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venerdì 21 novembre 2008

Se andare allo stadio è più difficile che uscire a cena con Obama

Riceviamo e pubblichiamo da Virgilio Motta questo servizio di Tommaso Della Longa pubblicato sull'ultimo numero del mensile "La Voce del Ribelle" diretto da Massimo Fini.
Motta ha espresso nella sua email la sua esasperazione per i divieti imposti dal ministero dell'Interno, in particolare anche quelli stabiliti dal Prefetto di Milano per Inter-Napoli: «Vi giuro che sono al limite. Ora non vale più neanche l'abbonamento x acquistare i 2 biglietti». E aggiunge: «Ormai è più facile ottenere udienza dal Papa o uscire a cena con Obama piuttosto che entrare allo stadio»

Ultras e Stato di polizia

Oggi la repressione tocca le tifoserie e crea un precedente.
Chi saranno i prossimi a essere criminalizzati?


Servizio di Tommaso Della Longa
In Italia certe parole diventano puntualmente il simbolo paradigmatico di interi fenomeni. Si dice “il movimento” e si pensa subito agli studenti in lotta. Si usa l’aggettivo “estrema” vicino alla parola sinistra o destra, e il pensiero va subito a fazioni border-line che si muovono a metà strada fra il sistema democratico e l’eversione. Si parla del terrorismo internazionale e, in linea con l’equazione tanto cara a George W. Bush, se ne fa un tutt’uno con la religione islamica come se tutti i seguaci di Maometto fossero aspiranti uomini bomba. E poi, nel Belpaese angosciato dalla poca sicurezza e dalle mille emergenze quotidiane raccontate dai media, c’è una parola che adombra un pericolo costante: ultrà o ultras e subito la mente viene portata a teppismo, furti, devastazioni, guerriglia urbana. È proprio da qui, dall’accezione della parola “tifoso” in Italia, che bisogna partire per capire il motivo dell’interesse per il mondo delle
curve.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: gli ultras non sono una categoria, e ultras non è un’etichetta che si può affibbiare tout court a chiunque entri dentro un impianto sportivo per sostenere la propria squadra. Gli ultras non sono assimilabili a categorie sociali come quelle
degli operai, degli studenti, degli ingegneri o chissà cos’altro. Il tifoso, l’ultras, l’ultrà è solo uno qualsiasi di noi che mostra un attaccamento estremo, radicale alla propria squadra, alla propria città, ai proprio colori. E ovviamente tutto questo non significa che si tratti di una persona necessariamente violenta e pericolosa. L’ultras è il nostro vicino di casa, è l’operaio, l’avvocato, il giornalista, lo studente, il disoccupato, il papà, l’autista. Per dirla con un luogo comune, è l’uomo della porta accanto.
Allora, evidentemente, c’è qualcosa che non va. Se ultras lo può essere anche un libero professionista, l’accezione corrente è sbagliata. Forse, o probabilmente, è sbagliata in mala fede. E più avanti ne scopriremo anche il motivo. Di fatto, però, agli occhi della classica casalinga di Voghera avere una passione per la propria squadra appare un demerito. E quando
magari scopre che il “bravo ragazzo” che conosce da anni è un tifoso radicale, cambi immediatamente la sua valutazione. Non è più così “bravo”. È una specie di delinquente a piede libero, che chissà cosa combina o cosa potrebbe combinare. Non lo ripete, sempre, anche la televisione?
Ecco fatto: il tam tam mediatico ha funzionato, il lavaggio del cervello è andato  a segno. Proprio perché il mondo delle curve è stato dipinto come un luogo infernale popolato da reietti della società, l’ultras si ritrova a calamitare su di sé tutto il peggio, prestandosi inconsapevolmente a una strumentalizzazione continua. Che, come vedremo meglio più avanti, ha diverse manifestazioni e differenti scopi, di maggiore o minore portata, a breve o a lungo termine.
All’inizio della scala c’è la manipolazione spicciola, quella che è stata ben definita, anche in altri ambiti, “arma di distrazione di massa”. Per esempio: l’uso del tifo organizzato per non soffermarsi su altro, come nel caso della farsa mediatica dei tifosi napoletani in trasferta a Roma per la prima giornata di campionato, coi disordini gonfiati ad arte per monopolizzare l’attenzione e mettere in ombra l’avvio (si fa per dire, visto l’immediato rinvio per irregolarità procedurali) del processo per l’omicidio di Gabriele Sandri da parte dell’agente di polizia Luigi
Spaccarotella.
A un livello ben più alto c’è invece l’utilizzo degli ultras come pretesto per assumer provvedimenti di carattere generale, che investono o si preparano a investire l’intera società. Il processo mediatico e la condanna morale degli ultras che divengono, per dirla in termini giuridici, il “precedente” su cui basare leggi liberticide, anti-costituzionali e, addirittura, contro il senso comune. Una sorta di laboratorio in cui si cominciano a sperimentare le dinamiche autoritarie del Grande Fratello, giustificando in nome dell’ordine pubblico lo Stato di polizia e il controllo su tutto e tutti. Un esperimento che, essendo fatto innanzitutto sulla pelle della “peggio gioventù”, non alza polveroni e lascia mano libera, permettendo operazioni sotterranee che in seguito, però, potranno andare a colpire qualunque altro segmento della società.

Le leggi speciali che diventano la normalità
Ogni volta che si sente parlare di “leggi speciali”, soprattutto qui in Italia, bisognerebbe subito diffidare. Un provvedimento speciale, infatti, dovrebbe non solo essere legato a eventi particolari e di estrema gravità, ma restare comunque una misura eccezionale e temporanea, che viene abrogata non appena si è usciti dalla fase di massimo pericolo. Ma non è così. Un
esempio su tutti? Le leggi speciali approvate durante gli anni di piombo. Trenta anni dopo sono ancora vive e vegete. E soprattutto attivissime. Eppure, fortunatamente, per le strade della nostra nazione non ci si spara più per ragioni politiche. Non ci sono più attentati e agguati reciproci.
Ancora oggi, però, esistono divisioni della polizia politica che hanno sostanzialmente mano libera nel colpire chiunque non abbia posizioni moderate. Ci sono leggi che colpiscono esclusivamente le idee o i simboli. Ci sono, ancora, normative che danno carta bianca allo Stato nel controllare il cittadino.

La grande leva della paura
Entrati nel Terzo Millennio, per giustificare il controllo globale ci siamo trovati davanti a una vera e propria campagna mediatica mirata a instillare nei cittadini la paura, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Paura del terrorismo. Paura delle epidemie e delle nuove malattie. Paura del vicino di casa. Paura di camminare per la strada. Come è stato possibile tutto ciò? Semplice: continui richiami in televisione ad assassinii, a morti improvvise, a stupri, a rapine. Tutti modi per inculcare nella testa di ogni bravo cittadino l’idea, e il bisogno, di maggiore sicurezza, da ottenere a qualsiasi costo. Più controllo, più ordine. Nelle nostre strade, oggi, vediamo le mimetiche verdi dell’esercito. Ma forse è quello che non vediamo, la parte più preoccupante. E qui si torna ai famigerati ultras.
Come abbiamo già detto, i provvedimenti speciali hanno come incubatore preferito il mondo delle curve, quel mondo che difficilmente qualche politico o qualche istituzione pubblica difenderà mai. Ogni governo che è rimasto per più di qualche mese a Palazzo Chigi ha colpito il mondo del tifo. La prima operazione è stata la destrutturazione: colpire il tifo organizzato, gli esponenti dei gruppi, quelli che ogni settimana mettevano in piedi una macchina organizzativa fatta di riunioni, appuntamenti, coreografie, stadio. In pratica, si è incominciato a criminalizzare quelli che stavano dietro uno striscione specifico, che si prestava alla strumentalizzazione. Ecco le diffide, ecco le perquisizioni preventive. Siccome domani tu potresti fare chissà che cosa, io intanto stanotte vengo a casa tua, ti metto a soqquadro l’abitazione e ti faccio capire che è meglio stare attento. Oppure, io polizia ho una lista di nomi di persone che sono andate in trasferta in un certo posto, qualcuno ha creato problemi, e allora cosa faccio? Io Stato “diffido” tutti. La diffida, ovvero il Daspo, acronimo di “divieto di accedere a manifestazioni sportive”, esiste dal 1989.
Di cosa sia, di come venga usato, e del suo stesso fondato sospetto di incostituzionalità, parliamo diffusamente nell’intervista che segue, con l’avvocato Lorenzo Contucci. Basti dire, qui, che la diffida è un’arma con cui è stato colpito senza remore o distinzioni il mondo degli stadi. Uno strumento messo in mano alle questure e lasciato al loro libero arbitrio.
Le questure hanno carta bianca nel colpire chiunque. E se domani lo stesso provvedimento, la stessa logica fosse spostata nel campo delle manifestazioni politiche o sindacali?
Per non parlare poi dell’introduzione del famigerato “arresto in flagranza differita”: un controsenso in termini, visto che già la parola stessa di flagranza significa che qualcuno è stato colto con le mani nel sacco. L’aggiunta della “differita” è solo un modo, molto contestato dagli stessi giuristi, per colpire gli stadi, con la traduzione immediata in carcere, e chissà domani chi altro.
Ma non è finita qui. Dopo la morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, sull’onda mediatica dello sdegno costruito a tavolino per gli scontri tra catanesi e palermitani, abbiamo assistito a un inasprimento delle misure contro gli ultras. Vietate la maggior parte delle trasferte.
Vietati gli striscioni non ignifughi (!?). Vietata la vendita dei biglietti se non dietro presentazione di un documento. Chiusura dei settori ospiti (creando una pericolosa vicinanza nei settori “normali” tra tifosi di fede opposta).

“Si comincia a stabilire chi può entrare negli stadi. Domani lo si potrà fare coi concerti. E poi coi raduni di ogni altro tipo”
Praticamente si è sancito il principio che una minoranza di facinorosi può decidere per tutta l’Italia e che, forse, conviene avere un po’ di violenza da mettere in prima pagina per tenere buoni gli italiani e indurli a sollecitare maggiore sicurezza. Ci sarebbe da chiedersi se tutto questo ragionamento possa essere applicato all’esterno. L’equazione sarebbe semplice. Visto che davanti alle discoteche ci sono le risse o in autostrada ci sono gli ubriachi che fanno gli incidenti, perché non introdurre le autostrade e le discoteche “a porte chiuse”? Oggi, in ogni
stadio italiano, per esporre uno striscione c’è bisogno del via libera della procura tramite un fax mandato almeno due giorni prima della partita.
Oggi, non possono più entrare i materiali preparati per le coreografie. Oggi, gli stadi italiani stanno diventando sempre più grigi e silenziosi. Il controllo e la repressione senza distinzioni stanno distruggendo dalle fondamenta il tifo organizzato, con due gravi conseguenze: la scomparsa dei gruppi strutturati, favorendo così gruppetti di cani sciolti incontrollabili, e l’allontanamento dagli stadi di famiglie e bambini. Se per andare allo stadio con mio figlio devo subire una trafila da controlli anti-terrorismo, finisce che lascio perdere.
E anche le ultime notizie che ci arrivano sono tutt’altro che confortanti. Dopo i fatti di Bulgaria-Italia (e ci sarebbe da chiedersi quali “fatti”, visto che la maggior parte delle foto che sono arrivate da noi erano di tifosi bulgari e non di italiani, come detto dai media e dagli
imbarazzatissimi politici), il presidente della Figc Giancarlo Abete ha fatto sapere che non ci sarebbero più stati biglietti per le partite dell’Italia all’estero. Ma come? Se pure fosse confermata la versione ufficiale, bastano 144 (il numero dei biglietti venduti a Sofia) facinorosi
per togliere a tutta l’Italia la possibilità di seguire i nostri azzurri?
Poi, la perla finale che avevamo anticipato sul numero scorso: la carta del tifoso. A cosa serve? È un sistema, spiegano dal Viminale, per “fidelizzare sempre più i tifosi ai loro club e, nello stesso tempo, per emarginare le frange più violente del tifo. Una specie di telepass che consente
l’ingresso agevolato negli stadi”. Peccato che non dicano a chiare lettere cosa si nasconde dietro a tutto questo. Per avere la “tessera” io normale cittadino devo fare richiesta alla società che, però, deve chiedere il permesso alla questura del luogo. A decidere chi sono i buoni e chi sono i
cattivi, dunque, non sono le società sportive. È la polizia. E se io sono già nella sua lista nera del Viminale, come faccio a uscirne?
Si comincia così. Si comincia a stabilire chi può entrare e chi non può entrare negli stadi. Domani lo si potrà fare coi concerti. E poi coi raduni di ogni altro tipo. E poi con gli spostamenti individuali. Vuoi andare da qualche parte? Chiedilo alla questura. Senti, preventivamente, se è d’accordo oppure no. O se è meglio che tu te ne resti a casa, in nome dei
supremi interessi dell’ordine pubblico.

Quando l’aggregazione giovanile fa paura
I giovani, si sa, fanno sempre paura a ogni sistema di potere. Ragazzi erano quelli di Budapest che nel ’56 hanno sfidato l’Urss, come studenti erano quelli che nel ’68 hanno combattuto per la libertà di Praga. Il movimento del ’68, le lotte del ’77, gli universitari degli ’80, i figli del riflusso e poi successivamente della caduta del Muro di Berlino del 1989. Per non parlare poi delle avanguardie culturali e di pensiero, come nel lampante caso del Futurismo e dell'impresa di Fiume o in quello della rivoluzione cubana capeggiata da Fidel Castro e Ernesto “Che” Guevara. Anche oggi dai giovani (molte volte anche ultras) partono le rivolte: a Budapest contro il premier liberal-liberista Ferenc Gyurcsány, a Belfast contro l’occupante britannico, a Parigi nelle banlieue, a Gaza contro i carri armati israeliani. Il minimo comun denominatore di tutti questi avvenimenti è la gioventù dei partecipanti alla rivolta, alla lotta, alla guerra, alla guerriglia, alla rivoluzione.
Ci sono state alcune generazioni che hanno combattuto per qualcosa in cui credevano. Generazioni che sono cresciute forti, sane e mentalmente libere. Comunque sia, con lo sguardo rivolto al futuro, con la faccia rivolta all’insù. Storicamente, invece, le generazioni di mezzo sono sempre state quelle frustrate, che non avevano nulla per cui lottare. Magari cresciute
nella pace e nella prosperità, ma di contro vissute nella luce, indiretta, dei racconti dei fratelli maggiori. Generazioni senza un punto cardine su cui costruire la propria vita. Basti pensare ai tanti dopoguerra, ai post-rivoluzionari, a quelli che sono nati in una situazione totalmente
“normalizzata”. Rabbia, frustrazione e soprattutto poca consapevolezza del futuro, con la scomparsa di una visione libera e d’insieme.

“Lo Stato reprime, comprime le spinte giovanili, pretende di normalizzare tutte le situazioni anomale.”
Dalla fine degli anni ’50 (e forse anche da prima) ai giorni nostri, esiste un solo movimento di aggregazione giovanile che ha continuato a vivere, a passarsi il testimone, ad avere nuovi capi e a poter contare su migliaia di presenze. Il mondo ultras. Ogni domenica, dal calcio all’hockey su
ghiaccio, le gradinate di stadi e palazzetti dello sport vengono riempite da giovani. Ragazzi con i propri eccessi, ma fedeli alla propria tribù. Con i propri riti, le proprie battaglie, fatte di feriti e prigionieri, il proprio codice d’onore, fatto di regole non scritte. Certo, sono tribù che si affrontano a viso aperto e senza troppi problemi. Gruppi che canalizzano la propria rabbia, simulando una guerra che non c’è più, una rivoluzione ormai tramontata da decenni. Ma quello che più importa è che sono ragazzi che vivono di passione, attaccamento alla bandiera, amicizia, fedeltà. Giornate passate a pensare slogan e produrre coreografie (quando si potevano fare). Piani per colorare la propria seconda casa, la curva. Serate passate a ridere e scherzare con tanto di “reduci” che raccontano le battaglie del passato, del presente e del futuro. Certo, qualcuno inorridirà davanti ad affermazioni di questo tipo, ma soprattutto oggi, nella società basata sul consumismo e la lobotomizzazione televisiva dei cervelli, chi ha il germe della ribellione sta dalla parte giusta. Il problema, semmai, sarebbe incanalare sulla strada corretta e con qualche eccesso in meno forze così importanti.
Lo Stato non può che aver paura di tutto questo. E allora – invece di infondere nei più giovani la fiducia nelle Istituzioni, invece di mostrare loro la buona amministrazione della res publica, invece di far capire che alla fine le forze di polizia possono essere veramente amiche del cittadino – lo Stato reprime, comprime le spinte giovanili, pretende di normalizzare tutte le situazioni anomale. Quando non fa di peggio, ovviamente: come cercare di insabbiare l’uccisione senza motivo di un ragazzo che viaggia dentro una macchina in autostrada, omettendo di punire per direttissima il colpevole solo perché porta la divisa. Come si può chiedere a un ragazzo di avere fiducia nel sistema?
L’impressione è che, anche nel caso del popolo delle curve, si tenti solamente di destrutturare da cima a fondo l’aggregazione giovanile che potrebbe portare più consapevolezza e, quindi, più problemi. Meglio generazioni di ragazzi che si istupidiscono davanti a chat, social network,
spot televisivi, magari accompagnando il tutto con un po’ di droga. Saranno sicuramente più innocui, più facili da manipolare, da neutralizzare, da asservire alla logica di chi detiene il potere. Saranno i cittadini ideali di questo Stato per niente ideale.

Taranto, bilancio in rosso ma per sopravvenienza

Al 30 giugno 2007 i ricavi della squadra pugliese superavano i costi per 495mila euro. Nonostante questo risultato positivo, l’esercizio si è concluso con una perdita di 38.500 euro a causa delle componenti straordinarie derivanti dal fallimento del 2004

Taranto Sport in perdita, ma soltanto per sopravvenienza. Il bilancio depositato in Camera di Commercio al 30 giugno 2007 della società pugliese, ritornata in C1 (adesso Prima divisione della Lega Pro) dopo due anni di militanza nella categoria inferiore, presenta un conto costi-ricavi in confortante attivo per 495mila euro e in netto aumento rispetto ai 45mila euro dell’anno precedente. Ma se la gestione caratteristica è stata positiva, non lo è stata altrettanto quella straordinaria che si è chiusa con un passivo di 456mila euro: il risultato di esercizio è stato negativo per 38.500 euro, mentre al 30 giugno 2006 era in attivo per circa 12mila euro: la perdita è stata rinviata dall’assemblea dei soci, si legge nella nota integrativa, "al futuro esercizio". Il patrimonio netto, ossia i mezzi propri, è positivo per 228mila euro, in lieve discesa dai precedenti 266mila.
Scendendo in dettaglio, i conti sono stati intaccati innanzitutto da una sopravvenienza passiva di 296mila euro riguardante, stando alla nota integrativa, "prevalentemente a costi relativi alle vertenze dei vecchi tesserati derivanti dalla fallita Società Taranto Calcio srl, nonché al costo dell’esercizio provvisorio del Fallimento Taranto Calcio srl addebitato alla Taranto Sport srl". Oltre a ciò, vi sono 167mila euro per altri oneri straordinari che hanno inciso sul risultato finale. L’obiettivo del monitoraggio dei conti, riproposto anche per l’anno successivo dal consiglio di amministrazione nella relazione sulla gestione, è dunque stato raggiunto considerato che il passivo deriva da fattori non ripetibili. Sul bilancio della stagione 2007/08 del "magico" (come lo chiamano i suoi tifosi), in cui ha ancora militato in C1, potrebbe però pesare l’incognita delle ripetute chiusure dello stadio "Erasmo Jacovone" che genererebbero incassi inferiori al botteghino. Ma per adesso, in attesa dell’eventuale promozione in serie B attesa da tanti anni, si può dire che il glorioso e coriaceo Taranto è risorto dalle ceneri del crac del 2004.
Nei 3,08 milioni di euro di ricavi spiccano i circa 1,5 milioni dei proventi da sponsorizzazioni. I principali sostenitori economici del Taranto sono tutte aziende del territorio: la Siel Euro Impianti (500mila euro), Soluzioni Pubblicità e Marketing (365.500 euro) che è anche la concessionaria pubblicitaria dello stadio, Peroni (140mila) e Ilva (240mila). A esse si è aggiunto lo sponsor tecnico Umbro (62mila euro). Confortanti i 902mila euro di incassi ottenuti dalla vendita biglietti, in aumento del 51,54% rispetto alla stagione precedente, a cui vanno sommati poco più di 118mila euro in abbonamenti. Nella relazione sulla gestione è spiegato che ciò è dovuto all’incremento del prezzo dei tagliandi effettuato dopo il salto di categoria. La società ha incassato soltanto mille euro da plusvalenza calciatori. Nella nota integrativa si spiega che al 30 giugno 2007 "si è provveduto a stornare l’immobilizzazione relativa all’unico giocatore acquisito a titolo oneroso e completamente ammortizzato". Durante la stagione la società di Vito Blasi "ha acquistato diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori – prosegue la nota del documento contabile – per un totale di 1.500,00 euro completamente ammortizzati in quanto il contratto aveva durata annuale. Gli altri giocatori ingaggiati erano svincolati e quindi contrattualizzati a parametro zero". Dunque il patrimonio calciatori risultava molto esiguo: di conseguenza, gli ammortamenti relativi sono stati scarsi pari a 6900 euro. Riguardo ai costi, spiccano i 939mila euro (+76,40%) per servizi e i 556mila per gli stipendi dei calciatori (+17,7%).
Lo stato patrimoniale presenta un equilibrio tra crediti e debiti di 105mila euro. Nello stato debitorio spiccano i 500mila euro dovuti al fisco (218mila nel 2005/2006)e i 436mila ai fornitori (123mila in precedenza).
Marco Liguori
(Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte)
Nella foto, tratta da http://www.worldstadiums.com/, lo stadio "Erasmo Jacovone" di Taranto

Ammazziamo Pulcinella!

Il video tratto da You tube che denuncia le decisioni discriminatorie contro i tifosi partenopei

Ormai è chiaro che la questione sportiva mascheri quella sociale. La realtà é una sola: é in atto un’emarginazione e una ghettizzazione del popolo napoletano a tutti i livelli. Domenica 16 Novembre si sono verificati tafferugli gravi dentro e fuori lo stadio Olimpico di Roma. Ben trenta poliziotti feriti e contusi, dieci arresti: questo il bollettino di guerra. Tutto questo in nome di una vendetta contro le forze dell’ordine a seguito dell’omicidio Sandri, ma gli scontri si sono verificati anche tra le opposte tifoserie. Inutile citare i gravi scontri relativi al derby di Torino e quelli dello scorso anno al Foro Italico a seguito proprio dell’omicidio di Gabriele Sandri. Nelle cronache recenti si può attingere a piene mani per trovare casi gravi. Ma é ormai assodato che gli unici fatti ad essere degni di censura sono quelli (inesistenti) del (fantomatico) treno devastato che portò i napoletani a Roma il 31 Agosto.
In tutta Italia si ascoltano i soliti cori beceri anti-napoletani. Milano, Bergamo, Verona, Brescia, Roma ma anche latitudini più basse; dappertutto Napoli è ormai bollata e la sensazione che tutto questo sia autorizzato e impunibile perchè impunito. I giornalisti napoletani trovano in trasferta condizioni estreme non fortuite e non possono lavorare in serenità. Ma il malessere, come detto, non è solo sportivo. Se oggi un napoletano mette la testa fuori dalla sua città, che sia a Nord piuttosto che a Sud, porta dentro di se una sensazione di soffocamento del proprio modo di essere, della propria napoletanità più autentica che non è vista come un valore ma come una colpa a prescindere. L’informazione è spesso deviata quando non semplicemente amplificata solo perché il nome Napoli fa “rumore”. I telegiornali riempiono i palinsesti dei mali di Napoli come fosse una moda, una tendenza. Ci sono città bellissime al Sud dimenticate colpevolmente. Catania ad esempio, città stupenda, vive un momento nerissimo ma nessun giornalista sembra infischiarsene. Il Sud può essere abbandonato perché tanto c’è Napoli con i suoi guai che prosciuga tutte le attenzioni.
Le responsabilità di tutto questo sono da attribuire alla politica nazionale sempre pronta a cavalcare il “mostro-Napoli” per nascondere i reali problemi del paese; ai politici locali che non hanno gli attributi per rappresentarci e per difendere il nostro buon nome e la nostra cultura unica; ai napoletani stessi che in grandissima parte rovinano l’immagine stessa della città.Francamente quest’aria sta diventando pesante, irrespirabile. I napoletani sembrano essere colpevolmente assuefatti ma se non si pone rimedio subito presto non potranno più mettere il naso fuori perché finirebbero col soffocare lentamente.Basta!
(angeloxg1, tratto da YouTube)




Sul sito di Canale 9 si può vedere la cronistoria degli attacchi mediatici anti-Napoli

giovedì 20 novembre 2008

La nuova frontiera immobiliare della Juventus

In occasione della presentazione odierna del progetto di ristrutturazione dello stadio Delle Alpi riproponiamo questo articolo pubblicato sul quotidiano "il manifesto" il 22 maggio 2003. Nonostante siano trascorsi cinque anni, il testo è ancora di stringente attualità. Lo stesso argomento è stato posto dagli autori nel libro "Il pallone nel burrone" edito da Editori Riuniti nel febbraio 2004.


La nuova frontiera immobiliare della Juventus
Lo stadio Delle Alpi di Torino diventerà presto un centro commerciale. Ecco come e perché

MARCO LIGUORI
SALVATORE NAPOLITANO

Cose strane accadono all'ombra della Mole Antonelliana. Sono cose che riguardano l'uso dello spazio pubblico concesso dal Comune. Hai un bar o un ristorante e vuoi espanderti mettendo dei tavolini sul marciapiede, vuoi installare un banco per il commercio di libri usati oppure di fiori? Il costo annuo al metro quadro sarà mediamente di 76,65 euro: un po' di più in centro, un po' meno in periferia. Se il ristorante volesse aggiungere una veranda, il costo medio salirebbe a 115,28 euro. Sei un'azienda che voglia occupare il suolo pubblico per attività economiche o promozionali? La tariffa sarà ben più elevata e si attesterà mediamente a 613,2 euro. Ma se sei una società di calcio e ti chiami Juventus il trattamento a te riservato sarà del tutto diverso. Ti potrà essere dato il diritto di edificare sul suolo comunale e di divenire proprietario della costruzione per 99 anni: tale diritto è detto «di superficie» dal Codice Civile. In più, ti è riservata la possibilità di acquisire anche la proprietà del suolo, qualora il Comune decidesse di venderlo. Tutto questo per la modica cifra annua di 4,68 euro al metro quadro: in altre parole, 9.050 delle vecchie lire. E' il senso della Convenzione, relativa allo Stadio Delle Alpi ed alle zone ad esso adiacenti, che il Comune di Torino sta per firmare con la Juventus e che è sorta dopo la modifica al Piano regolatore. Non occorrono sofisticati calcoli per capire il senso di una delibera che assomiglia tanto ad un grazioso regalo: per la costituzione del diritto di superficie la Juventus pagherà in totale 25 milioni, ossia 252.525 euro all'anno. L'area interessata è di 54mila metri quadrati, parte all'interno del Delle Alpi, parte all'esterno. In cambio, la società bianconera potrà costruirvi un centro commerciale, una multisala cinematografica, la nuova sede e dei parcheggi. Deciso il regalo, il Comune avrebbe potuto almeno farsi pagare subito: neanche per sogno. Si accontenterà di ricevere 18 dei 25 milioni complessivi in 9 rate annuali. Tutto ciò è accaduto con l'accordo sostanziale delle forze politiche di maggioranza e di opposizione, ad eccezione di Rifondazione comunista che ha votato contro. Mentre potrebbe essere al tramonto l'epoca delle plusvalenze incrociate è forse questa la nuova frontiera «immobiliare» di cui parla l'amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo, ipotizzando un roseo futuro: che si appresti a farsi concedere altri diritti di superficie alle medesime condizioni per costruirvi qualunque tipo di edificio e poi rivenderlo a prezzi più alti? Da sempre il bilancio dei bianconeri risponde alla filosofia del «beati monoculi in terra caecorum», nel senso che è soltanto meno peggiore dei conti dissestati di tante squadre di calcio. Dunque, anch'esso avrebbe urgente bisogno di qualche idea geniale: nonostante sia possibile raggiungere al 30 giugno, giorno di chiusura dell'esercizio, il record assoluto di fatturato per le società calcistiche italiane con 200 milioni, i conti 2002-2003 sono destinati a chiudere in rosso. Al 31 marzo, le perdite complessive dei primi nove mesi erano pari a 11,37 milioni, nonostante plusvalenze già incamerate per 13,48 milioni. La Juventus è infatti solita imputare all'esercizio successivo (in questo caso al 2002-2003) i movimenti della campagna trasferimenti, cioè quelli dell'estate 2002. Così l'imminente calciomercato produrrà effetti solo sul bilancio dell'esercizio 2003-2004. E non sarebbe sufficiente a invertire il segno del conto economico annuale nemmeno l'eventuale adesione al decreto cosiddetto «salvacalcio», che, in base ad un gioco di prestigio ideato dalla maggioranza parlamentare, consente di suddividere nell'arco di dieci anni le perdite derivanti dalla diminuzione del valore di mercato dei calciatori. Nella sede di Corso Galileo Ferraris questi numeri sono perfettamente conosciuti: tanto che appare subdolo il consiglio, dato ieri dalla Gazzetta dello Sport al direttore generale Luciano Moggi, di fare un tuffo nella piscina piena di euro di cui la Juventus disporrebbe. Se Moggi si tuffasse davvero in quella piscina, ne uscirebbe con un vistoso bernoccolo. Più saggiamente, il direttore generale avrà preferito esercitare, e con lui anche il vice presidente Roberto Bettega, il diritto di acquistare 347.525 azioni della società bianconera al prezzo di 21 centesimi. Con il titolo che viaggia in Borsa intorno ai 2,35 euro al momento fa una plusvalenza, vera per entrambi, di circa 750.000 euro.

«Giustizia sportiva forte con i deboli e debole con i forti»

Samuele Ciambriello, giornalista sportivo e professore universitario, punta l’indice contro le esigue ammende comminate da Tosel ad Atalanta, Lazio e Roma dopo le violenze di domenica scorsa. E sottolinea il clima pesante in alcuni stadi della Penisola, quando gioca il Napoli


«La giustizia sportiva è debole con i forti e forte con i deboli. Eliminiamo il razzismo dagli stadi». Ad affermarlo a “il pallone in confusione” è Samuele Ciambriello, giornalista sportivo, docente ordinario di teoria e pratica della comunicazione all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ed esponente politico del Pd. Ciambriello sottolinea anche il clima pesante respirato in diversi stadi della Penisola quando gioca il Napoli: lo ha provato sulla propria pelle quando si reca in trasferta per l’emittente napoletana Canale 9 assieme al collega Carlo Alvino.

Il giudice sportivo ha sanzionato con sanzioni lievi le intemperanze dei tifosi di Atalanta, Lazio e Roma. Non le sembra un’ingiustizia?
«La giustizia sportiva si sta mostrando sempre più forte con i deboli e debole con i forti. Oramai è chiaro che sta adoperando due pesi e due misure. I mille euro di ammenda all’Atalanta sono davvero più che esigui: potrebbero darli a una sezione Caritas, sarebbe meglio. Ma c’è anche un silenzio complice e connivente da parte dei media».
A cosa si riferisce?
«Se fossero stati feriti numerosi poliziotti in eventuali scontri allo stadio di Napoli con la tifoseria azzurra la Rai e in particolare Mediaset avrebbero fatto vedere le immagini per settimane. Invece, in altri casi non hanno evidenziato sufficientemente i fatti violenti».
Lei è opinionista a Canale 9 nel programma condotto da Carlo Alvino durante le partite del Napoli: ha mai temuto per la sua incolumità fisica quando va in trasferta?
«Spesso ci è accaduto di essere bersaglio di lanci di oggetti, di essere insultati e di ricevere sputi dai tifosi avversari. Ciò è avvenuto in stadi di serie C e di serie B: ma ricordo molto bene che anche l’anno scorso in serie A sia io che Carlo abbiamo vissuto momenti di forte tensione. Posso ammettere lo sfottò, ma la minaccia, l’ingiuria o addirittura la chiusura di un collegamento sono fatti inammissibili».
C’è forse un risveglio dell’antico sentimento antimeridionale?
«Premetto che anche a Napoli esistono persone violente che usano la manifestazione sportiva domenicale per sfogare i propri istinti bestiali e mettersi in mostra. Purtroppo devo sottolineare che c’è in giro un sentimento di odio molto diffuso: si vede che gli stadi sono punti di aggregazione di persone che esprimono il loro essere antimeridionali e antinapoletani. Tutto questo non è un fatto goliardico, è un fatto molto preoccupante».
Lei è un esponente politico del Pd: ha intenzione di preparare con alcuni colleghi di partito delle iniziative in merito a queste vicende?
«Se c’è un argomento bipartisan nella politica, questo è proprio il calcio. I club juventini, milanisti, napoletani coinvolgono anche esponenti di partito. Ritengo però che i politici debbano occuparsi sempre meno di pallone».
Si riferisce anche alle decisoni di Maroni contro la tifoseria napoletana?
«Il ministro dell’Interno ha vietato le trasferte ai tifosi napoletani. Ma perché non è intervenuto anche nei confronti delle tifoserie dell’Atalanta, della Roma e della Lazio dopo i fatti di domenica scorsa? E perché non ha preso provvedimenti punitivi anche nei confronti di altre che si sono macchiate di atti violenti e di teppismo? Tutto questo mi sembra ingiusto».
Marco Liguori
(Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte)

Nella foto, tratta da http://www.ottopagine.it/, Samuele Ciambriello

Processo Lotito: Pm critica Consob perché non è parte civile

Secondo il magistrato Laura Pedìo il comportamento della commissione di vigilanza è «contraddittorio» poiché «aveva prospettato l'esistenza di un patto parasociale, ma poi non era andato fino in fondo»

Il pm Laura Pedìo chiede che il presidente della Lazio Calcio Claudio Lotito e l'imprenditore Roberto Mezzaroma siano condannati rispettivamente a 20 e a 16 mesi (20 mila euro di multa a entrambi) per l'aggiotaggio sui titoli azionari della società biancazzurra avvenuto nel 2005. Ma la rappresentante d'accusa verso la fine della sua requisitoria rileva la mancata costituzione parte civile della Consob definendo «contraddittorio» il comportamento dell'organo di vigilanza «che aveva prospettato l'esistenza di un patto parasociale, ma poi non era andato fino in fondo». «I patti parasociali hanno delle conseguenze penali» aggiungeva il pm ricordando: «La magistratura è indipendente anche dagli organi di vigilanza». Pedìo ai giudici della seconda sezione penale ha chiesto di affermare un principio di diritto importante al fine di penalizzare le condotte fradudolente. «Lo faccio a tutela del mercato e della trasparenza e anche dei piccoli azionisti il cui esposto ha reso possibile la celebrazione di questo processo. Le regole vanno rispettate da tutti, a cominciare dagli imprenditori che si presentano come salvifici». Secondo l'accusa, Claudio Lotito avrebbe acquisito il pacchetto di azioni della Lazio attraverso l'interposizione fittizia di Roberto Mezzaroma, imprenditore e zio di sua moglie. Lotito avrebbe dovuto lanciare un'offerta pubblico di acquisto ma non lo fece perchè, sempre secondo il pm, avrebbe pagato le azioni il 93 per cento in più, cioè 0,71 centesimi di euro invece di 0,39.
«In questa storia non ci sono santi, nè eroi ma imprenditori mossi esclusivamente da interessi economici» dice il pm ricordando che Capitalia aveva in quel momento assoluto bisogno di sbarazzarsi dei titoli della Lazio Calcio. La Lazio aveva gravitato nell'area della Cirio attraverso le società di Sergio Cragnotti e la rappresentante dell'accusa ha ricordato che il presidente della Banca di Roma all'epoca dei fatti Cesare Geronzi risulta indagato per il crac Cirio. A carico dei due imputati per il pm «ci sono indizi univoci, precisi e concordanti». La differenza tra le richieste di pena per i due sta nel fatto che «fu Lotito a preparare, studiare e strutturare l'operazione». Per Andrea Uslenghi, legale di Lotito, «l'opa non era obbligatoria, l'idoneità della condotta per alterare il valore del titolo in modo sensibile deve essere concreta». L'avvocato, che ha chiesto l'assoluzione per Lotito, rileva inoltre una contraddizione nella requisitoria del pm: «Come fa a fidarsi della Consob quando fissa il prezzo delle azioni per poi censurare le scelte processuali dello stesso organismo di vigilanza?». Il processo riprenderà il prossimo 9 dicembre con la difesa di Mezzaroma. Il pm replicherà il 14 gennaio quando ci sarà la sentenza.
Fonte: Apcom

mercoledì 19 novembre 2008

Il forum dei tifosi: la giustizia sportiva va riformata?

"Il pallone in confusione" apre il suo forum di discussione sulla giustizia sportiva: va riformata o no? I tifosi possono lasciare i commenti cliccando il link "commenti" alla fine di questo post.
Non sono ammessi messaggi con insulti o frasi sconce: saranno immediatamente eliminati.
Buon divertimento!
http://www.wikio.it

il pallone in confusione

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