allo stadio Luigi Ferraris di Genova, dovuta alle intemperanze dei tifosi della squadra ospite, iniziate ancor prima dell’avvio dell’incontro e proseguite per molte ore al di fuori dell’impianto sportivo, la UEFA ha emesso un comunicato dichiarando di aver aperto un'inchiesta disciplinare completa e a tutto campo sugli incidenti e i seri disordini che si sono verificati.
Essa si baserà sull’analisi dei referti dell’arbitro (che in prima persona prese la decisione di sospendere la partita) e del delegato UEFA presente allo stadio: sarà poi la Commissione Disciplinare e di Controllo UEFA nella riunione di giovedì 28 ottobre a decidere se e a chi comminare eventuali sanzioni.
Anche l’Italia rischia una sanzione: lo prevede il combinato disposto degli articoli 6 (Responsabilità) e 14 (Misure disciplinari) del Regolamento Disciplinare UEFA, edizione 2008, ancora vigente.
Esse sono ricalcate in Italia dal nostro Codice di Giustizia Sportiva, che prevede una analoga "responsabilità oggettiva" a carico della società che ospita l’incontro di calcio nel proprio impianto sportivo (anche se lo stadio non sempre è di sua proprietà), avvalendosi dei propri stewards e della propria organizzazione.
Tale regola, dai più invisa ed anzi considerata ingiusta, ha la propria ragion d’essere nel tentativo di responsabilizzare le società ospitanti nella prevenzione degli incidenti, attraverso una fitta e rigorosa rete di controlli, sia prima che durante e dopo il match.
Nel caso di Genova gli scarsi controlli (mancate perquisizioni) all’ingresso dello stadio sono stati conseguenza del tentativo di ridurre i danneggiamenti dei tifosi serbi alle auto e a i negozi, lungo il percorso che conduce allo stadio, affrettandone l’ingresso nell’impianto sportivo.
Tornando al Regolamento Disciplinare UEFA, in particolare l’art. 6 dispone che l’associazione o club ospitante è responsabile per l'ordine e la sicurezza sia all'interno che intorno allo stadio prima, durante e dopo la partita ed è responsabile per gli incidenti di qualsiasi natura, e pertanto può essere oggetto di misure disciplinari.
L’art.14 del Regolamento, invece, elenca quali misure possono essere imposte, a norma dell'articolo 53 dello statuto UEFA: esse vanno da provvedimenti meno gravi, quali l’avvertimento, la nota di biasimo, l’ammenda, ad altri che incidono sulla gara o sul torneo, quali l'annullamento di una partita, l’ordine di rigiocarla, la detrazione di punti, l'aggiudicazione di una gara "a tavolino", la disputa di una partita a porte chiuse, fino alle conseguenze estreme quali la chiusura dello stadio, la disputa dell’incontro in un paese terzo, l'interdizione dalle gare in corso e/o l'esclusione dai campionati futuri, la revoca di un titolo o addirittura di una licenza. Ad esse può essere aggiunta anche l’irrogazione di sanzioni pecuniarie.
Infine l’art. 15 del Regolamento Disciplinare UEFA dispone che la sanzione possa essere sospesa per un periodo (cosiddetto di prova) per verificare se si evidenzino recidive.
A mio avviso nei confronti dell’Italia potrebbero essere presi, al più, provvedimenti minimi.
In primo luogo, per quanto affermato dal presidente Figc Giancarlo Abete ovvero "è la prima volta in 100 anni di storia della Federazione che succede una cosa del genere"; inoltre per le scarse (qualcuno ipotizza addirittura errate?) informazioni fornite dalle autorità serbe prima dell’incontro; ancora per il comportamento esemplare tenuto dal pubblico italiano, che non ha minimamente reagito alle provocazioni; infine perché il servizio d’ordine ha evitato conseguenze più gravi ed ha anche arrestato alcuni dei colpevoli degli incidenti.
La federazione serba rischia, invece, pesanti sanzioni, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento UEFA, per il comportamento dei propri sostenitori, tra cui il tentativo di invasione del campo di gioco, il lancio di oggetti, l'accensione di fumogeni, l'utilizzo di gesti, parole, oggetti ed altri mezzi per trasmettere messaggi politici, provocatori ed offensivi, nonché per tutti gli atti di danneggiamento.
Fabio Turrà
fabio_turra@libero.it
RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL'ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: IL PALLONE IN CONFUSIONE
http://marcoliguori.blogspot.com/

venerdì 25 giugno 2010

ITALIA FUORI. E CALDEROLI NEL PALLONE

Nell'ansia di semplificare, il ministro per la Semplificazione Calderoli ha trovato, immediatamente dopo l'eliminazione dell'Italia ai Mondiali di calcio, la diagnosi e la terapia dei problemi delle nostre squadre: troppi stranieri sui campi italiani e pochi giocatori allevati nei vivai nazionali. In realtà l'esperienza italiana e di altri paesi lo smentisce. I veri problemi del calcio italiano, seri e strutturali, sono gli stadi inadeguati e l'eccessiva dipendenza dei ricavi dalla televisione, aggravati da una mancanza di leadership a livello di Lega e Federazione


Dopo eliminazioni così amare come quella subita ieri dalla nazionale di calcio italiana, bisognerebbe rimanere calmi e ragionare con la testa fredda. Invece il ministro Calderoli ha già trovato in poche ore diagnosi e terapia: la colpa è dell’eccessivo numero di stranieri che giocano nelle squadre italiane. La possibilità di "importare" extra-comunitari avrebbe ridotto gli incentivi per i nostri grandi club a investire sui giovani, rinunciando a coltivare i vivai. Inoltre gli stranieri rubano il posto ai giovani talenti italiani. Basterà quindi chiudere le frontiere per avere una Nazionale di nuovo vincente.
GIOCATORI NON APPREZZATI ALL’ESTERO
Calderoli è Ministro per la Semplificazione, ma stavolta semplifica troppo. Partiamo dall’ovvio. L’Italia è tuttora campione del mondo in carica (seppur per altre due settimane). Quattro anni fa le frontiere erano aperte e c’erano decine di stranieri che giocavano nelle squadre italiane. Le frontiere erano già aperte quando siamo arrivati terzi a Italia 90 (Maradona era già l’idolo di Napoli) e persino, seppure in modo limitato, quando siamo diventati campioni del mondo nel 1982.Inoltre quello italiano non è certo l’unico campionato pieno di stranieri. Lo sono anche quelli di Spagna, Inghilterra, Germania e Francia. Ma solo la Francia, come noi, è già stata eliminata. Le altre sono tutte qualificate per gli ottavi di finale. La vera anomalia italiana degli ultimi anni è l’incapacità di esportare giocatori. Anni fa Vialli, Zola, Di Matteo, Gattuso, Carboni giocavano in Inghilterra o Spagna, in club come Chelsea o Valencia che lottavano per lo scudetto. Solo quattro anni fa Toni andava al Bayern. Oggi ci sono pochissimi giocatori italiani che giocano fuori dai nostri confini e tutti in squadre di secondo piano. Questo non dipende certo dal fatto che le squadre straniere non possono pagare stipendi competitivi: il Real strapaga Cristiano Ronaldo e Kakà e il Barcellona Ibra. E gli allenatori italiani hanno mercato all’estero: Ancelotti al Chelsea, Capello allenatore dell’Inghilterra, Mancini al City, Spalletti allo Zenit. Vuol dire che pochissimi giocatori italiani sono apprezzati all’estero. Questo è il vero problema. Chiudere le frontiere non aiuta molto se il problema è che i beni prodotti internamente non sono competitivi sui mercati internazionali. Senza contare che chiudere le frontiere, invece, servirebbe solo a far salire il monte salari e spingere ancor più verso il rosso i bilanci delle società italiane e che, grazie ai giocatori extra-comunitari, come brasiliani e argentini, i nostri club sono riusciti spesso a ben figurare in competizioni a livello internazionale, acquisendo esperienza in incontri di alto livello.
CHI FA LA DIFFERENZA IN CAMPO
Esiste certamente un problema vivai, non solo a livello italiano. La possibilità di strappare talenti in giovane età rende meno conveniente investire internamente rispetto a usare il mercato. Nel trade-off tra “make or buy” oggi nel calcio conviene decisamente il buy. Forse le politiche di compensazione per la formazione dei giovani talenti dovrebbero essere riviste. Ma non dimentichiamo neanche che le squadre sudamericane sono esposte allo stesso problema e non sembrano risentirne in alcun modo, almeno a vedere la loro performance ai Mondiali. E neanche, a livello di club, il Barcellona, squadra che da sempre investe molto nel vivaio, sembra averne troppo sofferto.Infine una considerazione più calcistica. Nel calcio basta poco per fare una grande differenza nei risultati sportivi. Se andiamo a vedere la performance della Francia negli ultimi quattro mondiali vediamo che ha fatto sempre benissimo quando aveva Zidane in campo (Francia 1998 e Germania 2006) e malissimo quando non c’era (nel 2002 era infortunato e giocò solo la terza e ultima partita, peraltro in condizioni menomate). L’Inghilterra sembra un’altra squadra rispetto a pochi mesi fa perché Rooney non si è ancora ripreso dall’infortunio alla caviglia. Insomma, il calcio italiano ha problemi seri e strutturali: stadi inadeguati e eccessiva dipendenza dei ricavi dalla televisione, aggravati da una mancanza di leadership a livello di Lega e Federazione. Ma sull’eliminazione di ieri forse hanno pesato di più gli infortuni di Buffon e Pirlo e la testardaggine di Lippi.

Tito Boeri

Fausto Panunzi

mercoledì 24 settembre 2008

Ue: sponsorizzazione per la Nazionale, cartellino rosso per la Calabria

In particolare, sotto i riflettori della Commissione ci sono i finanziamenti elargiti alla Fondazione del calciatore Rino Gattuso

La Commissione europea ha chiesto chiarimenti alla Calabria sulla sponsorizzazione della Nazionale di calcio in occasione dei Mondiali e la Regione dovrà fornirli entro il 29 settembre prossimo. In particolare, Bruxelles avrebbe dubbi sui finanziamenti Ue che sarebbero stati dati alla Fondazione Gattuso. Lo ha precisato oggi, rispondendo ad una domanda dei giornalisti nel quotidiano briefing per la stampa, il portavoce della commissaria Ue alla Politica regionale Danuta Hubner, che non ha escluso, qualora venissero riscontrati abusi, anche il rischio ''cartellino rosso''. Oggi, la notizia, dopo un'interrogazione dell' europarlamentare Beniamino Donnici, è stata pubblicata anche sul quotidiano inglese Teleghraph. ''La Commissione ha chiesto alcuni chiarimenti su questo particolare investimento'', ha detto il portavoce Dennis Abbott sottolineando che quello ''nella Fondazione di Gattuso non sarebbe eleggibile al finanziamento''. La Calabria e il calciatore Rino Gattuso - ha aggiunto Abbott - ''saranno informati''. ''Le Regioni - ha spiegato il portavoce - hanno la possibilità di decidere circa l'utilizzazione dei fondi europei, ma questo non vuol dire che c'è la porta aperta a tutti gli abusi. C'è un audit nazionale ed europeo serio e se questo decide che non è possibile, c'è la Corte dei Conti e poi scatta il cartellino rosso e questo denaro dovra' essere restituito al contribuente europeo. Ma - ha concluso Abbott - attendiamo i chiarimenti entro il 29 settembre''. (Ansa)

sabato 28 giugno 2008

Qualche conto nelle tasche di Mister Lippi

All'allenatore toscano non basta la cifra di circa 1,5 milioni netti annui che guadagnerà fino al 2010, puntava al salto di qualità

Marco Liguori
Marcello Romeo Lippi, ritornato da giovedì scorso sulla panchina della Nazionale, non è solo un allenatore di calcio. Al contrario di Donadoni, che non è presente negli elenchi della Camera di Commercio, ha interessenze in quattro società. Al ct toscano non basta la cifra di circa 1,5 milioni netti annui che guadagnerà fino al 2010, che rappresentano un netto miglioramento rispetto alla somma di 1,2 milioni incassata fino ai Mondiali 2006: gli occorreva un salto di qualità, diventando uomo d’affari. Dalle ultime visure societarie si evince che ha una vera passione per il mattone e i lavori edili. Nel 2005 ha costituito nella natia Viareggio la Dast di Lippi Marcello & C. Sas con 50mila euro in conferimenti: ne è socio accomandatario con quota da 13mila euro. Soci accomandanti sono la moglie Simonetta Barabino (13mila euro) e i figli Davide (12mila) e Stefania (12mila). La società può effettuare «l’acquisto, anche a mezzo di locazione finanziaria, la vendita, il riscatto e la permuta di beni immobili»: può anche affittare e subaffittare, costruire e ristrutturare stabili. La Dast è una società in accomandita e non ha quindi l’obbligo di depositare il bilancio: non si possono esaminare i suoi conti.
Più recente è la costituzione della Promoinvest srl, risalente all’aprile 2007, con 25mila euro di capitale sociale su 100mila deliberato. La Dast ne possiede il 40% come anche la Country House Sas di Lucio Elia, mentre il medico della Nazionale nel Mondiale 2006, Enrico Castellacci, possiede il 20%. La Promoinvest, amministrata da Castellacci e Lippi, è attiva nelle opere sia private che pubbliche, in particolare alla «esecuzione di opere stradali, ferroviarie, idriche, fognarie, elettriche e simili» e può operare nell’alberghiero. Niente male: Lippi ha scelto di operare nei settori appalti e turismo, entrambi molto redditizi. Vista la limitata operatività della società, il primo esercizio si è chiuso con una perdita di 1924 euro. In rosso di 1544 euro anche la Health and Sport International Center srl, costituita nel settembre 2007, operativa nella realizzazione di beauty center e centri fisioterapici. E’ posseduta al 50% da Lippi e Elia. Invece, nella Capraia Diving Service sas, che commercializza articoli sportivi, Lippi è socio accomandante con una quota di 607,60 euro.
Epolis 28 giugno 2008 - pagina 7
(Riproduzione riservata)

venerdì 13 giugno 2008

Poco costrutto uguale eliminazione

La Nazionale non è riuscita a battere la Romania, a causa di un gioco ancora poco ordinato, di una difesa distratta e di Toni impossibilitato a segnare perché troppo solo in avanti. Adesso bisogna battere assolutamente la Francia, definita "noiosa" dai giornali sportivi d’Oltralpe

«L’alunno ha studiato, ma non si è applicato». Quante volte abbiamo sentito gli insegnanti parlare così riguardo ad alcuni studenti poco inclini all’apprendimento delle materie scolastiche. Così ha fatto oggi l’Italia, colpita da "eroico furore" nel primo tempo e per alcuni ma brevi tratti della ripresa, costringendo in alcuni momenti la Romania alle corde, ma con poco costrutto. Per fortuna il commissario tecnico, Roberto Donadoni, ha ascoltato i suggerimenti invocati dalla piazza: a furor di popolo si volevano De Rossi e Perrotta invece degli stanchi Gattuso e Ambrosini. Assieme ai due romanisti il ct triste, che stando alle indiscrezioni del Corsera di oggi sentirebbe sempre più il fiato di Lippi sul collo, ha messo dentro Grosso che ha disputato un’ottima gara sulla fascia sinistra. Bene a tratti Del Piero, anche se ci sarebbe aspettato di più da lui: ci si attendeva magari che avesse guidato da novello Achille (ma a proposito, nel suo caso non sarebbe più calzante il paragone con Cincinnato, richiamato da Roma nei momenti difficili?) la Nazionale alla vittoria. Il portiere rumeno Lobont-Clorodont è riuscito a salvare in almeno tre occasione lo smalto ai propri colori con interventi strabilianti. Ma contro avversari ostici e coriacei occorreva fare di più: e soprattutto concretizzare. Forse risiede proprio in quest’ultimo verbo la chiave del mancato successo azzurro e della probabile eliminazione al primo turno dagli Europei. Probabilmente la mancanza di concretezza è un campanello d’allarme che la generazione di calciatori che si laureò due anni fa campione del mondo è al suo capolinea. E forse i ricambi non ci sono, almeno nel brevissimo termine. Di chi sono le colpe? Sicuramente del sistema calcistico nostrano che pretende di creare stelle di prima grandezza, valutate spesso milioni di euro, ma che tali non sono. Non a caso ciò si era manifestato nelle Coppe europee nella passata stagione, con le squadre italiane ben lontane dalle finali. In caso di vittoria nell'ultima partita con la Francia, l'unico risultato che potrebbe consentire alla Nazionale di approdare ai quarti (sempre che la Romania non batta l'Olanda), forse Donadoni assurgerebbe al ruolo di eroe: ci saranno anche in tanti che diranno «l’avevamo detto che bisognava dargli fiducia». Ma purtroppo nel calcio non vige il fortunato slogan degli anni ’60 del formaggio Belpaese. Ma spieghiamo per punti la gara odierna e presentiamo la sfida all’ultimo sangue con i transalpini.
Difesa – Ancora una volta si è confermato il reparto più traballante. Zambrotta ha letteralmente regalato la palla del vantaggio rumeno a Mutu, il quale (neanche in modo silenzioso) si è involato verso Buffon. Il nostro difensore di fascia destra non poteva non averlo notato: era troppo vicino all’attaccante della squadra di Piturca. Zambrotta è ormai il lontano ricordo del giocatore ammirato nell’Europeo 2000 e nel Mondiale in Germania: dalla sua fascia partivano spesso i cross avversari. Chiellini assieme a Panucci (realizzatore della marcatura azzurra) dov’erano mentre Mutu volava?
Centrocampo – l’innesto dei succitati Grosso, De Rossi e Perrotta (quest’ultimo per la veità in ombra) ha dato nuove energie al reparto. Ma manca il direttore di orchestra Pirlo, che non è al massimo della condizione. Risultato: la linea mediana ancora non fa filtro sufficiente contro l’avversario, soprattutto sulle fasce laterali dove non riesce a bloccare l’avversario al cross. E’ accaduto contro l’Olanda e si è ripetuto con la Romania.
Attacco –il centrocampo non costruisce palle giocabili per l’unico attaccante, il povero Toni, lasciato tutto solo contro i difensori centrali avversari, prima olandesi e poi rumeni. La punta del Bayern di Monaco, capocannoniere della Bundesliga con 24 reti e autore di 39 gol in tutta la stagione, deve fare il "centroboa" e costretto a cercarsi i palloni: un ruolo che non gli è assolutamente congeniale e gli impedisce di segnare. Non sarebbe stato meglio che Del Piero (e poi Cassano) gli avessero creato spazi, attirando i difensori avversari, e fornito passaggi decenti? La regola prima fondamentale del calcio è toccare la palla, ma la seconda è buttarla in rete: se non lo si fa, non si vince e si va a casa. Logica lapalissiana, ma inoppugnabile.
Francia – la stampa francese ha definito "noiosa" la nazionale di Domenech. Si può dire di più: inconcludente e (a tratti) abulica. Si può dire che dopo le due gare con Romania e Olanda è persino peggiore dell’Italia, che almeno qualche piccolo segnale di risveglio oggi l’ha dato. Se poi giocasse Anelka al posto di Henry per gli azzurri sarebbe un gioco da ragazzi passare il turno: la Francia giocherebbe completamente spuntata. A parte questa ipotesi poco realistica, dobbiamo costringere i "galletti" ad attaccare e scoprirsi per colpire in contropiede: la loro difesa è lenta e macchinosa e si aprirebbero varchi per Toni e Del Piero (e perché non Cassano al suo posto?).
Regolamenti e arbitraggi – Dopo il sorteggio folle che ha portato ad affrontarsi non solo le due finaliste di Germania 2006, ma anche quattro formazioni provenienti dagli stessi gironi di qualificazione (l’Italia e la Francia nel gruppo B, l’Olanda e la Romania nel girone G), c’è anche la possibilità che due di esse si incontrino ancora in semifinale. Un regolamento a dir poco demenziale, che eliminerà subito due delle protagoniste degli Europei, mentre altre due si incontreranno per l’ennesima volta. Ma ai "parrucconi" dell’Uefa tutto ciò non interessa: gli sfuggono persino i chiarissimi errori arbitrali. Il rigore concesso oggi alla Romania contro l’Italia non esisteva: lo avrebbe notato anche un direttore di gara alle prime armi nei tornei scolastici. A ciò si aggiunge il penalty non concesso alla Francia per un fallo di mano di un olandese in area: il braccio di quest’ultimo era ben distanziato dal corpo e perciò, a termini di regolamento, perseguibile con la massima punizione. Dimenticavo: il gol di Toni era regolare. Per l’ennesima volta bisogna invocare la moviola in campo: nell’era del calcio a scopo di lucro l’aiuto della tecnologia è indispensabile. Ma su questo Platini e Blatter non ci vogliono proprio sentire.
Marco Liguori
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il pallone in confusione

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