Ricerca personalizzata
Visualizzazione post con etichetta uckmar. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta uckmar. Mostra tutti i post

mercoledì 5 novembre 2008

Chi deve vergognarsi per i debiti del calcio

Riceviamo e pubblichiamo da Ettore Italo Di Pietramala del sito www.ju29ro.com

La riaffermata intenzione dell'Uefa di eliminare gradualmente la vergogna dei debiti nel calcio ha avuto recentemente sulla stampa nazionale un'eco davvero singolare: ci sono stati tanti articoli sul calcio inglese che, secondo l'audace titolo della Gazzetta dello Sport (del 9/10 a pag.19), sarebbe addirittura "nel baratro" e nessuno sul calcio italiano, nonostante i debiti di Inter e Roma per centinaia di milioni siano prepotentemente balzati all'onore della cronaca (vedi indagine sulla vicenda Saras e il conto col piano di rientro presentato da Unicredit alla famiglia Sensi con scadenza dicembre 2008). Il fatto è che il Presidente della Football Association in una conferenza stampa ha dato ragione all'Uefa, parlando di bilanci non trasparenti e di debiti fuori controllo mentre in Italia l'anatema di Platini ("Vergogna, vince chi bara") non ha apparentemente intaccato nè la flemma di Abete nè la spavalderia di Matarrese e così di conferenze stampa sull'argomento non s'è vista neppure l'ombra.
D'altra parte la reticenza, per non dire l'omertà, del nostro "sistema calcio" non sorprende perché se i bilanci di quasi tutte le società sono traballanti, con debiti "nascosti" nella controllante, o nelle controllate, ed anche falsi (in termini di ordinamento sportivo) le colpe sono diffuse e in tanti dovrebbero vergognarsi: non solo i registi finanziari che firmano i bilanci creativi ma in primo luogo la stampa che, da tempo, ha tradito la sua funzione di informazione e denuncia (mentre insabbia e disinforma) e, subito dopo, gli organismi FIGC di controllo e sanzionatori che, visti i risultati, si può ben dire che sono controllati e non controllano, è non sanzionano per non essere sanzionati.
Cominciamo dalla stampa e riprendiamo proprio l'articolo della Gazzetta secondo il quale il calcio inglese sarebbe nel baratro. E' noto che quasi tutte le società inglesi sono proprietarie degli impianti e quindi hanno sì fatto dei debiti ma si sono patrimonializzate; il Manchester United, per fare l'esempio più significativo, ha sì piu' di 700 milioni di debiti ma, grazie anche al suo stadio, chiude ogni anno il bilancio in attivo e può pagare gli interessi sul debito e le rate di mutuo. La serie A inglese attraversa da anni una fase molto positiva (altro che baratro) con incassi ai botteghini e dai diritti tv sempre in crescita, tant'è che ha attirato l'attenzione prima di finanzieri, magari d'assalto ma con idee chiare sul business del calcio, e più recentemente di sceicchi e petrodollari.
Nel nostro carrozzone, ma questo la Gazzetta non lo dice, è tutto il contrario perché stadi e patrimonio delle società stanno a zero, ai botteghini e per i diritti tv ci sono segni di crisi; l'Inter in due anni ha realizzato perdite per 350 milioni e a Roma la famiglia Sensi deve rientrare di 150 milioni con Unicredit oppure vendere la societ. Mentre oltre-Manica i debiti fanno parte del gioco, in Italia servono solo a gonfiare un pallone che rischia di scoppiare secondo l'allarme che molti esperti hanno suonato da tempo. Ecco perché la scarsa attenzione della nostra stampa tradizionale all'argomento bilanci è una colpa ed anche grave; semmai la Gazzetta, in risposta all'Uefa, avrebbe dovuto sollecitare una conferenza di Abete sui problemi di bilancio delle nostre società, altro che presentare su un quarto di pagina, come ha fatto, una tabella su "Tutti i debiti della Premier", compresi quelli del Wigan e del Hull City.
E non c'è da vergognarsi solo per la scarsa attenzione, perché quando poi un editorialista di grido come Mario Sconcerti affronta l'argomento, può succedere anche di peggio; succede per esempio che sul Corriere della Sera è stato possibile raccogliere in un mese queste due perle: dapprima (con l'editoriale "I miliardi degli emiri falsano le gerarchie ma non sono una novità") l'osservazione che i debiti elevati delle grandi società ci sono sempre stati e che il professionismo l'ha inventato Edoardo Agnelli (cioe' il bisnonno di John Elkann) e prevedeva gia' all'epoca un "indebitamento costante, quasi esponenziale"; e poi quando, volendo argomentare su "Cobolli sbaglia. Anche Moratti ha un progetto", ha scritto che "non e vero che l'Inter e' piena di debiti", aggiungendo che sì, la squadra perde tantissimo ma "le perdite sono continuamente ripianate". Ecco, sarebbe da chiedere a Sconcerti se del ripianamento s'è fatto un'idea da solo, leggendo e interpretando i bilanci dell'Inter, oppure s'è fidato della Gazzetta. Nel dubbio ci limitiamo solo a ricordare (avendo come fonte le ricerche del nostro sito sui bilanci e il Sole 24 Ore) che per coprire il buco di 350 milioni del biennio 2006-07 l'Inter per un parte ha deliberato aumenti di capitale e per la parte rimanente (tra i 150 e i 200 milioni) s'è affidata alla fantasia dei suoi registi finanziari che hanno inventato le finte plusvalenze relative alla compra-vendita del marchio e alla rivalutazione patrimoniale dell'intera società. Un finto ripianamento insomma , roba da retrocessione in termini di giustizia sportiva, che può durare fino a quando c'è speranza che la banca aumenti il fido e gli utilizzi; se poi in quella banca il presidente Moratti siede anche nel Comitato Esecutivo allora uno malizioso può pensare che si tratta di una speranza ben riposta.
Quanto,poi, al richiamo dei tempi andati lo capirebbe anche il "casalingo di Voghera" che è una giustificazione finta (come la compravendita del marchio), perchè dai tempi del senatore Agnelli il contesto normativo è cambiato, anzi, dopo la sentenza Bosman è stato rivoluzionato e con la legge 586/96 (non a caso detta proprio legge Bosman) si è dovuto correre ai ripari pensando proprio ai bilanci e ai debiti, ridisegnando il sistema dei controlli.
Era tanto importante quella legge che è ancora possibile trovare in rete la traccia di una riunione del Consiglio Nazionale del Coni del 23 marzo 2004 (per conferma Sconcerti potrebbe sentire Petrucci) con la quale si stabiliva che le società di calcio dovevano presentare alla FIGC, a cadenza trimestrale, "stato patrimoniale e conto economico con budget che garantisca equilibrio finanziario a consuntivo dell'esercizio".
L'equilibrio finanziario, in particolare, imponeva e impone che i debiti siano un sottomultiplo del fatturato; dato che dopo la sentenza Bosman le società di calcio si ritrovavano con il patrimonio azzerato, l'ordinamento sportivo si era giustamente preoccupato dei debiti, quelli che ai tempi del senatore Agnelli, assicura Sconcerti, crescevano in modo esponenziale (ma le società, all'epoca, possedevano il cartellino dei calciatori).
E siamo così arrivati ai controlli e alle sanzioni dove l'elenco di chi deve vergognarsi è lungo, perchè tutti sono d'accordo sul fatto che i bilanci delle società di calcio non sono "sani", e neppure "corretti", come imporrebbe la normativa, perchè tutti sanno che ci sono degli illeciti e che sono tollerati (vedi l'articolo del prof. Boeri su Repubblica del 3 settembre) ma, quando si prova a ragionare sulle responsabilità, scatta il gioco al rimpiattino: si comincia dalle responsabilità dei presidenti che non sono più i "ricchi scemi" di una volta, si lamentano sì delle perdite ma si tengono stretta la società, anzi, ci portano pure i figli o le figlie (con stipendi che arrivano anche ad un milione di euro all'anno; chiamali scemi!) e ad ogni campionato provano a spendere di più (senza, però, mettere mano al portafoglio).
Si passa alla Covisoc che controlla i bilanci, guarda sì la compra-vendita del marchio da padre in figlio ma "non può vedere" che è finta e fa aumentare i debiti (anche se può vederlo pure uno studente di prima ragioneria ripetente); si rimanda alla Figc (la "Confindustria" dei presidenti di calcio che non sono più ricchi e scemi) dove nessuno chiede rigore o denuncia irregolarità (sarebbe una specie di suicidio quasi collettivo); si finisce col contesto normativo e la specificità dello sport, che nessuno sa bene cos'è (e, infatti. tutti la chiamano in causa).
Dopo l'uscita, con tante polemiche, del prof. Uckmar dalla Covisoc, su queste benedette responsabiltà ci fu un lungo dibattito, che si può rintracciare in rete per ragionarci sopra. Leggendo il dibattito si scoprono due passaggi fondamentali: il primo in una paginata della Gazzetta dello Sport del 15 maggio 2002 (quando era ancora formato lenzuolo e non si limitava solo a "tutto il rosa della vita") e l'altro nell'audizione al Senato del prof. Uckmar del 23 aprile 2004.
Nell'articolo della Gazzetta c'è Carraro che, da politico consumato, chiama in causa il sentimento popolare (vi dice niente?); i bilanci irregolari sarebbero illeciti sportivi ma, si chiede Carraro (all'epoca presidente della Figc e contemporaneamente presidente anche del Mediocredito Centrale della Banca di Roma di Geronzi) "pensate che i tifosi italiani sarebbero in grado di accettare una penalizzazione dei propri club?". Tradotto dal politichese di Carraro e riferito ai nostri giorni sembra quasi che Abete e Matarrese possano avere questo dubbio: se mandiamo l'Inter in B per tutti gli illeciti sportivi che ha fatto, e continua a fare con i bilanci, siamo sicuri che poi i suoi ultras non buttino giù i motorini dalle gradinate di San Siro?
Nell'audizione al Senato, invece, il passaggio fondamentale è quello per cui la situazione dei controlli si sarebbe "ingarbugliata" quando il contesto normativo che doveva tener conto della specificità dello sport è stato riformulato, passando dalla legge 91/1981 alla 586/1996; quella del 1981 prevedeva che la Covisoc dovesse autorizzare le operazioni di carattere straordinario e potesse sindacare sui debiti bloccandoli; con quella del 1996 sono aumentati i controlli, ogni tre mesi le società devono documentare che la gestione è sana e corretta, devono anche indicare come rispettano il budget di inizio stagione (sembra incredibile ma è proprio cosi, c'è scritto nelle Norme Organizzative Interne Federali) ma di sindacare non se ne parla più e la Covisoc dovrebbe, invece, segnalare alla Procura Federale e questa deferire.
In effetti se una società di serie C2 paga le tasse con due gioni di ritardo scattano il deferimento e nell'arco di qualche mese anche le penalità (è successo ancora recentemente) mentre per i bilanci di alcune note società di serie A si arriva a parlare di illeciti tollerati ma di segnalazioni e deferimenti non si parla mai.
I riferimenti a Carraro e Uckmar sono datati 2002-2004. Sono passati solo pochi anni ma è come se fosse passato un secolo perchè, nel frattempo, nell'estate 2006 si è messo in piede il processo di calciopoli nel quale sono stati di nuovo chiamati in causa la specificità dello sport e il "sentimento popolare" ma non per tollerare un illecito che c'era (come si sta facendo per i bilanci sin dai tempi di Carraro), bensì per punire un illecito che non era previsto dalla normativa; il tutto sotto la regia a carattere straordinario di un professionista, il professor Guido Rossi, ex-consigliere dell'Inter e futuro consulente degli eredi di casa Agnelli. Un'offesa all'intelligenza di quanti sono ancora liberi di pensare con la propia testa, una conferma che le scusanti che vengono invocate per non doversi mettere in regola con i bilanci sono logore foglie di fico che non possono più nascondere le vergogne nè, tantomeno, camuffare gli svergognati. Che sono tanti: i "culi di pietra" che hanno occupato e occupano le poltrone di prima fila delle istituzioni sportive, la pletora di professionisti (giuristi di lungo corso, sopratutto) che si prestano a firmare sentenze sensa senso, i politicanti che a tempo perso si occupano anche di sport e poi quelli che nelle istituzioni sportive occupano, scodinzolando, le poltrone di seconda e terza fila e sbavano per scalare qualche posto.
Chi si deve vergognare, Azionisti e Presidenti oppure chi dovrebbe informare e non informa?
Ettore Italo Di Pietramala
(il testo originale è reperibile anche qui)

sabato 16 febbraio 2008

Totti e Buffon, pagate!

Fonte: Liberomercato 12 dicembre 2007 pag.1-10

Gli arretrati delle società al fisco? Le versino i giocatori

Uckmar: "Paghino i campioni"

Marco Liguori

«Il fisco deve chiedere le cifre delle ritenute fiscali non versate dalle società di calcio ai calciatori». Il professore Victor Uckmar, docente di diritto tributario internazionale all'Università di Bologna, suggerisce in questa intervista a Liberomercato la ricetta per recuperare i 754 milioni di euro di debiti tributari, maturati tra il 2001 e il 2005, delle società di calcio professionistiche. La cifra è stata evidenziata nella risposta del sottosegretario Massimo Tononi a un'interrogazione parlamentare del presidente della commissione Finanze del Senato, Giorgio Benvenuto. Gran parte di questo debito, oltre 376 milioni, è delle società di serie A. In un'interrogazione del febbraio 2006 il totale era invece di 548 milioni: da allora il debito è cresciuto del 38%.
Professore, secondo lei quali sono i tributi maggiormente inclusi nei 754 milioni di debiti fiscali delle società calcistiche?
«Premetto che dal 2001, da quando non sono più presidente della Covisoc, non mi sono più occupato nel dettaglio dei problemi fiscali delle società calcistiche e mi informo solo attraverso i giornali. Credo che la gran parte dell'importo evidenziato dall'interrogazione parlamentare al Senato, su dati del ministero dell'Economia, non sia costituito da imposte direttamente incidenti sulle società».
Di quale tipo di tributi si tratta?
«Ritengo che siano "trattenute" sui salari dei calciatori. Se le società di calcio non le versano esiste una responsabilità solidale, ormai pacifica, dei sostituiti ossia dei lavoratori. Il fisco avrebbe dovuto agire nei confronti dei singoli giocatori, salvo rivalsa di questi nei confronti delle società inadempienti qualora fosse stato pattuito un salario netto».
Lei afferma che è pacifica: esistono capisaldi giurisprudenziali in merito?
«Certamente. La Corte di Cassazione lo ha ripetuto diverse volte. Cito tre sentenze in merito, emesse dalla Suprema Corte nel 1996, nel 2000 e più recentemente nel maggio del 2007, le quali ribadiscono che il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito e non il sostituto che dovrebbe eseguire la ritenuta».
Per chiarire meglio il concetto: l'Agenzia delle Entrate dovrà bussare alle porte delle abitazioni dei calciatori per ottenere quanto dovuto?
«Il fisco deve andare dal signor Totti, dal signor Buffon e da tanti altri eroi della domenica calcistica ed esigere quanto dovuto. E' una grande ingiustizia nei confronti dei contribuenti comuni come ad esempio un povero calzolaio a cui gli sono pignorati anche il banchetto e gli utensili da lavoro, mentre ai calciatori viene usato ogni tipo di riguardo. A mio avviso noto che c'è anche una disparità di trattamento che viola l'articolo 3 della nostra Costituzione: tutti i contribuenti sono uguali davanti al fisco».
Oltre alle ritenute sui calciatori, ci possono essere altri tipi di tributi nel computo totale?
«Probabilmente ci può essere qualche altro tipo di debito gravante sulle squadre, ad esempio per l'Irap, dovuta anche se le imprese sono in perdita. Ma credo che sia ben poca parte rispetto alla massa della cifra complessiva».
Cosa succederà per le società fallite, come Fiorentina, Napoli e Torino? Il fisco cosa potrà fare?
«Esiste lo strumento giuridico: la richiesta di fallimento e l'eventuale bancarotta gravante sugli amministratori».
Ma ciò potrebbe valere anche nel caso anche del vecchio Parma della famiglia Tanzi, che è passato in amministrazione straordinaria con la legge Marzano?
«I suoi ex amministratori responsabili del dissesto devono essere soggetti alle procedure di legge. Esiste una responsabilità civile e penale che vale per tutti e non esclude le società calcistiche».

Il calcio non può essere un'oasi privilegiata nei confronti del fisco

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/06/25/1966-inter_milan_occhio_conti.shtml

28/1/2007
I CONTI DEL PALLONE

Inter e Milan, occhio ai conti "Il calcio deve al Fisco oltre mezzo miliardo di euro"

L'ex presidente della Covisoc parla delle inchieste sulle presunte plusvalenze e rivela la voragine delle tasse non pagate da una valanga di società: "I club dovevano versare le imposte sui salari dei giocatori. Ora l'Agenzia delle Entrate deve agire nei confronti degli stessi giocatori per recuperare i tributi dovuti"

MILANO - "Il mondo del calcio non può essere un'oasi privilegiata nei confronti del fisco. E' una battaglia di civiltà". Il più celebre tributarista italiano, Victor Uckmar (nella foto), va giù duro contro il debito fiscale deiclub. Il professore, titolare della cattedra di diritto tributario all'Università di Bologna, punta l'indice anche contro l'acquiescenza dell'Agenzia delle Entrate che deve recuperare ben 538 milioni. Ma Uckmar rivolge la sua attenzione anche alla Covisoc, di cui è stato presidente fino al 2001: se l'organismo della Figc esercitasse ilcompito di vigilanza sui bilanci societari, con poteri ampi edappropriati, si potrebbero probabilmente evitare gli scandali delle plusvalenze incrociate fittizie, delle false fideiussioni e delle operazioni di cessioni di marchi infragruppo. Insomma, la cosiddetta"finanza creativa" che crea solo danni ai conti dell'azienda calcio. La recente notizia delle indagini della Procura di Milano sulle plusvalenze incrociate fittizie di otto giocatori tra Inter e Milan ha posto nuovamente in luce il problema dei bilanci "imbellettati". E'possibile che solo adesso ci si accorga di ciò? "Le confesso che quando era scoppiato nello scorso maggio lo scandalo che aveva coinvolto Luciano Moggi, avevo notato che si era cercato di minimizzarlo. Inizialmente si parlava solo di partite truccate tramite qualche "regaletto" agli arbitri per la sola stagione 2004/2005: piccole infrazioni riguardanti soltanto la giustizia sportiva. Ci si era però dimenticati che alle spalle di "calciopoli" c'erano alcuni fatti ben più gravi di rilevanza penale, come i bilanci truccati, le fidejussioni false. Tutto ciò giunge soltanto ora al pettine con l'indagine della magistratura ordinaria, che ha effettuato un'ampia e complessa indagine: l'autorità di governo del calcio ha purtroppo trascurato questi problemi, che sono ben più gravi". E a proposito di plusvalenze incrociate fittizie e vendite dei marchi a società interamente controllate, come hanno fatto Inter, Milan e Lazio, lei cosa ne pensa? "Sono operazioni completamente false e avranno un'incidenza fortemente negativa sui bilanci delle società". Il sospetto è che queste operazioni siano state approntate dagli azionisti dei club per ripianare le perdite, risparmiando somme consistenti: in futuro dovranno versare soldi veri? "Di sicuro dovranno riscrivere i bilanci in modo corretto. Bisogna però applicare le giuste sanzioni per chi è eventualmente incorso inqueste falsità di bilancio". Lei prima accennava agli organi del calcio: la Covisoc, l'organismo di vigilanza sui bilanci delle squadre, avrebbe dovuto vigilare. Perché non lo ha fatto? "La Covisoc nel 1999 è stata esautorata di tutti i suoi effettivi poteri di controllo, perché disturbava le società. Queste ultime avevano sostenuto che la Commissione non era più necessaria, poiché al loro interno avevano già i loro organi di vigilanza, come il collegio sindacale. Un bel giorno, anzi un brutto giorno, è stata emanata una disposizione con cui la Covisoc non poteva più svolgere esami approfonditi sui bilanci, ma il suo compito era limitato soltanto allaverifica dell' "equilibrio finanziario" per l'iscrizione aicampionati. L'autorità di vigilanza non poteva quindi più entrare nelmerito dei documenti contabili".Sarebbe forse meglio che invece della Covisoc fosse nominataun'autorità di vigilanza esterna al mondo del calcio?"Se funzionasse la Covisoc, dandole i poteri appropriati, non cisarebbe alcun problema per la verifica dei conti delle società".Però dei membri indipendenti offrirebbero maggiori garanzie?"E' meglio non complicare le cose. Se si nominassero le authority perogni materia si rischia di creare solo confusione. Credo che nel casodelle società di calcio, essendo private, debba esistere un organismo di vigilanza interno, purché abbia tre caratteristiche fondamentali: autorità, prestigio e indipendenza".
Lei ha lanciato l’allarme sull’elevato debito fiscale delle società: è una situazione di non ritorno? “Da notizie di stampa ho appreso che sui club pesa un debito tributario di 538 milioni di euro. Tuttavia questa somma non è dovuta per il reddito da loro prodotto, poiché quasi tutte sono in perdita: rappresenta invece le ritenute fiscali da effettuare nei confronti dei calciatori. Al pari di qualsiasi datore di lavoro i club dovevano versare, in qualità di sostituti, le imposte sui loro salari milionari. E’ successo però che gran parte delle società non le hanno versate: a mio avviso, c’è un obbligo solidale dei giocatori a pagarle. L’Agenzia delle Entrate, se fosse attenta, avrebbe dovuto già agire nei confronti dei singoli calciatori per il recupero delle somme arretrate. Ciò può tranquillamente avvenire in forza di alcune sentenze della Corte di Cassazione, che riconoscono la responsabilità del dipendente tesserato a pagare le tasse, salvo la possibilità accordata loro di potersi rivalere nei confronti della società per inadempienza contrattuale. Il fisco deve fare il suo mestiere: colpire i percipienti reddito per recuperare i tributi dovuti”. I dirigenti delle società si lamentano dei costi e, soprattutto, del carico fiscale troppo elevato: a torto o a ragione? “Anche io mi lamento del costo fiscale che colpisce la mia attività. Anche l’uomo della strada, il negoziante, il grande e piccolo imprenditore si lamentano del fisco. Ma non si possono creare categorie privilegiate”. Ciò vuol dire che prima le società pagano i tributi e dopo si può eventualmente discutere se essi sono vessatori? “Proprio così. E insisto sulla responsabilità fiscale dei giocatori: l’Agenzia delle Entrate deve compiere il suo dovere”. L’Olympique Lione ha intenzione di quotarsi in Borsa a Parigi. Lei aveva dichiarato che sui prospetti informativi di non raccomandare l’acquisto delle azioni dei club alle vedove e agli orfani: è sempre di quella opinone? “Farei una distinzione. Se un club si occupa solo di calcio, dubito fortemente che possa riservare soddisfazioni ai piccoli azionisti. Viceversa, se la sua attività è dedicata anche ad altro, come i settori immobiliare o commerciale, allora potrebbe essere interessante”. Alcune società però si lamentano che non riescono a sfruttare il merchandising per la scarsa tutela giuridica dei marchi aziendali: è proprio così? “Non è vero, la legge italiana offre garanzie adeguate. Le società devono solo valorizzarli in modo adeguato”. Il 31 gennaio si concluderà l’opa della società di Claudio Lotito sulla Lazio, che sparirà dal listino di Piazza Affari: come giudica questa operazione? “Finalmente un’operazione concreta che fa ordine sul mercato azionario. E’ inutile illudere i piccoli azionisti con il calcio, con cui molto difficilmente si guadagna”.
di Marco Liguori
http://www.wikio.it

il pallone in confusione

Registrazione n° 61 del 28 settembre 2009 presso il Tribunale di Napoli
Sede: corso Meridionale 11, 80143 Napoli
Editore e direttore responsabile: Marco Liguori

Si prega di non intasare le caselle di posta elettronica con spam pubblicitario e di altro tipo (come appelli politici). Questo sito tratta solo di calcio, finanza del calcio e di argomenti affini. Ogni abuso sarà punito.

Le foto presenti su "il pallone in confusione" sono state in gran parte prese da siti Internet: dovrebbero essere di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, possono segnalarlo a uno dei due indirizzi email sopra indicati