La Padania 28/09/2006
Il collegio sindacale già nel 2004 aveva chiesto agli amministratori una maggiore attenzione
La gestione della Gea? Inefficiente
Marco Liguori
«Il Collegio sindacale aveva richiesto agli amministratori, che ne avevano assunto formale impegno, di pervenire quanto prima ad una più efficace ed efficiente struttura organizzativa e dell’assetto amministrativo-contabile della società». Questa “ammonizione” è stata data dal collegio sindacale al consiglio di amministrazione della Gea World, nel corso della riunione del 12 novembre 2004. I tre sindaci, nella loro relazione allegata al bilancio al 31 dicembre 2005, riportano però che l’efficienza aziendale non è stata raggiunta neppure nel corso dell’ultimo esercizio, precedente alla messa in liquidazione (come anticipato da La Padania il 29 luglio) avvenuta dal 1° agosto scorso. «Ad oggi deve constatarsi che - proseguono i tre professionisti - nonostante lo sforzo profuso dalla direzione aziendale e volto al miglioramento dell’operatività, le procedure interne dell’area amministrativa non si mostrano del tutto adeguate alle esigenze poste dall’accresciuta attività aziendale e necessitano pertanto di ulteriori miglioramenti».Fatta questa premessa, i sindaci hanno svolto un importante rilievo sulla gestione societaria, riguardante i cospicui «crediti nei confronti di calciatori e società calcistiche» vantati dalla Gea. Alla fine dello scorso anno questa voce (registrata come crediti verso clienti) ammontava a 3,87 milioni di euro, tutti esigibili entro l’esercizio successivo, in crescita del 21,6% rispetto ai 3,17 milioni del 2004 e pari a poco meno della metà dei ricavi della società nel 2005 (6,6 milioni). Riguardo alla consistente cifra da riscuotere alla fine del 2005, il collegio sindacale ha evidenziato che si doveva considerare «la difficile situazione economico-finanziaria che caratterizza l’intero settore del calcio professionistico ed il significativo rallentamento dell’attività aziendale a seguito delle note vicende giudiziarie». Ma i tre “sceriffi” societari hanno lanciato anche un preciso monito: «Ove la società nel breve termine non riuscisse ad incassare una congrua parte dei crediti verso clienti non sarà in grado di fronteggiare con fondi propri le uscite programmate». I sindaci sottolinearono che nel caso in cui non fossero stati recuperati i crediti «per garantire la continuità aziendale, dovrà farsi ricorso all’indebitamento bancario e/o all’apporto degli azionisti, poiché il problematico incasso dei crediti potrebbe generare difficoltà nel puntuale adempimento dei debiti verso fornitori e tributari».I nomi dei debitori della Gea non sono noti: in tutti i bilanci dal 2001 sino al 2005 non sono menzionati nomi di calciatori e di società. Di sicuro la Juventus, dove fino allo scorso maggio era direttore generale Luciano Moggi, non è presente nella “lista nera” di chi deve danari alla società di procuratori: infatti, stando ai bilanci 2002/03, 2003/2004 e 2004/2005 del club bianconero, la “galassia Gea” (ossia la Gea World e la sua controllante Football Management) ha introitato una cifra superiore ai 2,8 milioni.Nel bilancio si nota anche che la Gea è stata anche vittima del crack Parmalat. Nella nota integrativa redatta dal consiglio di amministrazione, alla voce “altre partecipazioni” si nota una somma pari a 6252 euro. «Trattasi della partecipazione e warrant della Parmalat spa - si legge nel documento del cda - assegnati alla Gea World per conversione dei crediti da essa vantati, già svalutati in precedenti esercizi». Molto probabilmente, la Gea aveva investito in obbligazioni Parmalat: in seguito ha aderito al piano predisposto dal commissario straordinario della società emiliana, Enrico Bondi, che ha convertito le cifre investite nelle obbligazioni in propri warrant e nuove azioni.
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giovedì 3 aprile 2008
mercoledì 2 aprile 2008
La grande bugia sulla Premier League
di Stefano Olivari
02.04.2008
La vittoria del Manchester United all'Olimpico non ha fornito alcun pretesto agli ultras, più o meno organizzati, che rischiavano di togliere a Roma la finale di Champions 2009, ma scatenerà di sicuro i fanatici italiani di quello che potremmo definire 'Il Partito dei Ricavi'. Un movimento il cui unico credo è che la forza sportiva delle squadre dipenda esclusivamente dalle spese in sede di calciomercato e che quindi si debba incassare sempre di più per spendere sempre di più, innalzando a catena le pretese dei giocatori medi e le commissioni di procuratori in torta con i dirigenti delle società stesse. Mettiamoci l'elmetto per difenderci dal diluvio di editoriali e di interviste sulo strapotere della Premier League, scritti da chi anche solo un anno fa avrebbe deriso Milan e Inter se avesero acquistato Clichy o Arbeloa.
Delle tre sfide che hanno portato all'eliminazione delle italiane dalla fase decisiva della Champions a dire il vero solo l'ultima sembrerebbe portare qualche argomento a supporto della tesi tanto cara a Galliani: nell'esercizio 2006-2007, l'ultimo di cui esista un bilancio completo, il club di Old Trafford ha infatti avuto ricavi per 245 milioni di sterline, cioé circa 307 milioni di euro, mentre la Roma (fonte: Borsa Italiana) ha avuto ricavi consolidati per 162 milioni di euro. In estrema sintesi la più amata squadra inglese ricava il doppio della quinta più amata squadra italiana (dopo le solite tre ed il Napoli), ma se guardiamo agli ingaggi dei giocatori l'analisi si fa ancora più interessante: la società dei Sensi ha un costo del lavoro di circa 75 milioni mentre quella dei Glazer di 133. Insomma, al netto delle situazioni debitorie e delle spese per l'acquisto dei giocatori, per i semplici ingaggi Ferguson può manovrare un budget doppio rispetto a Rosella Sensi.
C'è però un piccolo particolare: la Roma è, come dicono le statistiche in possesso anche della Lega, la quinta squadra italiana per tifo mentre il Manchester United è nettamente la prima inglese ed oltretutto ha 139 milioni di tifosi sparsi in tutto il mondo, di cui 83 milioni in Asia (recente intervista del chief executive David Gill, con stime addirittura prudenziali rispetto a quelle di agenzie di marketing indipendenti). Paragonando più correttamente il club inglese con la prima italiana per seguito popolare, cioè la Juventus, nel suo più recente bilancio disponibile relativo ad una stagione in serie A (quindi la 2005-2006), si nota che nell'ultimo anno della Triade i bianconeri hanno fatturato 252 milioni di euro, all'epoca cifra praticamente identica al fatturato del Man U. Quindi la Roma e le italiane sarebbero penalizzate dai diritti televisivi?
Al bar della Lega, prima di imbeccare i propri uomini, potrebbero magari informarsi: le 'media revenue' del Manchester United, fra Premier League e Champions, nel 2006-2007 sono state pari a 61,5 milioni di sterline (83,4 milioni di euro), tutto compreso cifra inferiore a Juve, Inter e Milan, ed addirittura inferiore agli 88,316 euro della Roma. Non rifacciamo i soliti discorsi su marchandising e cose simili, nel paese del tarocco diffuso non attaccano, e concentriamoci sul teatro della passione dei tifosi, che in teoria sarebbe lo stadio: l'Old Trafford nel 2006-2007 ha generato 92,6 milioni di sterline, circa 116 in euro, mentre l'Olimpico 36,226 euro. Un terzo...Conclusione: dalle tivù, europee e locali, grandi club inglesi ed italiani prendono gli stessi soldi, il merchandising è direttamente proporzionale al numero dei tifosi nel mondo con potenziale di spesa per cose inutili e qui non c'è scampo (il Manchester ne ha cento volte più della Roma, che a sua volta ne ha cento volte più del Chievo), invece per quanto riguarda lo stadio dovrebbe contare solo la città: Manchester, intesa come Greater Manchester (il comune in senso stretto ne ha 440mila) ha circa 2milioni e 250 mila abitanti, mentre Roma con i suoi dintorni viaggia sui quattro milioni e mezzo, il doppio. Il doppio degli abitanti produce quindi un terzo dei ricavi locali?
Non è causata delle tivù cattive la differenza di prospettiva fra i club italiani e quelli di Premier League, ma di chi pensa in piccolo nell'illusione che qualche milione in più da Sky gli cambi la vita. Discorsi validi anche con Totti in campo e con Spalletti non surclassato da Ferguson come è stato, perché la palla è rotonda ed i bookmaker non avevano torto nel dare speranze alla Roma. Per i media è comunque sempre meglio giustificare i fallimenti del campo con la sfortuna, che ci può sempre stare, con i complotti, che almeno i tifosi ottusi ci crederanno, o al limite anche con le colpe di tecnico e giocatori, che tanto sono di passaggio, piuttosto che con l'incapacità dei dirigenti. Almeno di quelli che credono che la colpa sia sempre di Murdoch.
stefano@indiscreto.it
(in esclusiva per La Settimana Sportiva)
02.04.2008
La vittoria del Manchester United all'Olimpico non ha fornito alcun pretesto agli ultras, più o meno organizzati, che rischiavano di togliere a Roma la finale di Champions 2009, ma scatenerà di sicuro i fanatici italiani di quello che potremmo definire 'Il Partito dei Ricavi'. Un movimento il cui unico credo è che la forza sportiva delle squadre dipenda esclusivamente dalle spese in sede di calciomercato e che quindi si debba incassare sempre di più per spendere sempre di più, innalzando a catena le pretese dei giocatori medi e le commissioni di procuratori in torta con i dirigenti delle società stesse. Mettiamoci l'elmetto per difenderci dal diluvio di editoriali e di interviste sulo strapotere della Premier League, scritti da chi anche solo un anno fa avrebbe deriso Milan e Inter se avesero acquistato Clichy o Arbeloa.
Delle tre sfide che hanno portato all'eliminazione delle italiane dalla fase decisiva della Champions a dire il vero solo l'ultima sembrerebbe portare qualche argomento a supporto della tesi tanto cara a Galliani: nell'esercizio 2006-2007, l'ultimo di cui esista un bilancio completo, il club di Old Trafford ha infatti avuto ricavi per 245 milioni di sterline, cioé circa 307 milioni di euro, mentre la Roma (fonte: Borsa Italiana) ha avuto ricavi consolidati per 162 milioni di euro. In estrema sintesi la più amata squadra inglese ricava il doppio della quinta più amata squadra italiana (dopo le solite tre ed il Napoli), ma se guardiamo agli ingaggi dei giocatori l'analisi si fa ancora più interessante: la società dei Sensi ha un costo del lavoro di circa 75 milioni mentre quella dei Glazer di 133. Insomma, al netto delle situazioni debitorie e delle spese per l'acquisto dei giocatori, per i semplici ingaggi Ferguson può manovrare un budget doppio rispetto a Rosella Sensi.
C'è però un piccolo particolare: la Roma è, come dicono le statistiche in possesso anche della Lega, la quinta squadra italiana per tifo mentre il Manchester United è nettamente la prima inglese ed oltretutto ha 139 milioni di tifosi sparsi in tutto il mondo, di cui 83 milioni in Asia (recente intervista del chief executive David Gill, con stime addirittura prudenziali rispetto a quelle di agenzie di marketing indipendenti). Paragonando più correttamente il club inglese con la prima italiana per seguito popolare, cioè la Juventus, nel suo più recente bilancio disponibile relativo ad una stagione in serie A (quindi la 2005-2006), si nota che nell'ultimo anno della Triade i bianconeri hanno fatturato 252 milioni di euro, all'epoca cifra praticamente identica al fatturato del Man U. Quindi la Roma e le italiane sarebbero penalizzate dai diritti televisivi?
Al bar della Lega, prima di imbeccare i propri uomini, potrebbero magari informarsi: le 'media revenue' del Manchester United, fra Premier League e Champions, nel 2006-2007 sono state pari a 61,5 milioni di sterline (83,4 milioni di euro), tutto compreso cifra inferiore a Juve, Inter e Milan, ed addirittura inferiore agli 88,316 euro della Roma. Non rifacciamo i soliti discorsi su marchandising e cose simili, nel paese del tarocco diffuso non attaccano, e concentriamoci sul teatro della passione dei tifosi, che in teoria sarebbe lo stadio: l'Old Trafford nel 2006-2007 ha generato 92,6 milioni di sterline, circa 116 in euro, mentre l'Olimpico 36,226 euro. Un terzo...Conclusione: dalle tivù, europee e locali, grandi club inglesi ed italiani prendono gli stessi soldi, il merchandising è direttamente proporzionale al numero dei tifosi nel mondo con potenziale di spesa per cose inutili e qui non c'è scampo (il Manchester ne ha cento volte più della Roma, che a sua volta ne ha cento volte più del Chievo), invece per quanto riguarda lo stadio dovrebbe contare solo la città: Manchester, intesa come Greater Manchester (il comune in senso stretto ne ha 440mila) ha circa 2milioni e 250 mila abitanti, mentre Roma con i suoi dintorni viaggia sui quattro milioni e mezzo, il doppio. Il doppio degli abitanti produce quindi un terzo dei ricavi locali?
Non è causata delle tivù cattive la differenza di prospettiva fra i club italiani e quelli di Premier League, ma di chi pensa in piccolo nell'illusione che qualche milione in più da Sky gli cambi la vita. Discorsi validi anche con Totti in campo e con Spalletti non surclassato da Ferguson come è stato, perché la palla è rotonda ed i bookmaker non avevano torto nel dare speranze alla Roma. Per i media è comunque sempre meglio giustificare i fallimenti del campo con la sfortuna, che ci può sempre stare, con i complotti, che almeno i tifosi ottusi ci crederanno, o al limite anche con le colpe di tecnico e giocatori, che tanto sono di passaggio, piuttosto che con l'incapacità dei dirigenti. Almeno di quelli che credono che la colpa sia sempre di Murdoch.
stefano@indiscreto.it
(in esclusiva per La Settimana Sportiva)
martedì 1 aprile 2008
Napoli-Swindon Town, un giorno di ordinaria follia
Questo articolo l'ho scritto poco più di due anni fa per http://www.indiscreto.it/, dopo un demenziale Napoli-Roma di Coppa Italia in cui era accaduto di tutto, grazie alla furia distruttiva di un consistente numero di ultras. E' il brutto ricordo, purtroppo indelebile, della mia prima volta allo stadio San Paolo per assistere a una partita del Napoli. Era la finale del 1970 di Coppa Anglo-Italiana con la squadra inglese dello Swindon Town, terminata con la guerriglia di una parte della tifoseria: all'epoca non esistevano gli ultras, ma la violenza e l'imbecillità gratuita purtroppo sono sempre esistite. Lo ripropongo oggi, dopo l'ennesima uccisione di un tifoso avvenuta domenica scorsa prima di Juventus-Parma.
Per gli amanti della storia (che però continua a non insegnare mai nulla) e consiglio su http://marcoliguori.blogspot.com/2008/03/pompei-nocera-incidenti-e-squalifiche.html la lettura di un celeberrimo passo degli annali di Tacito riguardante gli incidenti tra pompeiani e nocerini dopo uno spettacolo di gladiatori.
Tratto da http://www.indiscreto.it/indiscreto.nsf/ae8140bf6cc31ac3c12569a300629c7f/aebda8cb9d2ede31c12570d40040d542?OpenDocument
Domenica 11 dicembre 2005
Migliorato l'anglo e peggiorato l'italiano
di Marco Liguori
Napoli–Swindon Town, giovedì 28 maggio 1970, finale del torneo Anglo-italiano. Una testimonianza del passato, con la quale si può rammentare che il teppismo e l’imbecillità gratuita allo stadio esisteva già in anni lontani. Questa data è stata purtroppo rimossa dalla memoria collettiva, non solo dei napoletani, ma anche da chi si occupa di calcio: eppure dovrebbe essere ricordata, a causa dei gravi fatti che accaddero in quella occasione, per evitare che si ripeta in futuro. All’epoca non esistevano ancora gli ultras o quantomeno non esisteva nulla di paragonabile al fenomeno odierno del tifo organizzato: fu probabilmente una vera "insorgenza" o, per dirla con Karl Von Clausewitz, una "guerra di popolo". La tifoseria azzurra non era nuova ad esplosioni di violenza: nell’ultima giornata del campionato di 1962/63 di serie A il Modena vinse a Napoli 2 a 0, condannando i partenopei retrocessione in B. Ci fu un’invasione di campo e furono completamente distrutte le due porte. Purtroppo questa demenza collettiva è proseguita ininterrotta fino ai giorni nostri, come ricordano gli ultimi episodi di violenza sui campi nostrani. La mia prima volta allo Stadio San Paolo di Napoli coincise proprio con quella partita maledetta. Ero un bimbo, ma ricordo ogni particolare: era un pomeriggio di tiepido sole ‘e maggio napoletano, un’occasione di festa tra gli striscioni e le bandiere inneggianti al "ciuccio". Rammento bene la forte e dolce mano di mio padre dall’ingresso sino al momento in cui giungemmo alla tribuna. E, non appena seduto, vidi il colpo d’occhio del grande anello del San Paolo: all’epoca della sua inaugurazione (correva l’anno 1957) era stato inizialmente chiamato (non a caso) Stadio del Sole. Secondo le cronache dell’epoca, gli spettatori erano 55mila: la folla attendeva l’incontro con la sua calda passione vesuviana, incitando con cori e canti i propri beniamini, come se fosse stato la finale di Coppa dei Campioni. Ma come avrebbero detto i due famosi padri della moviola, i giornalisti della Rai Carlo Sassi ed Heron Vitaletti, "torniamo un attimo indietro" per capire brevemente come erano arrivate il Napoli e la squadra inglese dello Swindon Town a quella finale, rivelatasi poi sciagurata.
Il torneo Anglo-italiano era stato ideato nel 1969 da Gigi Peronace, calabrese di Soverato, indimenticato talent scout trasferitosi in Inghilterra negli anni ’50, anello di congiunzione tra il calcio del Belpaese e quello britannico. A lui si deve l’arrivo in Italia di campioni del calibro di John Charles, Denis Law, Jimmy Greaves, Joe Baker e Liam Brady. Il suo genio risolse una situazione di imbarazzo per l’Uefa: lo Swindon Town aveva conquistato nel 1969 la coppa di Lega inglese, ma era una società militante nella terza divisione britannica. In teoria, con questa sua vittoria, il club avrebbe dovuto partecipare alla Coppa delle Fiere (la progenitrice dell’attuale Coppa Uefa): ma a causa della sua "bassa militanza" lo Swindon Town non ne aveva diritto. Tuttavia, il traguardo raggiunto dalla società della omonima cittadina (un centro industriale che contava oltre 100mila abitanti a fine anni ’60) posta a 130 chilometri ad ovest di Londra non poteva restare inosservato: fu così che Peronace partorì questa particolare competizione. Alla prima edizione parteciparono sei squadre italiane e sei squadre inglesi, incluse le due vincitrici delle rispettive coppe nazionali: la Roma e, appunto, lo Swindon Town. L’Anglo-italiano non deve confondersi con la Coppa di Lega Anglo-italiana, che prevedeva una sfida con partite di andata e ritorno tra le due vincitrici della Coppa di Lega inglese e della Coppa Italia: nel 1969 l’aveva vinta lo Swindon Town superando la Roma (2 a 1 per i giallorossi all’Olimpico, 4 a 0 al ritorno per gli inglesi). Tra le altre partecipanti, per la parte britannica c’erano il Middlesbrough, lo Sheffield Wednesday, il Sunderland, il West Bromwich Albion e il Wolverhampton. La rappresentanza italiana era composta dalla Juventus, dal Lanerossi Vicenza, dalla Lazio e dalla Fiorentina. La macchinosa formula dell’Anglo-italiano prevedeva tre gruppi composti da squadre di entrambe le nazioni: i risultati conseguiti erano però inseriti in due classifiche distinte, una per le italiane e una per le inglesi. Il regolamento prevedeva un criterio di classificazione completamente differente dal parametro classico dell’epoca, che prevedeva per la vittoria due punti, per il pareggio un punto e per la sconfitta: al punteggio erano sommati anche i gol segnati. Era dunque premiata la squadra che segnava di più. Il primo raggruppamento era composto da Juventus, Napoli, Swindon Town e Sheffield Wednesday; il secondo da Lanerossi Vicenza, Roma, Middlesbrough e West Bromwich Albion; il terzo da Lazio, Fiorentina, Sunderland e Wolverhampton Wanderers. Il regolamento prevedeva che, dopo la prima fase a gironi, si sfidassero in finale le due prime classificate italiana e inglese, sul campo del squadra che avesse ottenuto il maggior numero di punti più gol segnati. Il Napoli, classificatosi primo tra le italiane, aveva conseguito una somma di 14 contro i 13 dello Swindon Town, il primo club inglese: la partita decisiva tra le due si sarebbe disputata al San Paolo il 28 maggio 1970.
Torniamo ora a quella giornata maledetta. Il Napoli aveva già affrontato la formazione inglese: gli azzurri avevano vinto a Swindon 2 a 1 e avevano perso in casa per 1 a 0. Nella formazione partenopea mancavano le due stelle, Dino Zoff e Antonio Juliano: entrambi erano stati convocati in Nazionale dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per i mondiali di Messico ’70. A sostituire in porta il Dino nazionale (in quel periodo riserva di Enrico Albertosi) c’era Trevisan. Ad eccezione dei due nazionali e di Altafini, Hamrin e Barison, il "ciuccio" non aveva grandi nomi nella sua formazione, a causa delle croniche difficoltà economiche. C’erano anche Ottavio Bianchi, che aveva fatto faville nel suo ruolo a centrocampo nel campionato 1969/70 ma non era stato convocato in Nazionale per la spedizione messicana, e Gianni Improta, all’epoca giovane promessa, amatissimo dai tifosi. Gli altri erano erano Floris, Monticolo, Zurlini, Panzanato e Montefusco. Dall’altra parte c’era lo Swindon Town, che, nonostante la squillante vittoria con la Roma nella Coppa Anglo-italiana, restava sulla carta una formazione più debole, considerata la sua perdurante militanza nella terza serie inglese. I suoi undici nomi (Jones, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Smith, Smart, Horsfield, Noble, Rogers) non erano certo al livello dei mostri sacri dell’allora formazione nazionale (come Bobby Moore, Jack Charlton e Geoffrey Hurst) che si accingeva a difendere in Messico il titolo mondiale conquistato a Wembley nel 1966. Eppure, sin dalle prime battute dell’incontro si vide che lo Swindon era una formazione molto agile e compatta: il suo allenatore, Fred Ford, aveva creato un gruppo vincente che dava filo da torcere agli avversari. Il Napoli, oltre alle sue lacune difensive, soffriva la mancanza del suo capitano Juliano, che sapeva guidare il gioco della squadra: mancando il suo faro di centrocampo la formazione napoletana piombò ben presto nella notte più nera. Invece la forza della squadra inglese era evidente proprio nella linea mediana: e così dopo soli 24 minuti Noble segna la prima rete per gli inglesi. La reazione degli azzurri è impacciata e incosistente: all’epoca non erano ancora consentite le sostituzioni, che sarebbero state introdotte ufficialmente ai mondiali messicani. L’allenatore Giuseppe Chiappella non avrebbe potuto quindi porre rimedi dal punto di vista tattico. Viste le premesse del primo tempo non si poteva pretendere che nella ripresa il Napoli potesse fare miracoli: così giunse la disfatta. Lo Swindon Town realizzò altri due gol: al 58' ancora con Noble e al 63' con Horsfield solo davanti a Trevisan: fu il giusto coronamento della netta superiorità della squadra inglese, contro un Napoli formato vacanza da fine stagione. Intanto, sugli spalti la situazione stava progressivamente degenerando. I tifosi montarono una feroce contestazione, che passò dai fischi, dalle urla e dalle invettive lanciati dopo i primi due gol inglesi, alle vie di fatto più vergognose della storia del "ciuccio". Proprio dopo il terzo gol, mio padre intuì quel tremendo clima di rabbia: "Marco andiamo!" esclamò prendendomi ancora per mano, ma stavolta in modo fermo e deciso. Quella decisione improvvisa, ma provvidenziale, mi risparmiò la visione dell’avvilente e denigrante spettacolo che si sarebbe scatenato poco dopo.
Secondo la ricca (e purtroppo unica, tranne qualche accenno sui siti di storia del Napoli) documentazione presente sul sito dello Swindon Town (http://www.swindon-town-fc.co.uk/) a poco più di 10 minuti dalla fine al San Paolo si scatenò l’inferno. Come novelli cavernicoli del XX secolo, i tifosi napoletani divelsero le panche di travertino, dov’erano seduti, poste nella parte bassa delle due curve e dei distinti e le frantumarono in piccoli pezzi: così iniziarono un fitto lancio di pietre verso il campo, accompagnato (come se non fosse bastato) da bottiglie di vetro. Le eloquenti fotografie presenti sul sito del club inglese testimoniano la follia di quei momenti. Fu una sarabanda infernale. Correva il 79° minuto: l’arbitro austriaco Paul Schiller decise di interrompere la partita e mandò subito le squadre negli spogliatoi. Nonostante la pronta disposizione del direttore di gara, Horsfield, autore del terzo gol, fu centrato sulla coscia da una pietra e riportò una brutta ferita. Secondo le cronache dei quotidiani inglesi, il lancio del travertino dagli spalti durò a lungo, anche durante la carica della polizia, che riuscì a domare la rivolta dei tifosi soltanto dopo molto tempo. Intanto, nel "bunker" degli spogliatoi l’arbitro decideva la sospensione definitiva e l’assegnazione della coppa del torneo allo Swindon Town. La battaglia sugli spalti e all’esterno dello stadio proseguiva tra la folla rabbiosa e le forze dell’ordine: alla fine si conteranno 40 feriti tra i poliziotti e 60 tra i tifosi. Le persone arrestate furono 30, quelle fermate 11. Secondo le stime rese note dal quotidiano inglese "The Evening Advertiser" i danni arrecati allo stadio San Paolo ammontarono a oltre 20mila sterline dell’epoca. Terminati i disordini, fu assegnata la coppa dal vice presidente della Figc, Orfeo Pianelli. Sul sito dello Swindon sono presenti anche una serie di fotografie non "bellicose", che ritraggono i calciatori della squadra inglese che festeggiano la conquista della coppa con alcuni napoletani. Ford l’allenatore effettuò un giro del campo con il trofeo: un onore dovutogli, considerata l’elevata qualità del gioco espressa dai suoi ragazzi. Ma la vergogna degli incidenti restava purtroppo indelebile.
C’è da dire che l’abitudine del pubblico napoletano di frantumare i sedili di travertino si è ripetuta anche in tempi recenti. Basta leggere sul sito http://www.grandenapoli.it/ la cronaca del dopo partita di Napoli – Bologna 1-5 del campionato 2000-2001: "Un inferno: la pioggia di pietre ricavate dai sedili di travertino, gli agenti che svolgevano opera di contenimento per evitare la peggio agli spettatori. Cento facinorosi contro circa 150 tra poliziotti e carabinieri". Insomma, questi tristi avvenimenti potrebbero ripetersi ancora. E’ mai possibile che un pugno di "brave persone" possa mettere sotto scacco l’ordine pubblico e cancellare lo splendido spettacolo di un partita di calcio? La storia sembra non insegnare mai nulla: questo paese ha una memoria troppo corta. Non a caso l’8 dicembre scorso, in occasione della partita di Coppa Italia Napoli-Roma, il teppismo ha superato ogni limite, con due "attacchi" mai accaduti finora: negli incidenti del dopo partita sono stati assaltati il commissariato di Polizia e la sede del quotidiano Cronache di Napoli, situati nelle adiacenze del San Paolo. Dopo questi ultimi fatti di "guerra di popolo" viene alla mente una considerazione di tipo economico: come si potrà trasformare gli stadi italiani in strutture polifunzionali, con esercizi commerciali e multisala cinematografiche, se c'è un pugno di teppisti capace di sfasciare tutto? Chi pagherebbe i danni in quei casi? C’è da scommettere che nessuno aprirebbe un’attività commerciale in uno stadio, considerato l’elevatissimo rischio costituito dal potenziale distruttivo degli ultras. Sicuramente, dopo la solita sequela di sdegno e di analisi sociali, anche gli ultimi incidenti accaduti nel capoluogo campano saranno posti in tutta fretta nell’italico dimenticatoio. Come suol dirsi a Napoli: "Scurdammece ‘o passato!".
Per gli amanti della storia (che però continua a non insegnare mai nulla) e consiglio su http://marcoliguori.blogspot.com/2008/03/pompei-nocera-incidenti-e-squalifiche.html la lettura di un celeberrimo passo degli annali di Tacito riguardante gli incidenti tra pompeiani e nocerini dopo uno spettacolo di gladiatori.
Tratto da http://www.indiscreto.it/indiscreto.nsf/ae8140bf6cc31ac3c12569a300629c7f/aebda8cb9d2ede31c12570d40040d542?OpenDocument
Domenica 11 dicembre 2005
Migliorato l'anglo e peggiorato l'italiano
di Marco Liguori
Napoli–Swindon Town, giovedì 28 maggio 1970, finale del torneo Anglo-italiano. Una testimonianza del passato, con la quale si può rammentare che il teppismo e l’imbecillità gratuita allo stadio esisteva già in anni lontani. Questa data è stata purtroppo rimossa dalla memoria collettiva, non solo dei napoletani, ma anche da chi si occupa di calcio: eppure dovrebbe essere ricordata, a causa dei gravi fatti che accaddero in quella occasione, per evitare che si ripeta in futuro. All’epoca non esistevano ancora gli ultras o quantomeno non esisteva nulla di paragonabile al fenomeno odierno del tifo organizzato: fu probabilmente una vera "insorgenza" o, per dirla con Karl Von Clausewitz, una "guerra di popolo". La tifoseria azzurra non era nuova ad esplosioni di violenza: nell’ultima giornata del campionato di 1962/63 di serie A il Modena vinse a Napoli 2 a 0, condannando i partenopei retrocessione in B. Ci fu un’invasione di campo e furono completamente distrutte le due porte. Purtroppo questa demenza collettiva è proseguita ininterrotta fino ai giorni nostri, come ricordano gli ultimi episodi di violenza sui campi nostrani. La mia prima volta allo Stadio San Paolo di Napoli coincise proprio con quella partita maledetta. Ero un bimbo, ma ricordo ogni particolare: era un pomeriggio di tiepido sole ‘e maggio napoletano, un’occasione di festa tra gli striscioni e le bandiere inneggianti al "ciuccio". Rammento bene la forte e dolce mano di mio padre dall’ingresso sino al momento in cui giungemmo alla tribuna. E, non appena seduto, vidi il colpo d’occhio del grande anello del San Paolo: all’epoca della sua inaugurazione (correva l’anno 1957) era stato inizialmente chiamato (non a caso) Stadio del Sole. Secondo le cronache dell’epoca, gli spettatori erano 55mila: la folla attendeva l’incontro con la sua calda passione vesuviana, incitando con cori e canti i propri beniamini, come se fosse stato la finale di Coppa dei Campioni. Ma come avrebbero detto i due famosi padri della moviola, i giornalisti della Rai Carlo Sassi ed Heron Vitaletti, "torniamo un attimo indietro" per capire brevemente come erano arrivate il Napoli e la squadra inglese dello Swindon Town a quella finale, rivelatasi poi sciagurata.
Il torneo Anglo-italiano era stato ideato nel 1969 da Gigi Peronace, calabrese di Soverato, indimenticato talent scout trasferitosi in Inghilterra negli anni ’50, anello di congiunzione tra il calcio del Belpaese e quello britannico. A lui si deve l’arrivo in Italia di campioni del calibro di John Charles, Denis Law, Jimmy Greaves, Joe Baker e Liam Brady. Il suo genio risolse una situazione di imbarazzo per l’Uefa: lo Swindon Town aveva conquistato nel 1969 la coppa di Lega inglese, ma era una società militante nella terza divisione britannica. In teoria, con questa sua vittoria, il club avrebbe dovuto partecipare alla Coppa delle Fiere (la progenitrice dell’attuale Coppa Uefa): ma a causa della sua "bassa militanza" lo Swindon Town non ne aveva diritto. Tuttavia, il traguardo raggiunto dalla società della omonima cittadina (un centro industriale che contava oltre 100mila abitanti a fine anni ’60) posta a 130 chilometri ad ovest di Londra non poteva restare inosservato: fu così che Peronace partorì questa particolare competizione. Alla prima edizione parteciparono sei squadre italiane e sei squadre inglesi, incluse le due vincitrici delle rispettive coppe nazionali: la Roma e, appunto, lo Swindon Town. L’Anglo-italiano non deve confondersi con la Coppa di Lega Anglo-italiana, che prevedeva una sfida con partite di andata e ritorno tra le due vincitrici della Coppa di Lega inglese e della Coppa Italia: nel 1969 l’aveva vinta lo Swindon Town superando la Roma (2 a 1 per i giallorossi all’Olimpico, 4 a 0 al ritorno per gli inglesi). Tra le altre partecipanti, per la parte britannica c’erano il Middlesbrough, lo Sheffield Wednesday, il Sunderland, il West Bromwich Albion e il Wolverhampton. La rappresentanza italiana era composta dalla Juventus, dal Lanerossi Vicenza, dalla Lazio e dalla Fiorentina. La macchinosa formula dell’Anglo-italiano prevedeva tre gruppi composti da squadre di entrambe le nazioni: i risultati conseguiti erano però inseriti in due classifiche distinte, una per le italiane e una per le inglesi. Il regolamento prevedeva un criterio di classificazione completamente differente dal parametro classico dell’epoca, che prevedeva per la vittoria due punti, per il pareggio un punto e per la sconfitta: al punteggio erano sommati anche i gol segnati. Era dunque premiata la squadra che segnava di più. Il primo raggruppamento era composto da Juventus, Napoli, Swindon Town e Sheffield Wednesday; il secondo da Lanerossi Vicenza, Roma, Middlesbrough e West Bromwich Albion; il terzo da Lazio, Fiorentina, Sunderland e Wolverhampton Wanderers. Il regolamento prevedeva che, dopo la prima fase a gironi, si sfidassero in finale le due prime classificate italiana e inglese, sul campo del squadra che avesse ottenuto il maggior numero di punti più gol segnati. Il Napoli, classificatosi primo tra le italiane, aveva conseguito una somma di 14 contro i 13 dello Swindon Town, il primo club inglese: la partita decisiva tra le due si sarebbe disputata al San Paolo il 28 maggio 1970.
Torniamo ora a quella giornata maledetta. Il Napoli aveva già affrontato la formazione inglese: gli azzurri avevano vinto a Swindon 2 a 1 e avevano perso in casa per 1 a 0. Nella formazione partenopea mancavano le due stelle, Dino Zoff e Antonio Juliano: entrambi erano stati convocati in Nazionale dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per i mondiali di Messico ’70. A sostituire in porta il Dino nazionale (in quel periodo riserva di Enrico Albertosi) c’era Trevisan. Ad eccezione dei due nazionali e di Altafini, Hamrin e Barison, il "ciuccio" non aveva grandi nomi nella sua formazione, a causa delle croniche difficoltà economiche. C’erano anche Ottavio Bianchi, che aveva fatto faville nel suo ruolo a centrocampo nel campionato 1969/70 ma non era stato convocato in Nazionale per la spedizione messicana, e Gianni Improta, all’epoca giovane promessa, amatissimo dai tifosi. Gli altri erano erano Floris, Monticolo, Zurlini, Panzanato e Montefusco. Dall’altra parte c’era lo Swindon Town, che, nonostante la squillante vittoria con la Roma nella Coppa Anglo-italiana, restava sulla carta una formazione più debole, considerata la sua perdurante militanza nella terza serie inglese. I suoi undici nomi (Jones, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Smith, Smart, Horsfield, Noble, Rogers) non erano certo al livello dei mostri sacri dell’allora formazione nazionale (come Bobby Moore, Jack Charlton e Geoffrey Hurst) che si accingeva a difendere in Messico il titolo mondiale conquistato a Wembley nel 1966. Eppure, sin dalle prime battute dell’incontro si vide che lo Swindon era una formazione molto agile e compatta: il suo allenatore, Fred Ford, aveva creato un gruppo vincente che dava filo da torcere agli avversari. Il Napoli, oltre alle sue lacune difensive, soffriva la mancanza del suo capitano Juliano, che sapeva guidare il gioco della squadra: mancando il suo faro di centrocampo la formazione napoletana piombò ben presto nella notte più nera. Invece la forza della squadra inglese era evidente proprio nella linea mediana: e così dopo soli 24 minuti Noble segna la prima rete per gli inglesi. La reazione degli azzurri è impacciata e incosistente: all’epoca non erano ancora consentite le sostituzioni, che sarebbero state introdotte ufficialmente ai mondiali messicani. L’allenatore Giuseppe Chiappella non avrebbe potuto quindi porre rimedi dal punto di vista tattico. Viste le premesse del primo tempo non si poteva pretendere che nella ripresa il Napoli potesse fare miracoli: così giunse la disfatta. Lo Swindon Town realizzò altri due gol: al 58' ancora con Noble e al 63' con Horsfield solo davanti a Trevisan: fu il giusto coronamento della netta superiorità della squadra inglese, contro un Napoli formato vacanza da fine stagione. Intanto, sugli spalti la situazione stava progressivamente degenerando. I tifosi montarono una feroce contestazione, che passò dai fischi, dalle urla e dalle invettive lanciati dopo i primi due gol inglesi, alle vie di fatto più vergognose della storia del "ciuccio". Proprio dopo il terzo gol, mio padre intuì quel tremendo clima di rabbia: "Marco andiamo!" esclamò prendendomi ancora per mano, ma stavolta in modo fermo e deciso. Quella decisione improvvisa, ma provvidenziale, mi risparmiò la visione dell’avvilente e denigrante spettacolo che si sarebbe scatenato poco dopo.
Secondo la ricca (e purtroppo unica, tranne qualche accenno sui siti di storia del Napoli) documentazione presente sul sito dello Swindon Town (http://www.swindon-town-fc.co.uk/) a poco più di 10 minuti dalla fine al San Paolo si scatenò l’inferno. Come novelli cavernicoli del XX secolo, i tifosi napoletani divelsero le panche di travertino, dov’erano seduti, poste nella parte bassa delle due curve e dei distinti e le frantumarono in piccoli pezzi: così iniziarono un fitto lancio di pietre verso il campo, accompagnato (come se non fosse bastato) da bottiglie di vetro. Le eloquenti fotografie presenti sul sito del club inglese testimoniano la follia di quei momenti. Fu una sarabanda infernale. Correva il 79° minuto: l’arbitro austriaco Paul Schiller decise di interrompere la partita e mandò subito le squadre negli spogliatoi. Nonostante la pronta disposizione del direttore di gara, Horsfield, autore del terzo gol, fu centrato sulla coscia da una pietra e riportò una brutta ferita. Secondo le cronache dei quotidiani inglesi, il lancio del travertino dagli spalti durò a lungo, anche durante la carica della polizia, che riuscì a domare la rivolta dei tifosi soltanto dopo molto tempo. Intanto, nel "bunker" degli spogliatoi l’arbitro decideva la sospensione definitiva e l’assegnazione della coppa del torneo allo Swindon Town. La battaglia sugli spalti e all’esterno dello stadio proseguiva tra la folla rabbiosa e le forze dell’ordine: alla fine si conteranno 40 feriti tra i poliziotti e 60 tra i tifosi. Le persone arrestate furono 30, quelle fermate 11. Secondo le stime rese note dal quotidiano inglese "The Evening Advertiser" i danni arrecati allo stadio San Paolo ammontarono a oltre 20mila sterline dell’epoca. Terminati i disordini, fu assegnata la coppa dal vice presidente della Figc, Orfeo Pianelli. Sul sito dello Swindon sono presenti anche una serie di fotografie non "bellicose", che ritraggono i calciatori della squadra inglese che festeggiano la conquista della coppa con alcuni napoletani. Ford l’allenatore effettuò un giro del campo con il trofeo: un onore dovutogli, considerata l’elevata qualità del gioco espressa dai suoi ragazzi. Ma la vergogna degli incidenti restava purtroppo indelebile.
C’è da dire che l’abitudine del pubblico napoletano di frantumare i sedili di travertino si è ripetuta anche in tempi recenti. Basta leggere sul sito http://www.grandenapoli.it/ la cronaca del dopo partita di Napoli – Bologna 1-5 del campionato 2000-2001: "Un inferno: la pioggia di pietre ricavate dai sedili di travertino, gli agenti che svolgevano opera di contenimento per evitare la peggio agli spettatori. Cento facinorosi contro circa 150 tra poliziotti e carabinieri". Insomma, questi tristi avvenimenti potrebbero ripetersi ancora. E’ mai possibile che un pugno di "brave persone" possa mettere sotto scacco l’ordine pubblico e cancellare lo splendido spettacolo di un partita di calcio? La storia sembra non insegnare mai nulla: questo paese ha una memoria troppo corta. Non a caso l’8 dicembre scorso, in occasione della partita di Coppa Italia Napoli-Roma, il teppismo ha superato ogni limite, con due "attacchi" mai accaduti finora: negli incidenti del dopo partita sono stati assaltati il commissariato di Polizia e la sede del quotidiano Cronache di Napoli, situati nelle adiacenze del San Paolo. Dopo questi ultimi fatti di "guerra di popolo" viene alla mente una considerazione di tipo economico: come si potrà trasformare gli stadi italiani in strutture polifunzionali, con esercizi commerciali e multisala cinematografiche, se c'è un pugno di teppisti capace di sfasciare tutto? Chi pagherebbe i danni in quei casi? C’è da scommettere che nessuno aprirebbe un’attività commerciale in uno stadio, considerato l’elevatissimo rischio costituito dal potenziale distruttivo degli ultras. Sicuramente, dopo la solita sequela di sdegno e di analisi sociali, anche gli ultimi incidenti accaduti nel capoluogo campano saranno posti in tutta fretta nell’italico dimenticatoio. Come suol dirsi a Napoli: "Scurdammece ‘o passato!".
lunedì 31 marzo 2008
Pompei-Nocera: incidenti e squalifiche d'altri tempi, ma attuali
Questo passo degli Annali di Tacito sembra scritto ai nostri giorni. Al posto dei gladiatori ci sono i calciatori, ma la deemenza degli spettatori è rimasta intatta dopo 2000 anni: probabilmente è stata sepolta anch'essa dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.c.
Tuttora quando ci sono partite di calcio tra le squadre dell'area vesuviana e quelle dell'agro nocerino-sarnese i disordini sono la regola fissa, ma non solo in questa zona! Il fenomeno, come si nota ormai troppo spesso, si ripete in tutti gli stadi italiani: come domenica scorsa, prima di Juventus-Parma.
Tratto da http://www.latin.it/autore/tacito/annales/!14!liber_xiv/17.lat
Tacito - Annales - Liber XIV - 17
[17] Sub idem tempus levi initio atrox caedes orta inter colonos Nucerinos Pompeianosque gladiatorio spectaculo, quod Livineius Regulus, quem motum senatu rettuli, edebat. quippe oppidana lascivia in vicem incessente[s] probra, dein saxa, postremo ferrum sumpsere, validiore Pompeianorum plebe, apud quos spectaculum edebatur. ergo deportati sunt in urbem multi e Nucerinis trunco per vulnera corpore, ac plerique liberorum aut parentum mortes deflebant. cuius rei iudicium princeps senatui, senatus consulibus permisit. et rursus re ad patres relata, prohibiti publice in decem annos eius modi coetu Pompeiani collegiaque, quae contra leges instituerant, dissoluta; Livineius et qui alii seditionem conciverant exilio multati sunt.
TRADUZIONE LETTERALE
17. Pressappoco in quel periodo, futili incidenti diedero origine a violenti scontri, con morti, tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei, durante uno spettacolo di gladiatori, organizzato da Livineio Regolo, espulso, come già riferito, dal senato. Cominciarono, con l'intemperanza tipica delle cittadine di provincia, a scambiarsi insulti, poi sassi, per finire col mettere mano alla spada; ebbero la meglio quelli di Pompei, presso i quali si dava lo spettacolo. Molti di Nocera furono riportati nella loro città col corpo mutilato o segnato da ferite, e parecchi piangevano la morte di figli o genitori. Il principe affidò l'inchiesta sugli incidenti al senato e il senato ai consoli. Poi, quando la faccenda ritornò al senato, ai Pompeiani furono vietate per dieci anni simili riunioni e vennero sciolte le associazioni costituitesi in modo illegale. A Livineio e a quanti avevano provocato i disordini fu comminato l'esilio.
TRADUZIONE CON RIFERIMENTI STORICI
In quel medesimo tempo (durante il principato di Nerone, nel 59 d.C.) futili incidenti diedero origine a violenti scontri, con morti, tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei, durante uno spettacolo di gladiatori, organizzato da Livineio Regolo, che ho già detto essere stato espulso dal senato. Cominciarono, con l’intemperanza tipica delle cittadine di provincia, a scambiarsi insulti, poi sassi, per finire col mettere mano alla spada; ebbero la meglio quelli di Pompei, presso i quali si dava lo spettacolo. Molti di Nocera furono riportati nella loro città col corpo mutilato o segnato da ferite, e parecchi piangevano la morte di figli o genitori. Il principe affidò l’inchiesta sugli incidenti al senato e il senato ai consoli. Poi, quando la faccenda ritornò al senato, ai Pompeiani furono vietate per dieci anni simili riunioni e vennero sciolte le associazioni costituitesi in modo illegale. A Livineio e a quanti avevano provocato i disordini fu comminato l’esilio.
Tuttora quando ci sono partite di calcio tra le squadre dell'area vesuviana e quelle dell'agro nocerino-sarnese i disordini sono la regola fissa, ma non solo in questa zona! Il fenomeno, come si nota ormai troppo spesso, si ripete in tutti gli stadi italiani: come domenica scorsa, prima di Juventus-Parma.
Tratto da http://www.latin.it/autore/tacito/annales/!14!liber_xiv/17.lat
Tacito - Annales - Liber XIV - 17
[17] Sub idem tempus levi initio atrox caedes orta inter colonos Nucerinos Pompeianosque gladiatorio spectaculo, quod Livineius Regulus, quem motum senatu rettuli, edebat. quippe oppidana lascivia in vicem incessente[s] probra, dein saxa, postremo ferrum sumpsere, validiore Pompeianorum plebe, apud quos spectaculum edebatur. ergo deportati sunt in urbem multi e Nucerinis trunco per vulnera corpore, ac plerique liberorum aut parentum mortes deflebant. cuius rei iudicium princeps senatui, senatus consulibus permisit. et rursus re ad patres relata, prohibiti publice in decem annos eius modi coetu Pompeiani collegiaque, quae contra leges instituerant, dissoluta; Livineius et qui alii seditionem conciverant exilio multati sunt.
TRADUZIONE LETTERALE
17. Pressappoco in quel periodo, futili incidenti diedero origine a violenti scontri, con morti, tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei, durante uno spettacolo di gladiatori, organizzato da Livineio Regolo, espulso, come già riferito, dal senato. Cominciarono, con l'intemperanza tipica delle cittadine di provincia, a scambiarsi insulti, poi sassi, per finire col mettere mano alla spada; ebbero la meglio quelli di Pompei, presso i quali si dava lo spettacolo. Molti di Nocera furono riportati nella loro città col corpo mutilato o segnato da ferite, e parecchi piangevano la morte di figli o genitori. Il principe affidò l'inchiesta sugli incidenti al senato e il senato ai consoli. Poi, quando la faccenda ritornò al senato, ai Pompeiani furono vietate per dieci anni simili riunioni e vennero sciolte le associazioni costituitesi in modo illegale. A Livineio e a quanti avevano provocato i disordini fu comminato l'esilio.
TRADUZIONE CON RIFERIMENTI STORICI
In quel medesimo tempo (durante il principato di Nerone, nel 59 d.C.) futili incidenti diedero origine a violenti scontri, con morti, tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei, durante uno spettacolo di gladiatori, organizzato da Livineio Regolo, che ho già detto essere stato espulso dal senato. Cominciarono, con l’intemperanza tipica delle cittadine di provincia, a scambiarsi insulti, poi sassi, per finire col mettere mano alla spada; ebbero la meglio quelli di Pompei, presso i quali si dava lo spettacolo. Molti di Nocera furono riportati nella loro città col corpo mutilato o segnato da ferite, e parecchi piangevano la morte di figli o genitori. Il principe affidò l’inchiesta sugli incidenti al senato e il senato ai consoli. Poi, quando la faccenda ritornò al senato, ai Pompeiani furono vietate per dieci anni simili riunioni e vennero sciolte le associazioni costituitesi in modo illegale. A Livineio e a quanti avevano provocato i disordini fu comminato l’esilio.
"BUONA DOMENICA NON E' UN'ARENA ANTIGOVERNO"
RISPONDE CESARE LANZA, AUTORE DI BUONA DOMENICA
da www.lamescolanza.com
Come autore responsabile di Buona Domenica protesto contro i contenuti dell'articolo "E a Buona Domenica c'è l'arena antigoverno." Si tratta di una insinuazione falsa e grossolana: nessuno, né dall'interno né dall'esterno di Mediaset, ci ha mai chiesto o suggerito di seguire un indirizzo politico di qualsiasi tipo. Le scelte dei contenuti sono, sul piano politico, assolutamente indipendenti. Non partecipiamo alla campagna elettorale: facciamo un programma che incontra il consenso del pubblico, e questo è il mio unico movente. Rispondo al pubblico, che potrebbe bocciarmi, all'editore, alle leggi e alla mia coscienza. A nient'altro. E' stupefacente che i politici interpellati da Repubblica si lamentino di ciò che mandiamo in onda, ovvero le opinioni della gente che protesta per i tanti problemi (discusse da importanti opinion-leaders, in ogni puntata) anziché occuparsi di quei problemi e concentrarsi a risolverli, secondo il mandato che li ha eletti per questo compito. Inoltre le cosiddette "invettive" contro i politici (non solo di governo, peraltro) sono rarissime e non rappresentano certo la spina dorsale né l'identità di quel pezzo del programma.
La Repubblica 26-03-08
da www.lamescolanza.com
Come autore responsabile di Buona Domenica protesto contro i contenuti dell'articolo "E a Buona Domenica c'è l'arena antigoverno." Si tratta di una insinuazione falsa e grossolana: nessuno, né dall'interno né dall'esterno di Mediaset, ci ha mai chiesto o suggerito di seguire un indirizzo politico di qualsiasi tipo. Le scelte dei contenuti sono, sul piano politico, assolutamente indipendenti. Non partecipiamo alla campagna elettorale: facciamo un programma che incontra il consenso del pubblico, e questo è il mio unico movente. Rispondo al pubblico, che potrebbe bocciarmi, all'editore, alle leggi e alla mia coscienza. A nient'altro. E' stupefacente che i politici interpellati da Repubblica si lamentino di ciò che mandiamo in onda, ovvero le opinioni della gente che protesta per i tanti problemi (discusse da importanti opinion-leaders, in ogni puntata) anziché occuparsi di quei problemi e concentrarsi a risolverli, secondo il mandato che li ha eletti per questo compito. Inoltre le cosiddette "invettive" contro i politici (non solo di governo, peraltro) sono rarissime e non rappresentano certo la spina dorsale né l'identità di quel pezzo del programma.
La Repubblica 26-03-08
venerdì 28 marzo 2008
Ma quanti soci importanti, oltre al Cavaliere
http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/04/30/9014-piccoli_azionisti.shtml
I CONTI DEL PALLONE / MILAN
I CONTI DEL PALLONE / MILAN
I piccoli azionisti
Bologna, 30 aprile 2007 - Benvenuti nel club privée Milan, circolo elitario presieduto da Silvio Berlusconi. Secondo l’ultimo elenco dei soci disponibile presso la Camera di Commercio, oltre alla controllante Fininvest sono presenti 108 piccoli azionisti nella società rossonera: sono detentori dalla quota simbolica di un titolo, fino al più “facoltoso “di essi che ne possiede 8mila. Alcuni di essi risultano essere nomi note alle cronache finanziarie, mondane o sportive.
E’ il caso di Paolo Scaroni, attuale amministratore delegato dell’Eni, che risulta possessore di 10 azioni per un controvalore di 5,20 euro: secondo il sito della compagnia petrolifera, dopo aver ricoperto l’incarico di amministratore delegato dell’Enel dal maggio 2002 al 2005, nel giugno 2005 è approdato nella società del cane a sei zampe. Entrambi gli incarichi sono stati assunti durante il governo Berlusconi.
Altra illustre personalità della compagine sociale è Gian Gerolamo Carraro, figlio di Nicola Carraro. Quest’ultimo è il nipote dell’editore Angelo Rizzoli, fondatore della omonima casa editrice: i suoi genitori erano Pinuccia Rizzoli e Gian Gerolamo Carraro. Nicola, produttore cinematografico balzato alle cronache mondane per il matrimonio nel giugno 2006 con la presentatrice Mara Venier, ha ceduto nel 2005 le sue 200 azioni del valore di 104 euro al figlio Gian Gerolamo: l’annotazione nel libro soci del Milan risale al 31 ottobre di due anni fa. Forse questo è un residuo della partecipazione della grande dinastia Rizzoli: l’altro figlio di Angelo, Andrea, fu indimenticato presidente rossonero.
Scorrendo l’elenco, risalta all’occhio il nome di Sergio Brambilla Pisoni, commercialista, sindaco e amministratore di diverse società quotate a Piazza Affari, molto vicino al presidente del Milan. Egli possiede 7 azioni, per un controvalore di 3,64 euro. Altro commercialista è Giorgio Ghizzoni, ex sindaco supplente di Generali: in suo possesso risultano 75 azioni da 39 euro.
Tra i soci rossoneri, c’è anche una celebre dinastia industriale milanese, titolare della Nardi Elettrodomestici. Vi è presente Gianni Nardi, vicepresidente del Milan, con 125 azioni per 65 euro totali. Ci sono anche sette suoi parenti: curiosamente ciascuno di essi possiede 225 azioni (controvalore 117 euro), quantitativo superiore al dirigente rossonero.
Non mancano anche i giornalisti. C’è infatti un volto noto di Mediaset, Carlo Pellegatti, possessore di 20 azioni, pari a nominali 10,40 euro.
Non tutto però sembra scorrere liscio tra i piccoli azionisti del Milan e la Fininvest. La società rossonera, a pagina 56 del bilancio 2006, dà notizia di un contenzioso civile. «In relazione all’impugnativa di quanto deliberato dall’assemblea straordinaria del 18 aprile 1996 – si legge nella nota integrativa – operata dai signori Angelo Lo Porto, Enrico Canzi, Enzo Lamanuzzi, Luigi Malgrati, Palga srl, nel mese di gennaio 2003 è stato respinto l’appello presentato dalla società, che ha presentato nuovo ricorso nuovo ricorso presso la Corte di Cassazione». Qual è l’oggetto del contendere? Il Milan non lo spiega.
di Marco Liguori
Bologna, 30 aprile 2007 - Benvenuti nel club privée Milan, circolo elitario presieduto da Silvio Berlusconi. Secondo l’ultimo elenco dei soci disponibile presso la Camera di Commercio, oltre alla controllante Fininvest sono presenti 108 piccoli azionisti nella società rossonera: sono detentori dalla quota simbolica di un titolo, fino al più “facoltoso “di essi che ne possiede 8mila. Alcuni di essi risultano essere nomi note alle cronache finanziarie, mondane o sportive.
E’ il caso di Paolo Scaroni, attuale amministratore delegato dell’Eni, che risulta possessore di 10 azioni per un controvalore di 5,20 euro: secondo il sito della compagnia petrolifera, dopo aver ricoperto l’incarico di amministratore delegato dell’Enel dal maggio 2002 al 2005, nel giugno 2005 è approdato nella società del cane a sei zampe. Entrambi gli incarichi sono stati assunti durante il governo Berlusconi.
Altra illustre personalità della compagine sociale è Gian Gerolamo Carraro, figlio di Nicola Carraro. Quest’ultimo è il nipote dell’editore Angelo Rizzoli, fondatore della omonima casa editrice: i suoi genitori erano Pinuccia Rizzoli e Gian Gerolamo Carraro. Nicola, produttore cinematografico balzato alle cronache mondane per il matrimonio nel giugno 2006 con la presentatrice Mara Venier, ha ceduto nel 2005 le sue 200 azioni del valore di 104 euro al figlio Gian Gerolamo: l’annotazione nel libro soci del Milan risale al 31 ottobre di due anni fa. Forse questo è un residuo della partecipazione della grande dinastia Rizzoli: l’altro figlio di Angelo, Andrea, fu indimenticato presidente rossonero.
Scorrendo l’elenco, risalta all’occhio il nome di Sergio Brambilla Pisoni, commercialista, sindaco e amministratore di diverse società quotate a Piazza Affari, molto vicino al presidente del Milan. Egli possiede 7 azioni, per un controvalore di 3,64 euro. Altro commercialista è Giorgio Ghizzoni, ex sindaco supplente di Generali: in suo possesso risultano 75 azioni da 39 euro.
Tra i soci rossoneri, c’è anche una celebre dinastia industriale milanese, titolare della Nardi Elettrodomestici. Vi è presente Gianni Nardi, vicepresidente del Milan, con 125 azioni per 65 euro totali. Ci sono anche sette suoi parenti: curiosamente ciascuno di essi possiede 225 azioni (controvalore 117 euro), quantitativo superiore al dirigente rossonero.
Non mancano anche i giornalisti. C’è infatti un volto noto di Mediaset, Carlo Pellegatti, possessore di 20 azioni, pari a nominali 10,40 euro.
Non tutto però sembra scorrere liscio tra i piccoli azionisti del Milan e la Fininvest. La società rossonera, a pagina 56 del bilancio 2006, dà notizia di un contenzioso civile. «In relazione all’impugnativa di quanto deliberato dall’assemblea straordinaria del 18 aprile 1996 – si legge nella nota integrativa – operata dai signori Angelo Lo Porto, Enrico Canzi, Enzo Lamanuzzi, Luigi Malgrati, Palga srl, nel mese di gennaio 2003 è stato respinto l’appello presentato dalla società, che ha presentato nuovo ricorso nuovo ricorso presso la Corte di Cassazione». Qual è l’oggetto del contendere? Il Milan non lo spiega.
di Marco Liguori
Campagna acquisti
http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/04/30/9013-milan_plusvalenze_minusvalenze.shtml
I CONTI DEL PALLONE
Milan, plusvalenze e minusvalenze
Bologna, 30 aprile 2007 - Il Milan ha incassato 44,81 milioni di euro di plusvalenze dalle campagne acquisti effettuate nel corso del 2006. Oltre a quella di oltre 42 milioni per Shevchenko ci sono state altre 5 operazioni. La prima di rilevante entità è quella della cessione del ventiduenne Martino Olivetti al Chievoverona per ben 2 milioni, con una plusvalenza di quasi 1,5 milioni: il prezzo pagato è di rilevante entità, se si considera che l’acquirente non è una società che possegga grandi mezzi finanziari. In precedenza Olivetti è stato mandato dal Milan in prestito in giro per l’Italia: è stato nel 2004/05 nella Vis Pesaro, dove giocava anche Simone Brunelli uno dei protagonisti dello scambio degli otto giocatori a prezzi gonfiati tra Inter e Milan nel giugno 2003. Olivetti ha giocato anche nella Spal e nella Fermana. Adesso è in forza al Prato in C2.
Anche un’altra “piccola” del nostro campionato, l’Empoli, ha pagato al Milan ben 1,5 milioni per l’attaccante Nicola Pozzi, con una plusvalenza pari a 1,47 milioni, dove gioca titolare. Le altre cessioni riguardano quella di Carlo Emanuele Ferrario al Chievo (plusvalenza di mille euro), di Machado Dos Santos al Varese (plusvalenza di mille euro) e di Mattia Graffiedi alla Triestina (plusvalenza di 600mila euro).
I “diavoli” berlusconiani hanno anche incassato 673mila euro dal prestito di tre giocatori. Si tratta di Cristian Abbiati al Torino per 373mila euro, Samuele Dalla Bona alla Sampdoria e Pasquale Foggia (poi ceduto definitivamente lo scorso gennaio) alla Lazio, ciascuno per 150mila euro.
Invece, le minusvalenze della società rossonera sono ammontate a 4,37 milioni. Fra esse spiccano quella per Jaap Staam per 1,06 milioni: il difensore olandese è stato ceduto all’Ajax per 2,5 milioni, contro un valore di libro pari a 3,56 milioni. Una consistente perdita di 600mila euro è stata conseguita con la cessione di Christian Vieri al Monaco, a cui è stato ceduto gratuitamente. A costo zero è risultato il passaggio del verntinovenne Johann Vogel al Betis Siviglia: in questo modo il Milan ha perso altri 359mila euro. Risulta strano il passaggio a titolo gratuito del ventiseienne Samuele Dalla Bona al Napoli, con una minusvalenza di 271mila euro: come si è visto, il centrocampista aveva fruttato 150mila euro per una cessione temporanea alla Sampdoria.
Curiosa anche l’operazione di vendita del ventisettenne Andrea Rabito all’Albinoleffe, club di serie B. Il Milan ha voluto disfarsene per mille euro, ottenendo una minusvalenza di 956mila euro.
di Marco Liguori
Milan, plusvalenze e minusvalenze
Bologna, 30 aprile 2007 - Il Milan ha incassato 44,81 milioni di euro di plusvalenze dalle campagne acquisti effettuate nel corso del 2006. Oltre a quella di oltre 42 milioni per Shevchenko ci sono state altre 5 operazioni. La prima di rilevante entità è quella della cessione del ventiduenne Martino Olivetti al Chievoverona per ben 2 milioni, con una plusvalenza di quasi 1,5 milioni: il prezzo pagato è di rilevante entità, se si considera che l’acquirente non è una società che possegga grandi mezzi finanziari. In precedenza Olivetti è stato mandato dal Milan in prestito in giro per l’Italia: è stato nel 2004/05 nella Vis Pesaro, dove giocava anche Simone Brunelli uno dei protagonisti dello scambio degli otto giocatori a prezzi gonfiati tra Inter e Milan nel giugno 2003. Olivetti ha giocato anche nella Spal e nella Fermana. Adesso è in forza al Prato in C2.
Anche un’altra “piccola” del nostro campionato, l’Empoli, ha pagato al Milan ben 1,5 milioni per l’attaccante Nicola Pozzi, con una plusvalenza pari a 1,47 milioni, dove gioca titolare. Le altre cessioni riguardano quella di Carlo Emanuele Ferrario al Chievo (plusvalenza di mille euro), di Machado Dos Santos al Varese (plusvalenza di mille euro) e di Mattia Graffiedi alla Triestina (plusvalenza di 600mila euro).
I “diavoli” berlusconiani hanno anche incassato 673mila euro dal prestito di tre giocatori. Si tratta di Cristian Abbiati al Torino per 373mila euro, Samuele Dalla Bona alla Sampdoria e Pasquale Foggia (poi ceduto definitivamente lo scorso gennaio) alla Lazio, ciascuno per 150mila euro.
Invece, le minusvalenze della società rossonera sono ammontate a 4,37 milioni. Fra esse spiccano quella per Jaap Staam per 1,06 milioni: il difensore olandese è stato ceduto all’Ajax per 2,5 milioni, contro un valore di libro pari a 3,56 milioni. Una consistente perdita di 600mila euro è stata conseguita con la cessione di Christian Vieri al Monaco, a cui è stato ceduto gratuitamente. A costo zero è risultato il passaggio del verntinovenne Johann Vogel al Betis Siviglia: in questo modo il Milan ha perso altri 359mila euro. Risulta strano il passaggio a titolo gratuito del ventiseienne Samuele Dalla Bona al Napoli, con una minusvalenza di 271mila euro: come si è visto, il centrocampista aveva fruttato 150mila euro per una cessione temporanea alla Sampdoria.
Curiosa anche l’operazione di vendita del ventisettenne Andrea Rabito all’Albinoleffe, club di serie B. Il Milan ha voluto disfarsene per mille euro, ottenendo una minusvalenza di 956mila euro.
di Marco Liguori
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