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giovedì 20 marzo 2008

Il Tar boccia Moggi: fu vero illecito

Paolo Ziliani spiega come i giudici amministrativi del Lazio hanno smontato l'ipotesi del complotto e delle macchinazioni sostenute dall'consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, nonché direttore generale, della Juventus.

http://www.paoloziliani.it/news.asp?id=404

Giovedì, 20 Marzo 2008
Ma come! Sono due anni che Moggi, affacciato ora ad una ora ad un'altra delle rilucenti e rutilanti tribune mediatiche che fanno a gara per ospitarlo, ci urla in faccia – un giorno sì e l'altro pure - che lui è una povera vittima innocente, l'agnello sacrificale di un'invenzione chiamata Calciopoli; sono due anni che Big Luciano racconta in giro che non c'è traccia, nella condanna che la giustizia sportiva gli ha inflitto, di sospetto alcuno di “illecito sportivo”; sono due anni che il grande vecchio della pedata italica sparge a piene mani accuse di macchinazioni ordite ai suoi danni dai Grandi Cattivi dell'Inter, della Telecom, dei Palazzi del calcio e della politica e via straparlando; sono due anni che vediamo l'ex dirigente fortissimamente voluto alla Juventus da Umberto Agnelli scrivere editoriali per Libero, tenere lezioni alle università, presenziare a convegni politici, fare lingua in bocca con Mastella, Casini e compagnia cantante; sono due anni che mezza Italia gli si stringe attorno, gli apre le porte, si scappella e stende tappeti rossi al suo passaggio; e dopo tanto dibattersi e tanto sfinimento che cosa succede? Succede che il Tar del Lazio, l'organo che Moggi ha indicato, da sempre, come suo rifugio e sicura àncora di salvezza, respinge in toto il suo ricorso amministrativo contro i 5 anni di squalifica inflittigli dalla giustizia sportiva e motivi la decisione tracciando di lui, e della Juventus che per 12 anni Moggi guidò in compagnia di Giraudo e Bettega, un quadro che definire fosco, desolante e avvilente è dire poco.

Come sempre in questi casi, giornali e tivù abituati e sparare titoli a 9 colonne e a imbandire trasmissione non stop se solo a Moggi viene il ghiribizzo di dire amenità tipo: “Non solo io, ma tutti telefonavano a Bergamo & Pairetto”, dedicano oggi ben poco spazio alle motivazioni con cui il Tar del Lazio, nelle 33 pagine ricche, profonde e articolate della sua sentenza, rimette alla gogna Moggi, i suoi metodi e la sua Juventus di 12 anni di malaffare. E però, prima che qualcuno arrivi a beatificarlo in vita – come noto, le entrature di Big Luciano in Vaticano sono a prova di bomba - è forse il caso di sottolineare alcuni passi della sentenza del tribunale romano (Italo Riggio presidente del collegio giudicante, Giulia Ferrari relatrice).

1) È una panzana, una colossale balla, ciò che Moggi va ripetendo dal day after della sua condanna (con proposta di radiazione che giace, inevasa, nel cassetto del procuratore Palazzi), e cioè che la squalifica di 5 anni gli è stata inflitta solo per violazione dell'articolo 1, cioè per “slealtà sportiva”. Nella sentenza della Corte Federale ci si occupa anche del ben più grave articolo 6, ossia l'illecito sportivo, e il Tribunale del Lazio lo ricorda e lo ribadisce: “Per illecito sportivo – spiega il Tar – si è inteso qualificare e severamente sanzionare non solo l'avvenuta alterazione, con mezzi fraudolenti, del risultato di una partita, ma a monte e INNANZITUTTO, LA CREAZIONE DI UNA STRUTTURA SAPIENTEMENTE ARTICOLATA E FONDATA SI INTERESSATI RAPPORTI CON I CENTRI DECISIONALI DELLA FEDERAZIONE E DELLA CLASSE ARBITRALE” (il maiuscolo è nostro, n.d.r. ).

2) Quando il Tar parla di “struttura sapientemente articolata”, non fa altro che parlare della famigerata Cupola: che non è una creazione fantastica, una sorta di Sarchiapone del pianeta-calcio, ma il Centro di Inquinamento che ha avvelenato il calcio italiano dal giorno dell'avvento, nella stanza dei bottoni della Juventus, della leggendaria Triade composta da Moggi, Giraudo e Bettega. Funzione della struttura (leggi: Cupola) è stata quella, secondo il Tar, “di ingenerare a suo favore una situazione di sudditanza psicologica da parte sia degli arbitri, condizionandone l'operato a mezzo dello strumento delle designazioni affidate a persone facenti parte della struttura sopra citata, che delle altre società, boicottandole non solo sul piano strettamente competitivo ma anche su quello del mercato e delle acquisizioni”. Il tutto assicurando alla Juventus “la consapevolezza che in caso di bisogno non mancheranno tempestivi interventi idonei a fronteggiare eventuali situazioni di pericolo”.

3) A chiare lettere, il Tar spiega che Moggi aveva gli arbitri a proprio favore grazie al lavoro di vero e proprio lavaggio del cervello portato avanti, sui malcapitati, dai designatori Bergamo e Pairetto: insomma, l'aiuto arbitrale alla Juve non mancava mai. “Questa situazione – continua il Tar – è agevolmente realizzabile con il concorso di un arbitro compiacente e disponibile a non vedere all'occorrenza falli compiuti sul campo da giocatori della società protetta e a intervenire con severità su quelli, esistenti o no, imputati ai giocatori della squadra avversaria”. Il Tribunale fa chiaro riferimento alle “ammonizioni ad orologeria” distribuite scientificamente agli avversari più temuti, o a quelli sotto diffida, alla vigilia delle partite contro la Juventus. “In sostanza – spiega il Tar – l'illecito sportivo si configura come illecito di pericolo, a consumazione anticipata, concretandosi nel compimento, con qualsiasi mezzo, di atti funzionalmente preordinati ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare un vantaggio che si rifletterà nella classifica”.

4) Quante volte abbiamo sentito Moggi dire: “Hanno intercettato solo me e hanno manipolato strumentalmente il contenuto delle intercettazioni”? Ebbene, per i giudici del tribunale di Roma, “le intercettazioni hanno un inequivoco tenore”, sono “certamente sufficienti a supportare l'intero impianto probatorio” e “l'interpretazione del significato delle intercettazioni coinvolgenti Moggi è adeguatamente e logicamente motivata nelle decisioni degli organi federali”.

5) Il Tar dà torto a Moggi su tutti i fronti. E a proposito del presunto difetto di giurisdizione, il tribunale di Roma spiega che “le sanzioni in questione per la loro natura assumono rilevanza anche al di fuori dell'ordinamento sportivo ove solo si considerino non soltanto i riflessi sul piano economico (il ricorrente potrebbe essere chiamato a rispondere, a titolo risarcitorio, sia alla Juventus, società quotata in Borsa, che ai singoli azionisti), ma anche e soprattutto il giudizio di disvalore che da detta sanzione discende sulla personalità del soggetto in questione in tutti i rapporti sociali”.

Insomma, per farla breve: fermo restando il diritto di considerare Big Luciano, nonostante tutto, la Santa Maria Goretti del calcio italiano, per il Tar del Lazio Moggi e la Cupola sono stati la cancrena del calcio italiano e a buona ragione sono stati smascherati, squalificato (Moggi) e smantellata (la Cupola). Malavitosi che è meglio perdere che trovare.

Paolo Ziliani

mercoledì 12 marzo 2008

Buio a San Siro

Altro che partita perfetta, Mancini ha commesso ieri sera tutti e sette i peccati capitali. E Pippahimovic sembrava il protagonista di una puntata di Chi l'ha visto...

di Paolo Ziliani
da www.paoloziliani.it

i 15 gol di Moratti non aveva creduto nessuno; ma alla Partita Perfetta di cui aveva parlato Mancini, forse, qualcuno sì. Invece, ecco l'Inter giocare la solita Partita Farlocca, perdere col Liverpool a San Siro e uscire, come un anno fa (Valencia), come due anni fa (Villareal), come tre anni fa (Milan) al primo ostacolo serio incontrato sul suo cammino in Champions League. Due a zero all'Anfield Road (in 10 per il rosso a Materazzi), uno a zero a San Siro (in 10 per il rosso a Burdisso): un'eliminazione che definire deprimente è un complimento. Com'è stata, dunque, la Partita Perfetta che l'Armata di Mancini avrebbe dovuto sfoderare per sbriciolare il Liverpool? Ve la raccontiamo.

Pronti-via, le prime due cose che balzano agli occhi sono Burdisso esterno sinistro nella difesa a 4 dell'Inter (dunque Chivu, schierato centrale a fianco di Rivas a dispetto dell'infortunio alla spalla, sta bene); e Carragher spostato a destra nella difesa a 4 dei Reds (al centro, accanto a Hyypia, Benitez ha inserito Skrtel). Dopo pochi minuti, mentre Carragher comincia a fare la sua parte da ottimo difensore qual è, la domanda che tutti si pongono è: a cosa serve Burdisso? Siccome c'è una partita da vincere 3-0 – almeno su questo, non ci piove -, non sarebbe il caso di retrocedere al posto del n. 16 Zanetti e di inserire un Figo o un Jimenez? La mossa di Burdisso appare due volte folle per un'altra ragione: l'argentino - bravo ragazzo, per carità – è l'inaffidabilità fatta difensore, visto che una partita sì e l'altra pure rischia il rosso. Il nostro eroe somiglia sinistramente al Materazzi prima maniera, quello cui la curva urlava “Picchia per noi!” e lui, tutto felice, eseguiva: e se in Italia una volta gli va bene e una male (per esempio: in Inter-Juventus 2-2, Coppa Italia, Farina lo caccia dal campo per rosso diretto al minuto 9, mentre in Inter-Roma 1-1, campionato, Rosetti se la fa sotto, finge di non vedere una sua entrata spacca-caviglia su Taddei e lo lascia in campo, già ammonito, evitando all'Inter, sotto di un gol e in 10 per l'uscita di Maxwell, il naufragio), in Europa arbitri cacasotto non se ne trovano. Risultato: alla mezzora, ecco l'arbitro norvegese Ovrebo sventolare sotto il naso di Burdisso il cartellino giallo. Kuyt gli sta sgusciando via a metà campo, lungo la linea di fondo, e Burdisso – cadendo – non trova niente di meglio da fare che alzare lo scarpone all'altezza del naso dell'attaccante. Pensierino della sera: Burdisso ammonito alla mezzora significa Inter a rischio massimo di restare, al più presto, in 10 uomini. A San Siro (e in tivù) lo sanno anche i bambini.

Ma Burdisso a parte: come va, intanto, il match? Mica tanto bene, per l'Inter. Se è vero che a tutti è stato chiesto di giocare la Partita Perfetta, fa sorridere che il vero leone in campo – fra i guerrieri nerazzurri – sia Rivas. Sì, avete capito bene Rivas: il migliore in campo è di gran lunga il giovane colombiano, che è la settima o ottava scelta nella difesa di Mancini. È lui che se la vede, spesso da solo, col pericolo pubblico numero 1, Torres: ebbene, Rivas sbaglia pochissimo, anzi quasi niente. E gli altri? Zanetti ha cominciato a fare, da subito, le azioni alla disperata – palla portata in corsa, di peso, da un'area all'altra –, azioni che avrebbe un senso vedere all'80', quando gli assalti all'arma bianca diventano indispensabili. Vieira è il solito dromedario: va ai 2 all'ora, sbuffa e traccheggia ma incide zero (se non ricordiamo male, l'ultima volta che è stato in forma fu alla Juve, appena arrivato, estate-autunno del 2005). Stankovic è claudicante da un anno esatto, per l'esattezza dal giorno di Livorno-Inter 1-2, quando si fece male 3 giorni prima di Valencia-Inter (che giocò da zombi): e Inter-Liverpool gli serve se non altro per entrare nel Guinness dei Primati alla voce “calciatore con l'acciacco più lungo della storia”.

E Ibrahimovic? Ibrahimovic non c'è. Perché Mancini, come sempre in Champions League, ha mandato in campo il suo sosia, Pippahimovic, che gli somiglia molto, ha il numero 8 sulla schiena e probabilmente è un lontano parente di Cimabue: quello che fa una cosa e ne sbaglia due. Una cosa buona, a dire il vero, Pippahimovic la fa: a metà primo tempo – credendosi Ibra – mette Cruz solo davanti a Reina, sia pure decentrato a sinistra. Cruz vede Stankovic acciaccato solo a centro area, preferisce tirare, la palla esce di pochissimo. L'assist per Cruz, davvero pregevole, è l'unica cosa buona che Pippahimovic combina in quella che dovrebbe essere la Partita Perfetta. Si mangia un gol fatto quando Skrtel, con uno svarione, lo lancia a tu per tu con Reina; tira 3 o 4 punizioni una più brutta dell'altra (per inciso: Gerrard, che gioca una partita orrida, tira una punizione e a momenti fa gol); perde una montagna e mezzo di palloni e ci si chiede – appunto – perché Mancini in Europa si ostini a mandare in campo lui, e non Ibra, quello che segna sempre all'Empoli e al Parma e che avrebbe meritato, come si sa, il Pallone d'oro. Altro che quella schiappa di Kakà.

Ancora. Maicon gioca 40 minuti in catalessi, si risveglia una volta, ne approfitta per fare la cosa che dovrebbe cercare di fare 7-8 volte, nella Partita Perfetta: cioè andare sul fondo e metterla in mezzo (dove Cruz, forse temendo che alle sue spalle ci sia il claudicante Stankovic, tocca di tacco: Reina in qualche modo arraffa palla e sventa). Detto che Cambiasso anche stasera non sembra Matthaeus – e nemmeno Simeone – , per trovare il secondo giocatore in forma dell'Inter bisogna tornare al centro della difesa: dove accanto a Tyson Rivas, che gioca una Partita Eccellente, troviamo Chivu, mandato in campo con una spalla tenuta insieme col Lego, e però bravo, coraggioso, autoritario, lucido.

Il primo tempo finisce 0-0, con Burdisso ammonito e Rivas e Chivu migliori in campo (nell'Inter, perlomeno) e la domanda è: dov'è l'errore? Bisogna segnare 3 gol al Liverpool e i trascinatori sono i due difensori centrali: un colombiano alle prime armi e un difensore che sulla schiena ha scritto Enrico Toti? Come diceva quello: sogno o son desto?

Secondo tempo. Drammaticamente, l'Inter torna in campo così com'era uscita. C'è il dromedario Vieira, c'è il cigolante Stankovic, c'è il sosia di Ibrahimovic, Pippahimovic; ci sono lo sbadigliante Maicon e il centometrista Zanetti ma soprattutto c'è ancora lui, l'inutile e catastrofico Burdisso. Possibile, ci si domanda? Possibile. A Mancini, Burdisso deve piacere moltissimo: tant'è vero che anche un anno fa, nella serata tragica di Valencia, lo schierò titolare. Risultato: naufragio ieri, naufragio oggi. Il cronometro non ha ancora scandito il minuto 50 ed eccolo lì, Bertoldo Burdisso, seduto nell'erba a guardare – stranito – il cartellino rosso che l'arbitro norvegese, meno cacasotto di Rosetti, gli sventola in faccia. Ne converrete: siamo al ridicolo! E la domanda è: caro Mancini, tu che hai passato i primi 15 minuti a scattare dalla panchina – come tarantolato – chiedendo il giallo per ogni banale fallo dei giocatori del Liverpool (comportamento ridicolo, a questi livelli: avete mai visto un Ferguson, o un Benitez, dare in escandescenze in Champions League come fossero al Torneo dei Bar nella finale unica Bar Sport contro Bar Moka?), caro Mancini – dicevamo - davvero non hai pensato di mandare calamità-Burdisso sotto la doccia, nell'intervallo? Ma non sei tu l'allenatore dell'Inter? Non sei tu l'allenatore che ha visto Burdisso uscire per un rosso, dopo 9 minuti, contro la Juve in Coppa Italia? Non sei tu l'allenatore che ha sudato freddo quando Rosetti – per tua fortuna - ha fatto finta di non vedere l'entrata inaudita di Burdisso, già ammonito, sulle caviglie di Taddei, al 60' di Inter-Roma? Un'entrata da rosso diretto che se fosse stata sanzionata avrebbe visto l'Inter colare a picco e la Roma, oggi, a meno 3 in classifica? Per favore Mancini, diccelo: perché non hai pensato di togliere di mezzo Burdisso, che oltre a non essere Beckenbauer era il giocatore più inutile, oltre che potenzialmente dannoso, in campo nell'Inter? Non dirci che non ci hai pensato. Dicci che per te Burdisso è Maradona, così almeno capiamo. O se non altro, ci adeguiamo.

E così: con l'Inter in 10 uomini – ormai siamo alla barzelletta – il Liverpool affonda il colpo e segna l'1-0. Lo fa con Torres, che prende d'infilata Rivas e Chivu lasciati soli al loro destino. Baci, abbracci e titoli di coda.
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il pallone in confusione

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