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mercoledì 20 febbraio 2008

Tris di Gea

La Voce della Campania - ottobre 2006

Cucù la Gea non c'è più

di Marco Liguori

Messo in liquidazione il giocattolo milionario creato negli anni di vacche grasse da Alessandro Moggi e da una sfilza di figli eccellenti. Cerchiamo di vederci chiaro fra cifre e conti, con un collegio sindacale che punta i piedi e mette a verbale.

La Gea World si è liquidata volontariamente lo scorso 1 agosto. Nel verbale d’assemblea del 18 luglio, che ha sancito l’ultimo atto della società dei "figli di papà" (presenti in qualità di soci, amministratori o procuratori) e ha approvato il bilancio al 31 dicembre 2005 (conclusosi con un utile di oltre 433mila euro), il presidente Alessandro Moggi spiegò che «pur essendo la società assolutamente sana, avendo svolto la propria attività nel pieno ed assoluto rispetto di ogni normativa civilistica, fiscale e regolamentare che la disciplina, per vicende esterne alla diretta attività della società, fortemente enfatizzate da tutti i media nazionali e locali, si è venuta a trovare inopinatamente in un’oggettiva difficoltà, se non impossibilità, di continuare a svolgere la propria attività».
Il figlio di “Lucianone” puntò l’indice contro i mezzi d’informazione, sottolineando che «pur essendo tutte queste circostanze non imputabili, neppure in minima parte, a responsabilità della società, ma avendo le stesse creato un clima ambientale di accuse, denigrazioni e sospetti» era arrivato ormai il momento «di deliberare lo scioglimento della società, riservandosi, tuttavia, la stessa, ogni azione nei confronti di coloro che dovessero risultare responsabili di quanto prima enunciato». Dunque, secondo “Moggino” la colpa sarebbe tutta dei giornalisti “brutti e cattivi”. Ma una cospicua serie di rilievi del collegio sindacale ha evidenziato diversi problemi nella gestione della società romana.
La prima tirata d’orecchi dei tre sindaci, Ermanno Zigiotti, Giuseppe Marsoner e Giacomo Vizzani, agli amministratori di Gea World concerne l’organizzazione societaria. «A tale riguardo si comunica che nella riunione del Consiglio di amministrazione del 12 novembre 2004 - viene precisato nella relazione del collegio sindacale allegata al bilancio a tutto il 31 dicembre 2005 - il Collegio sindacale aveva richiesto agli amministratori, che ne avevano assunto formale impegno, di pervenire quanto prima ad una più efficace ed efficiente struttura organizzativa e dell’assetto amministrativo-contabile della società». Ma i sindaci hanno notato che ciò non è stato compiuto. «Ad oggi deve constatarsi che - proseguono i tre professionisti - nonostante lo sforzo profuso dalla direzione aziendale e volto al miglioramento dell’operatività, le procedure interne dell’area amministrativa non si mostrano del tutto adeguate alle esigenze poste dall’accresciuta attività aziendale e necessitano pertanto di ulteriori miglioramenti». Inoltre, il collegio rileva che la Gea «nell’ultimo quadrimestre dell’esercizio 2005 e nei primi mesi dell’esercizio 2006 ha effettuato pagamenti a titolo di compensi agli amministratori ed a parti correlate». Per queste ultime i versamenti riguardano «spettanze maturate per prestazioni relative al “ramo procure” e riferite ad esercizi anteriori al 2005». I pagamenti erano dovuti da tempo dalla Gea e «sono stati oggetto di richiami d’informativa - si legge sempre nella relazione - indirizzati dal Collegio sindacale agli amministratori, esortandoli a procedere nel rispetto dell’equilibrio finanziario complessivo della società e del principio di parità di trattamento dei creditori».

ALLARME ROSSO

di Marco Liguori

Nella loro relazione i sindaci lanciano un “allarme rosso” riguardante i cospicui «crediti nei confronti di calciatori e società calcistiche» vantati dalla Gea. Alla fine dello scorso anno questa voce (registrata come crediti verso clienti) ammontava a 3,87 milioni di euro, tutti esigibili entro l’esercizio successivo, in crescita del 21,6 per cento rispetto ai 3,17 del 2004 e pari a poco meno della metà dei ricavi della società nel 2005 (6,6 milioni). I crediti verso clienti erano esplosi già a cavallo tra il primo e il secondo anno di attività della società: nel 2001 ammontavano a 699 euro, nel 2002 avevano raggiunto la ragguardevole cifra di 1,93 milioni. Nel 2003 la voce si era assottigliata di circa 116mila euro, attestandosi a 1,8 milioni. Nel 2004 avvenne il secondo boom dei crediti esigibili nei confronti di giocatori e società di calcio: il totale raggiunse appunto i 3,17 milioni con un incremento del 75,3 per cento rispetto all’anno precedente. Riguardo alla sostanziosa somma da riscuotere al 31 dicembre scorso, il collegio sindacale sottolinea che si doveva considerare «la difficile situazione economico-finanziaria che caratterizza l’intero settore del calcio professionistico ed il significativo rallentamento dell’attività aziendale a seguito delle note vicende giudiziarie».
Ma i tre “controllori” lanciarono anche un monito: «Ove la società nel breve termine - si legge ancora nella relazione del collegio - non riuscisse ad incassare una congrua parte dei crediti verso clienti non sarà in grado di fronteggiare con fondi propri le uscite programmate». I sindaci sottolinearono anche che nel caso in cui non fossero stati recuperati i crediti «per garantire la continuità aziendale, dovrà farsi ricorso all’indebitamento bancario e/o all’apporto degli azionisti, poiché il problematico incasso dei crediti potrebbe generare difficoltà nel puntuale adempimento dei debiti verso fornitori e tributari». Chi siano i debitori della Gea non è dato saperlo: in tutti i bilanci dal 2001 sino al 2005 non sono menzionati nomi di calciatori e di società. Di sicuro la Juventus, dove fino allo scorso maggio era direttore generale Luciano Moggi, non è presente nella “lista nera” di chi deve danari alla società di procuratori: infatti, stando ai bilanci 2002/03, 2003/2004 e 2004/2005 del club bianconero, la “galassia Gea” (ossia la Gea World e la sua controllante Football Management) ha introitato una cifra superiore ai 2,8 milioni. Sul fronte dei debiti, Gea ne aveva 2,7 milioni il 31 dicembre scorso, contro i 2,6 dell’anno precedente. Di questi, 1,95 milioni erano somme dovute ai fornitori (1,84 milioni nel 2004), mentre 552 mila dovevano essere versati al fisco (47mila euro nel 2004).

PARMALAT CONNECTION

di Marco Liguori

Nel documento contabile si scopre anche che la Gea è stata vittima del crack Parmalat. Nella nota integrativa redatta dal consiglio di amministrazione, alla voce “altre partecipazioni” (inserite nelle attività che non costituiscono immobilizzazioni) si nota una somma pari a 6252 euro. «Trattasi della partecipazione e warrant della Parmalat spa - si legge nel documento del cda - assegnati alla Gea World per conversione dei crediti da essa vantati, già svalutati in precedenti esercizi». Molto probabilmente, la società romana aveva investito in obbligazioni Parmalat: in seguito ha aderito al piano predisposto dal commissario straordinario della società emiliana, Enrico Bondi, che ha convertito le cifre investite nelle obbligazioni in propri warrant e nuove azioni.
Alla Gea è quindi andata bene: se l’investimento fosse stato effettuato in azioni della Parmalat caduta in dissesto finanziario, sarebbe finito inesorabilmente in fumo. E a proposito dei crediti da vantati e svalutati in precedenti esercizi, in questi ultimi non c’è traccia delle somme impiegate in obbligazioni Parmalat: non sono state specificate neppure di quali tipo di emissione si tratta. Per capire la motivazione del coinvolgimento della Gea in Parmalat bisogna fare un passo indietro. Più precisamente, dobbiamo ritornare a fine 2003, prima del mutamento nella composizione dell’azionariato Gea: per una curiosa coincidenza, il dissesto Parmalat fu scoperto in seguito, nel dicembre di quell’anno. La società romana era posseduta al 45% dalla General Athletic e al 45% dalla Football Management; il 10% era di Riccardo Calleri. Nella prima controllante erano azionisti, ciascuno al 20%, Andrea Cragnotti (figlio di Sergio, ex patron Cirio, anch’essa colpita da un crack finanziario alla fine del 2002), Chiara Geronzi (figlia di Cesare, presidente di Capitalia) e, soprattutto, Francesca Tanzi (figlia di Calisto, ex patron Parmalat). Il 40% era in mano a Romafides, la fiduciaria appartenente proprio al gruppo Capitalia. In un’interpellanza parlamentare di due senatori della Lega Nord, Piergiorgio Stiffoni e Francesco Tirelli, si avanzava il dubbio che dietro lo schermo della fiduciaria ci fosse Luigi Carraro, figlio di Franco Carraro, ex presidente della Federcalcio. Proprio alla fine del 2003 Romafides scomparve assieme a Francesca Tanzi e Andrea Cragnotti: subentrarono Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco, “notabile” della Margherita, e Oreste Luciani, all’epoca in affari con la famiglia Tanzi.
La Voce della Campania - ottobre 2006

Juve, il trucco dello stadio

La Juventus ha detto addio ai suoi progetti immobiliari. Sarà infatti ceduta la Campi di Vinovo spa, proprietaria dei terreni dove sorgerà il centro commerciale Mondo Juve, e sarà rivisto il progetto per il Delle Alpi. Proprio a proposito dello stadio, alla fine dello scorso settembre il neoamministratore delegato Jean Claude Blanc ha affermato che «il Delle Alpi rimarrà così come è nelle sue linee architettoniche attuali e la capienza scenderà dagli attuali 66-67 mila posti a 50 mila per adeguarlo alle nuove norme di sicurezza del decreto Pisanu e dell’Uefa», ovvero in tempo per gli europei del 2012. Il manager ha spiegato che la bocciatura del progetto dell’ex amministratore delegato Antonio Giraudo (riduzione dello stadio Delle Alpi a 35mila posti e apertura di un centro commerciale, un cinema multisala, un museo e la sede della società bianconera) è stata motivata dagli alti costi pari a 100-150 milioni di euro. Il nuovo progetto ne costerà invece 18. Circa i motivi dell’addio al vecchio progetto, Blanc ha spiegato: «abbiamo messo mano ai conti e ci siamo accorti che erano insostenibili, proibitivi, a maggior ragione ora con la squadra in B». Insomma, solo dopo le dimissioni di Giraudo la dirigenza juventina e l’azionista di riferimento Ifil si sono accorti che il progetto Delle Alpi non era finanziariamente attuabile. E adesso chi lo dice ai risparmiatori, i quali aderirono al collocamento in Piazza Affari, che alla fine dello scorso settembre stanno perdendo oltre il 51 per cento dal valore pagato allora di 3,70 euro? Eppure nel prospetto informativo per la quotazione si evidenziava che i progetti Delle Alpi e Mondo Juve erano strategici e rappresentavano il motivo per cui venivano chiesti soldi al mercato. Infatti, al paragrafo «strategie e programmi futuri» del documento si legge che «la società mira a incrementare e diversificare i propri ricavi e ad ulteriormente accrescere la propria redditività rendendola nel contempo meno sensibile all’andamento dei risultati sportivi». In quello, poi, sulla «diversificazione dei ricavi» sono spiegati agli investitori i due programmi per la ristrutturazione del Delle Alpi e l’iter amministrativo per l’edificazione di Mondo Juve. Il comune di Torino firmò con la Juve nel luglio 2003 la convenzione con cui lo stadio era concesso in diritto di superficie al club bianconero per 99 anni. Il prezzo convenuto fu un regalo: 25 milioni di euro complessivi su 54mila metri quadri di superficie edificabile, pari a 252.525 euro annui, cioè 4,68 euro al metro quadrato. Non male se si pensa che tre anni fa a Torino occupare il suolo pubblico con un banco per la vendita di fiori costava annualmente in media 76,65 euro al metro quadrato. Ma adesso la Juve ha abbandonato il vecchio progetto: si è accontentata di dividere l’Olimpico (nuovo nome del vecchio Comunale) con il Torino, pagando un affitto al Comune di 200mila euro più Iva per le stagioni 2006-2007 e 2007-2008. Considerato che i lavori al Delle Alpi inizieranno nel giugno 2007 e termineranno nel 2010, Blanc spiega che in caso di ritardi si studierà con il Comune la possibilità di riutilizzare l’Olimpico. Ovviamente, la società bianconera continua a pagare le rate per il Delle Alpi: ma gestisce assieme a quella granata la ricca torta della pubblicità dell’impianto di Corso Sebastopoli. La ciliegina sulla torta riguarda il controvalore azionario per la Campi di Vinovo. Stando alla trimestrale al 30 giugno scorso della Juve, il 70% circa della società sarà ceduto alla Costruzioni Generali Gilardi per 37,6 milioni in due tranche. Nel giugno 2003 per il 27,2% della Campi fu stabilito che la CGG pagasse un prezzo analogo (37,3 milioni). Insomma, la società si è svalutata di circa il 57% in tre anni. Piccolo particolare: stando alle visure della camera di commercio, Giraudo è presidente e resterà in carica «fino all’approvazione del bilancio al 30/6/2006». Probabilmente - trapela in ambienti pallonari torinesi - la Juve ha abbandonato i due progetti immobiliari non solo per i costi elevati di realizzazione, entrambi stimati in oltre 250 milioni di euro, ma anche perché la loro manutenzione avrebbe comportato spese molto cospicue. E pazienza se i risparmiatori hanno investito su progetti dai costi esorbitanti: in Borsa, si sa, il rischio è sovrano.
La Voce della Campania - ottobre 2006

Per li rami della Lazio

di Marco Liguori

Lo scorso venerdì 29 settembre, primo giorno di sciopero dei giornalisti, la Lazio ha compiuto la sua ennesima “magia”. In quella data la società romana, quotata a Piazza Affari, ha riportato in un comunicato che «ha conferito alla SS Lazio Marketing & Communication spa, interamente partecipata, il ramo di azienda commerciale». La nota prosegue spiegando che «il valore del conferimento è stato determinato in euro 95,36 milioni dall’esperto appositamente nominato dal Tribunale». Secondo il club biancoceleste «l’iniziativa è stata determinata dall’esigenza di realizzare una gestione dedicata e non condizionata dalle attività sportive, onde consentire con la compartecipazione di partners altamente specializzati, una maggiore efficienza ed efficacia nella crescita e lo sviluppo di nuove aree di business collegate al “brand Lazio”». Tradotto dal linguaggio delle comunicazioni al mercato, significa che l’operazione ufficialmente ha motivazioni commerciali. Tuttavia guardando il bilancio della società di Claudio Lotito al 30 giugno scorso (approvato il 28 settembre) si nota che sono presenti le perdite derivanti dall’azzeramento degli «oneri pluriennali ex D. L. 282/2002», ossia quelli derivati dalla cancellazione, decretata dall’Ue, del decreto cosiddetto “Salva calcio”. Ciò comporta una passività di ben 127,7 milioni che la società dovrà azzerare entro il 30 giugno 2007. I 95,36 milioni derivanti dalla cessione del ramo di azienda commerciale servono ad attenuare questo “buco”: restano ancora 32,3 milioni da recuperare. Ma sull’operazione pende un dubbio giuridico.
«La Lazio ha ceduto a una società – spiega l’avvocato Domenico Latino – da essa controllata al 100%. Ciò può configurare il meccanismo della stipula del contratto con se stesso, che è praticamente nullo». Dunque la validità giuridica dell’operazione sarebbe tutta da verificare. Un qualcosa di analogo ha fatto il Milan che ha conferito un suo ramo d’azienda alla sua controllata al 100% Milan Entertainment con una pluvalenza di oltre 181,3 milioni. Anche il Milan aveva bisogno di ripianare il passivo derivante dal “Salva calcio”. Sulla cessione effettuata dalla Lazio pende anche un altro dubbio. Stando sempre al bilancio al 30 giugno, la SS Lazio Marketing & Communication aveva un patrimonio pari ad appena 120mila euro, il minimo legale. Nel comunicato ufficiale non è stato spiegato come abbia potuto sostenere il notevole esborso di oltre 95 milioni. La Voce della Campania ha contattato il membro del consiglio di gestione, Marco Moschini, ma è stato riferito che «non rilascia interviste, né dichiarazioni». Invece, sul fronte dell’indebitamento pregresso, al 31 agosto scorso la Lazio ha fatto registrare un rosso di 157,23 milioni, in aumento dai precedenti 143,15 del 31 luglio. Infine, a pagina 21 del bilancio firmato dal presidente del consiglio di gestione, Claudio Lotito, si nota una piccola “perla” grammaticale. Si legge infatti che «il progetto di bilancio al 30 giugno 2006 chiude con un’utile di euro 2.078.705». Insomma, il termine “utile” da maschile è diventato femminile: ma, come evidenziato dal testo, il bilancio è solo allo stadio di progetto. E i progetti, si sa, si possono correggere.

il mio ricordo di Facchetti

La Padania 6/9/2006

Era il grande capitano degli azzurri

La notte della monetina contro l’Urss

di Marco Liguori

Il nome di Giacinto Facchetti in Nazionale resterà per sempre legato alla vicenda della monetina nella semifinale del Campionato Europeo del 1968. Fu un occasione concreta di riscatto dopo la figuraccia dei mondiali inglesi del 1966, con l’eliminazione dell’Italia di Edmondo Fabbri ad opera della Corea del Nord. Per conquistare la "Coppa Henri Delaunay", intitolata al nome del defunto segretario della Federazione Francese e dell'UEFA, che promosse la competizione, bisogna affrontare nel girone di qualificazione Romania, Cipro e Svizzera. La Nazionale allenata da Ferruccio Valcareggi supera agevolmente il turno, vincendo cinque gare su sei, e conquistando l’accesso ai quarti di finale contro la Bulgaria. I nostri segnando diciassette gol: sei del grande "rombo di tuono" Riva, cinque di Mazzola, tre di Domenghini, uno a testa, Depaoli e Bertini. Realizzò una marcatura anche Facchetti: fu nella partita a Nicosia contro Cipro. In quel campionato europeo lo Stadio San Paolo di Napoli portò fortuna alla Nazionale: dopo aver strapazzato per 3 a 1 la Romania, gli azzurri superarono il 20aprile 1968 sotto il Vesuvio 2 a 0 la Bulgaria nella partita di ritorno dei quarti di finale, dopo aver perso malamente l’andata per 3 a 2.
La fase finale si disputò in Italia, per celebrare i settanta anni della Figc. E’ una grande occasione per la Nazionale, che non vince più una competizione internazionale dal 1938, quando gli azzurri di Vittorio Pozzo vinsero il secondo titolo mondiale. Ancora una volta, la nostra Nazionale giocò il 5 giugno al San Paolo in semifinale contro la temibile Urss. Chi scrive aveva sei anni e sedeva accanto al suo papà nei distinti. Ricordo la folla esaltante avvolge la partita, con gli spalti riempiti di mille bandiere tricolori: l’amore di noi napoletani per la Nazionale è (posso dirlo senza tema di smentita) pari a quello per il Napoli. Secondo le cronache del tempo, gli spettatori erano 75mila. Mancava il "Ragno nero" Lev Yaschin, ma ci sono giocatori di assoluto valore, come il capitano Scesternev, gli attaccanti Baniscevski e Logofet. I sovietici praticano un gioco rude, che imbriglia a centrocampo i nostri: gli avversari picchiano duramente Rivera e Mazzola, ancora non "vittime" della staffetta valcareggiana, e contengono le galoppate di Domenghini. Sulla Nazionale si accanisce anche il destino: si infortuna Rivera. All’epoca non sono ancora ammesse le sostituzioni (lo saranno soltanto nei Mondiali di Messico ’70), e così il "Golden boy" si sistemò sull’ala sinistra, restando praticamente fermo: gli azzurri sani sono soltanto in dieci. Nonstante questo grave handicap, la nostra squadra riesce a giocare in contropiede: un palo di Domenghini fa disperare i 75mila spettatori del "San Paolo". Nemmeno dopo i tempi supplementari ci fu un vincitore: l’arbitro della Germania Ovest, Tschenscher, fischia la fine delle ostilità dopo 120 minuti tiratissimi e chiamò i capitani per recarsi negli spogliatoi. Per i regolamenti dell’epoca non erano ancora previsti i calci di rigore: l’esito dell’incontro fu deciso con il lancio della monetina. Si affidò al "destino cinico e baro" la sorte di due nazionali grandi protagoniste di quella edizione degli Europei.Ricordo che nell’attesa del verdetto della sorte, dominava un silenzio irreale quasi irreale sugli spalti delle tribune del San Paolo. Tutto sembrava come il responso della Sibilla Cumana: in fin dei conti lo stadio, sito nel quartiere di Fuorigrotta, non è molto distante in linea d’aria da Cuma, dove c’era uno degli oracoli più famosi dell’antichità. L’arbitro tedesco Tschenscher lanciò la monetina in aria, davanti ai capitani Facchetti e Scesternev. Secondo i cronisti del tempo, dopo il primo lancio la monetina rimase in bilico in una fessura del pavimento. Il destino non voleva ancora dare il suo giudizio definitivo. L’arbitro ripetè il lancio: ma in questo caso dominò il lato scelto dal Giacintone nazionale. Dopo pochi secondi, il capitano e, gli altri azzurri si precipitarono in campo con le braccia alzate. Ricordo che il pubblico espose in un boato liberatore, ancor prima che gli altoparlanti proclamassero l’esito del sorteggio. Fu forse San Gennaro a dare una mano alla Nazionale o forse, la stessa Sibilla, oppure gli scongiuri di tutti noi napoletani che attendevamo trepidanti sugli spalti. Fatto sta che l’Italia volò verso la finale di Roma contro la Jugoslavia, dove vinse per la prima volta il Campionato Europeo: anche Facchetti aveva dato, e non solo con la sua "ars pedatoria", il suo decisivo contributo.

speranze petroniane, disperazione sullo stretto

La Padania - luglio 2006

Calciopoli, uno scandalo infinito

La Reggina nei guai, il Bologna spera

Avviso di garanzia al presidente Lillo Foti, accusato di aver richiesto arbitri “compiacenti” in 6 gare

Marco Liguori

Dalla Procura della Repubblica di Napoli è partita ieri un’altra raffica di avvisi di garanzia, riguardante le indagini sul campionato di calcio 2004/2005 controllato dalla cosidetta “cupola Moggi”. Otto le persone destinatarie dei provvedimenti giudiziari.
Si tratta del presidente della Reggina, Lillo Foti, dell’ex designatore arbitrale Paolo Bergamo e dell’arbitro Massimo De Santis: questo ultimi erano già stati colpiti da avvisi di garanzia nello scorso maggio. L’informazione di garanzia è stata recapitata anche agli arbitri Andrea De Marco e Tiziano Pieri, agli assistenti arbitrali Stefano Papi, Giorgio Nicolai e Sandro Rossomando. Nei provvedimenti giudiziari, i pubblici ministeri napoletani, Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci, hanno ipotizzato il reato di concorso in frode sportiva. L’accusa riguarda sei partite, nelle quali, stando alla ricostruzione dei magistrati, vi sarebero stati una serie di tentativi di “truccare” il risultato, attraverso la designazione delle terne arbitrali. Gli incontri di serie A al vaglio degli inquirenti sono: Reggina-Brescia, Reggina-Cagliari, Reggina-Palermo, Udinese-Reggina, Sampdoria-Reggina e Palermo-Reggina. Negli avvisi di garanzia i Pm hanno evidenziato che la Reggina è una delle società «orbitanti nel circuito di potere moggiano». Il fascicolo della Procura napoletana sarò esaminato nei prossimi giorni anche dal Capo dell’ufficio indagini della Federcalcio, Francesco Saverio Borrelli, per l’apertura di un secondo fronte del procedimento giudiziario sportivo, dopo quello che ha coinvolto Juventus, Milan, Lazio e Fiorentina.
Oltre alle accuse relative alle intercettazioni di oggi, la società calabrese è protagonista anche della vicenda relativa all’iscrizione al campionato 2005/2006.
Il Bologna ha proposto ricorso davanti alla Corte federale, dopo averlo proposto in primo grado davanti alla Corte di appello federale, per ottenere il rientro in serie A dopo la retrocessione in B del 2004/05. Secondo la documentazione raccolta dalla società felsinea, la Reggina aveva debiti per 14,7 milioni di euro: con questo “fardello” era impossibile l’iscrizione al campionato di serie A.
«Come mai il Torino e la Salernitana che avevano indebitamenti tributari inferiori - ha spiegato [...] il legale del Bologna, Mattia Grassani - non sono state ammesse ai rispettivi campionati e invece la Reggina sì? E’ un mistero che la giustizia sportiva dovrà risolvere».
Nella documentazione presentata dal Bologna dinanzi ai giudici sportivi, c’è anche una lettera raccomandata dell’Agenzia delle Entrate del 25 maggio 2005, indirizzata alla Reggina, in cui si evidenzia che la richiesta di condono presentata dalla società calabrese non fosse adeguatamente supportata da adeguate garanzie.
«L’esibizione di 3 polizze fidejussorie - si legge nel documento - a garanzia del carico tributario già iscritto a ruolo, rilasciate dalla San Remo spa, si comunica che le garanzie prodotte risultano rilasciate da soggetto che non ha i requisiti previsti dall’articolo 19 del Dpr 602/73, non risultando la San Remo spa né una compagnia di assicurazioni né istituto bancario».
Tornando alla vicenda degli avvisi di garanzia, il presidente della Reggina non ha voluto rilasciare alcun commento in merito.
«In relazione agli ultimi avvenimenti che mi vedono coinvolto - ha dichiarato Foti - tengo a ribadire la mia serenità in quanto estraneo ad ogni tipo di accusa». Foti ha precisato che «i miei comportamenti, specie quelli oggetto di indagine, sono stati sempre corretti e trasparenti nel più assoluto rispetto dei ruoli istituzionali. Tutelerò in ogni sede gli interessi e l’immagine della mia società a difesa dei tifosi amaranto». Nel provvedimento destinato al numero uno del club dello stretto, i Pm napoletani hanno evidenziato «il rapporto di subalternità tra Foti e Moggi». In una telefonata l’ex direttore generale della Juventus rimprovera al presidente reggino, con toni molto accesi, di aver partecipato a una riunione di presidenti contrari alla rielezione di Adriano Galliani alla presidenza della Lega Calcio. «Ma che cazzo vai a quella riunione, Lillo, puttana…» ha affermato Moggi per stigmatizzare il comportamento di Foti, che poi cercò di tranquillizzare il dg juventino, riferendogli anche quello che dissero nella riunione i presidenti “ribelli”.
Foti spiega in una successiva telefonata a Moggi di aver illustrato allo stesso Galliani il resoconto dell’incontro. Tra gli atti riportati nel provvedimento contro Foti c’è anche una telefonata che il presidente calabrese fa all’ex designatore Bergamo prima della partita Parma-Reggina del 10 novembre 2004. «Foti si raccomanda - osservano i magistrati - per il sorteggio: “ti raccomando è troppo importante…» ha affermato supplicante il presidente.
Insomma, onda dopo onda, la marea dello scandalo cresce a vista d’occhio. Resta solo da chiedersi a chi toccherà la prossima volta...
La Padania - 28 agosto 2006

Intervista ad Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale

Quelle regole che il calcio non si è dato

"Indipendenza dei giudici e degli arbitri. E la clausola compromissoria è incostituzionale, sbaglia Rossi a difenderla"

di Marco Liguori

"La vicenda del ricorso al Tar della Juventus fa comprendere che le regole del calcio vanno totalmente riscritte". Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale e docente di diritto costituzionale all’Università Luiss di Roma, formula la sua "ricetta" per i mali del pallone nostrano. "Occorrono regole certe – ha spiegato Baldassarre a La Padania – che assicurano l’indipendenza dei giudici sportivi e l’indipendenza del settore arbitrale. Non mi sembra che allo stato attuale ci sia la piena coscienza di questo profondo rinnovamento". Baldassarre critica anche il commissario Figc, Guido Rossi, strenuo difensore della clausola compromissoria, che invece è incostituzionale.
La Juventus può chiedere il risarcimento del danno al Tar del Lazio? Non occorre un giudizio civile per il riconoscimento della sua pretesa?
"E’ pienamente legittimata a farlo dalla normativa sulla giustizia amministrativa. Bisogna però distinguere due aspetti del procedimento".
Quali sono?
"Innanzitutto il ricorso tende soltanto a sospendere i provvedimenti della giustizia sportiva, non ad eliminarli. L’accoglimento della richiesta tende a ottenere lo status quo ante: ciò vuol dire che la Juventus deve essere riammessa in serie A dalla Figc. Tale decisione del Tar avrebbe un effetto provvisorio sino alla sua pronuncia nel merito: solo allora le sanzioni sarebbero eliminate". I tempi del giudizio di merito non sarebbero però brevi?
"Occorrerrebbero alcuni mesi prima di una sentenza definitiva di primo grado. A ciò bisogna aggiungere un altro congruo periodo di tempo per il giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato. Di conseguenza, nell’ipotesi di sentenza favorevole alla società bianconera, la Federazione dovrebbe far disputare alla Juventus provvisoriamente il campionato di A in attesa dell’appello".
L’eventuale richiesta di risarcimento del danno non sarebbe però oggetto della richiesta di sospensiva che dovrebbe essere discussa il prossimo 1° settembre?
"Ciò sarebbe esclusivamente affidato al giudizio di merito. I giudici potrebbero riconoscere fondata la pretesa della Juve solo nel caso in cui intravedano che le sanzioni siano state sproporzionate in relazione agli illeciti commessi. Ovviamente bisogna vedere se la società lo abbia richiesto: dalle ultime dichiarazioni mi sembra che ci sia stato un ripensamento".
L’eventuale scenario da lei prospettato in caso di accogliemento del ricorso di urgenza avrebbe come conseguenza immediata il caos totale nel mondo del calcio: anche Fiorentina e Lazio potrebbero adire il Tar?
"E’ fuor di dubbio che in questo caso, entrambe le società proporrebbero immediatamente il ricorso al giudice amministrativo per ottenere prima la sospensione delle loro penalizzazioni e la loro successiva cancellazione nel giudizio di merito. Ciò è possibile perché il procedimento disciplinare è stato unico per Juve, Fiorentina e Lazio".
Finora la Juventus ha solo attaccato la Figc: ma non avrebbe dovuto anche esperire azioni legali contro l’ex ad Antonio Giraudo e il dg Luciano Moggi, indagati per falso in bilancio, per il riconoscimento degli eventuali danni?
"La società è sempre in tempo per poter approntare l’azione civile di responsabilità contro i suoi ex amministratori. Ma se l’avesse fatta sin da quando è scoppiato lo scandalo sarebbe stato meglio, per tutelare l’interesse dei propri azionisti. Questi ultimi possono votarla in una futura riunione dell’assemblea societaria".
Dopo gli ultimi avvenimenti giudiziari, non sarebbe meglio eliminare la "clausola compromissoria" prevista dalle norme federali?
"La clausola compromissoria, che prevede il divieto per le società calcistiche di ricorrere agli organi della giustizia ordinaria per le questioni sportive, è chiaramente incostituzionale. Infatti, la nostra Costituzione prevede che per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi si può sempre ricorre al giudice statale: fa parte dei principi fondamentali, dunque nessuno può impedire alla Juventus e agli altri club di ricorrervi. Neppure la Fifa può farlo: sarebbe contraria anche ai principi del diritto dell’Ue".
La "spallata" della clausola compromissoria è stata anche dovuta alla trasformazione a fine di lucro delle società di calcio con una legge del ’96 del primo Governo Prodi?
"Certamente. La clausola aveva un suo valore quando il calcio rimaneva in un ambito prettamente dilettantistico. Nell’era delle società per azioni a scopo di lucro è completamente superata e deve essere eliminata. Mi stupisce che un giurista come Guido Rossi l’abbia difesa a spada tratta: essa è incostituzionale".

Moggi contro la Corte Federale

La Padania - agosto 2006

Moggi ricorre contro le intercettazioni

"Caf e Corte federale sono tutto meno che imparziali". Appello alla Corte di Giustizia Europea

di Marco Liguori

"Signori giudici del Tar, annullate le sentenze della Corte federale", firmato: gli avvocati di Luciano Moggi. Ieri mattina è stato depositato a Roma, nella cancelleria del Tar del Lazio, il ricorso d’urgenza contro la Figc, il Coni e il ministero dello Sport, preparato dai legali del collegio difensivo dell’ex direttore generale della Juventus. L’organo giudicante ha fissato l’udienza per il 22 agosto: l’eventuale appello al Consiglio di Stato dovrebbe tenersi il 29 agosto. Nelle 45 pagine, di cui La Padania può illustrarne in esclusiva il contenuto, chiede l’annullamento della sanzione dell’inibizione per cinque anni, con proposta di radiazione e l’ammenda di 50mila euro, irrogata dall’organismo di appello della giustizia sportiva. Ma c’è anche un colpo di scena: i legali di Moggi chiedono "il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle comunità europee – si legge nel ricorso – dei provvedimenti in base ai quali sono stati affidati i servizi di intercettazione e trascrizione delle conversazioni in cui il ricorrente è coinvolto, al fine di verificarne la compatibilità con le disposizioni del Trattato e del diritto derivato in materia di appalti pubblici di servizi e di aiuti di stato idonei a sfalsare la concorrenza". Tradotto dal "giuristese" significa che Moggi punta ad inficiare, tramite il ricorso alla Corte di Giustizia dell’Ue, il sistema di raccolta e gestione delle intercettazioni telefoniche, che sono servite a montare l’impianto accusatorio nei due gradi del processo sportivo. Gli avvocati dell’ex dg bianconero sostengono che la procedura di acquisizione dei servizi di affidamento a Telecom Italia del progetto "Super Amanda", ossia quello delle intercettazioni, sia contraria alle direttive 92/50 e 2001/78 dell’Ue in materia di appalti di forniture e servizi. Questo perché, si legge nel testo, "non si è proceduto alla scelta del progettista e/o dell’aggiudicatario del sistema di captazione e raccolta delle intercettazioni né secondo il criterio del prezzo più basso, né secondo quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa".
Riguardo all’annullamento della sentenza della Corte federale, i legali contestano un fatto, a loro dire, fondamentale. "Ci accorgiamo con immediatezza che sia la Caf, sia la Corte federale – scrivono gli avvocati – sono tutto meno che terzi e imparziali". Anzi, i difensori di Moggi incalzano le corti, evidenziando che "per quanto è noto, costituiscono veri e propri collegi (pseudo)giudicanti costituiti ad hoc per quello specifico incarico, con buona pace del principio del Giudice naturale, terzo e precostituito". In pratica, ciò vuol dire che gli avvocati mettono in dubbio l’imparzialità dei giudici della Caf, sia di primo grado che quelli dell’appello. Gli avvocati hanno contestato a più riprese il ruolo di "capro espiatorio" di Moggi. Infine, nel ricorso si sottolinea che "Moggi e l’ad Giraudo sono stati condannati per violazione dell’articolo 6, ovvero per atti diretti a condizionare svolgimento o risultato di gare della Juventus. Quali gare? Non pervenuto. Attraverso quale arbitro, se sono stati tutti assolti?".
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il pallone in confusione

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