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venerdì 11 aprile 2008

Aggiornamento: Secco deferito per telefonate a Preziosi, Spinelli per contatti con Moggi (Ansa)

CALCIO:19 DEFERIMENTI,SECCO A GIUDIZIO MA NON PER MOGGI/ANSA
Diciannove tra dirigenti e tesserati federali deferiti alla Disciplinare, otto società a giudizio per responsabilità oggettiva, le posizioni di altri dieci e di Luciano Moggi archiviate: motivo, quell'intrigo di telefonate tra dirigenti di primo piano e sottobosco calcistico con l'ex dg Juve, ma anche le trattative di mercato con Enrico Preziosi, presidente del Genoa inibito a vita, e altro ancora. Tutto uscito dalle carte dell'inchiesta napoletana su Calciopoli2. In primo piano la figura di Alessio Secco, attuale ds della Juve, la cui posizione èstata archiviata dal Procuratore federale Stefano Palazzi per quelle telefonate all'ex 'direttorè Moggi emerse dagli atti della procura di Napoli, e che tanto rumore avevano creato anche all'interno della Juve. Secco è però stato deferito, insieme all'ex vicepresidente Bettega, per aver partecipato con Preziosi alla trattativa con Criscito. Non poteva, perchè il presidente del Genoa era inibito a svolgere qualsiasi attività di dirigente. I nuovi atti di Palazzi sono un coacervo di nomi, situazioni, capi di 'imputazionè. Si comincia dai 10 dirigenti la cui posizione è stata archiviata, nonostante le telefonate con Moggi: sono Roberto Benigni, Mario Beretta, Urbano Cairo, Antonello Cuccureddu, Giovanni Lombardi Stronati, Fabrizio Lucchesi, Giovanni Paolo Palermini, Daniele Pradè, Alessio Secco e Luciano Tarantino. «La normativa federale all'epoca dei fatti - spiega Palazzi - non faceva divieto assoluto di intrattenere rapporti con soggetti inibiti, ma solo di eventuali rapporti finalizzati a un'attività di tesseramento o a condotte a questa direttamente riconducibili». E per Palazzi non era questo il caso, si trattava insomma di telefonate personali.
Chiuso anche il capitolo, al riguardo, su Luciano Moggi, al tempo delle telefonate già inibito per cinque anni e «non soggetto alla potestà disciplinare degli organi di giustizia sportiva». Ma poi, a seguire, una pioggia di deferimenti, ovvero di rinvii a giudizio della giustizia sportiva. È stato rinviato alla Disciplinare il presidente del Livorno Aldo Spinelli: parlò al telefono con Moggi per tesserare come preparatore Giampietro Ventrone, già alla Juve, e deferito anch'egli per lo stesso motivo. Responsabilità oggettiva e deferimento scattati anche per il Livorno. Rino Foschi, ds del Palermo, dovrà rispondere alla Disciplinare dei contatti di mercato con Moggi quando era inibito, e per considerazioni lesive verso dirigenti Coni e Figc. Deferito anche il Palermo. Romano Malavolta, presidente del Teramo, telefonava a Moggi per chiedere di intermediare nella trattativa d'acquisto del Siena, e Camillo De Nicola, dirigente dell'Ascoli, lavorava per mettere i due in contatto (deferiti anche Teramo): deferiti. Claudio Mangiavacchi, all'epoca dei fatti socio di minoranza del Siena, chiamava Moggi per lo stesso motivo, lo voleva come intermediario nella cessione di società (deferito il Siena). Ultimo deferito del capito Moggi, Vincenzo Berardino Angeloni, all'epoca consigliere Siena e ora socio della Pescina San Giovenco: telefonò all'ex dg Juve per tesserare un nuovo allenatore al Siena, club anche per questo deferito in base alla responsabilità oggettiva. Poi c'è il capitolo dei rapporti indebiti con Preziosi, inibito a vita. Palazzi ha deferito il ds Juve Alessio Secco e l'ex vicepresidente bianconero Roberto Bettega (violazione art.1, lealtà sportiva, e art.8, «illecito amministrativo... per informazioni mendaci, reticenti o parziali») per aver intavolato la trattativa per l'acquisto del difensore Domenico Criscito con il presidente Genoa Enrico Preziosi, inibito a vita. Per la stessa trattativa deferiti anche il vicepresidente del Genoa Giambattista Pastorello, al tempo non ancora dirigente del club rossoblù, l'ad del Genoa Alessandro Zarbano e Preziosi stesso, più Juventus e Genoa. A giudizio per aver trattato con Preziosi, su altri giocatori, anche Giorgio Perinetti, ds del Bari e all'epoca dirigente Siena (deferiti al riguardo anche Siena, Genoa e Preziosi) Terzo capitolo emerso da Napoli, per altri illeciti. Deferito Giovanni Lombardi Stronati, ad del Siena: ebbe contatti con Ermanno Pieroni, inibito in via definitiva, per l'acquisti di due calciatori dall'Arezzo. Deferito anche il Siena.
Raffaele Auriemma, dirigente della Nuorese, dovrà rispondere della telefonata al fratello Mario, per far pressioni sul designatore di C Mattei su designazioni favorevoli, e per aver mentito alla procura federale (deferita anche la Nuorese). Deferiti Fabrizio De Poli, già dirigente Lucchese, e Stefano Capozzucca, dirigente Genoa: si incontrarono per una trattativa di mercato nonostante il secondo fosse inibito, e poi negarono alla procura l'incontro. Deferimento anche per il presidente della Lucchese Fouzi Ahmad Hadj, per non aver comunicato il tesseramento di De Poli che lavorava da consulente, e per i due club Ultimo deferimento per Paolo Merestrini, agente Fifa: tra 2006 e 2008 faceva contemporaneamente il procuratore e l'osservatore giovanile per Livorno e Siena.
ANSA 11-APRILE-2008

Secco e Spinelli "rinviati" da Palazzi per telefonate a Moggi (Repubblica.it)

da http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/sport/calcio/calciopoli/calciopoli/calciopoli.html

Rapporti con squalificati
tredici dirigenti deferiti


ROMA - Tredici dirigenti calcistici (fra i quali il presidente del Livorno Aldo Spinelli e il dg della Juventus Alessio Secco) sono stati deferiti dalla Federcalcio per aver intrattenuto rapporti con dirigenti squalificati, come Luciano Moggi ed Enrico Preziosi


CALCIO: RAPPORTI MOGGI; DEFERITI SPINELLI E FOSCHI (Ansa)
ROMA - Diversi dirigenti calcistici, tra i quali spiccano i nomi del presidente del Livorno Aldo Spinelli e del ds del Palermo Rino Foschi sono stati deferiti dal procuratore federale alla commissione disciplinare della Figc per avere intrattenuto rapporti con Luciano Moggi, soggetto inibito dalla giustizia sportiva. La decisione è stata adottata «esaminati gli ulteriori atti di indagine posti in essere dalla procura della repubblica di Napoli».
ANSA 11-APRILE-2008

lunedì 7 aprile 2008

Moggi afferma che nella Juve contava poco o nulla

Ringrazio gli amici e i colleghi che mi hanno segnalato che su You Tube è stato inserita la parte del programma di Antenna 3, "Lunedì di Rigore" dell'ottobre 2006 dove chiedo a Luciano Moggi perché la Juventus sotto la sua gestione incassava in anticipo somme consistenti per la sua gestione. Il video è visibile su http://www.youtube.com/watch?v=XO4aC9XfE7A
Moggi risponde "dribblando" la mia domanda in questo modo: era un semplice direttore sportivo e non partecipava alla stesura dei bilanci. In pratica, ha ammesso di non contare nulla all'interno della società bianconera. Strano, poiché nei documenti contabili della Juventus si afferma il contrario: egli era consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, così come lo erano Roberto Bettega e l'amministratore delegato Antonio Giraudo, e direttore generale. Se non fosse stato così, non avrebbe potuto ricevere l'avviso di garanzia nell'ambito dell'inchiesta per l'ipotesi di reato di falso in bilancio condotta dalla Procura della Repubblica di Torino.
Riporto qui due miei articoli, pubblicati su Liberomercato e su http://www.quotidiano.net/, in cui ho scritto anche degli incarichi di Moggi.


Liberomercato 19 ottobre 2007

Il giallo degli orologi nel bilancio della Juve

Marco Liguori

Ci risiamo. Dopo i celebri Rolex d’oro della Roma, alla Juventus spuntano gli orologi da 2.500 euro ciascuno. Ne dà notizia la relazione preparata dal collegio sindacale in risposta alla denuncia presentata, secondo l’articolo 2408 del Codice Civile, dall’azionista Marco Bava nell’assemblea del 26 ottobre 2006 in cui è stato approvato il bilancio chiuso al precedente 30 giugno. Questo è l’esercizio che in cui sedevano ancora nel cda bianconero, fino al mese di maggio, l’amministratore delegato Antonio Giraudo e il consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, nonché direttore generale, Luciano Moggi. Bava nella sua denuncia aveva chiesto ai tre sindaci juventini di indagare "sulle spese di rappresentanza ed in particolare su quante di queste vanno ricondotte a Moggi e Giraudo, per verificare se queste siano servite per occultare spese ad personam".
Liberomercato è in grado di anticipare le risposte del collegio sindacale, che saranno consegnate in un documento all’assemblea degli azionisti il 26 ottobre prossimo in cui sarà approvato il bilancio 2006/2007. I sindaci hanno esaminato il dossier delle spese di rappresentanza e omaggio che nel bilancio al 30 giugno 2006 ammontavano a 2,9 milioni. Il collegio ha evidenziato che "il 48% di dette spese (1,4 milioni) riguarda omaggi vari di cui 538mila euro materiale Nike, 422mila euro omaggi di valore unitario inferiore a 25,82 euro, 229mila conguaglio biglietti e abbonamenti". Ma c’è una voce molto particolare del dettaglio, riguardante "143mila euro ad orologi del costo medio unitario di 2.500 euro circa". I sindaci non danno indicazioni su chi possano essere i beneficiari dei 57 orologi, non specificando se fossero da polso, da tavolo o da muro.
Il collegio sindacale, per questi regali e le restanti spese, afferma che "non è verificabile una significativa destinazione 'ad personam' delle stesse". "Voglio sapere chi sono gli omaggiati – ha spiegato Marco Bava a Liberomercato – di orologi di valore unitario così elevato. Alla prossima assemblea ripresenterò un’ulteriore denuncia ai sindaci". Sia per gli orologi che per l’operazione di vendita (avvenuta il 30 giugno 2005, ultimo giorno del bilancio bianconero) della sede sociale della Juventus alla Virgiliocinque, da questa poi affittata alla società bianconera, i sindaci ritengono "che non siano emersi fatti censurabili". Il collegio afferma che "il corrispettivo del trasferimento, pari a 15 milioni, è stato versato contestualmente all’atto pubblico, mediante assegni circolari" e fruttò, secondo il bilancio 2004/05 juventino, una plusvalenza di 8,9 milioni. Nella risposta si legge anche che il canone annuo del contratto di locazione (durata 12 anni) è pari "a 1,185 milioni di euro all’anno, salvo che per i primi due anni di durata del contratto per i quali il corrispettivo è, rispettivamente, di 1,0 e 1,1 milioni di euro". Anche questo non ha soddisfatto Bava che ritiene "economicamente censurabile cedere un immobile per 15 milioni ed esserne obbligato a pagare l’affitto per 12 anni. Di fatto è un leasing back, senza la proprietà finale dell’immobile".

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/04/26/8267-juventus_moggi.shtmlGEAWORLD
26 aprile 2007


La Juventus e Moggi

Marco Liguori
Riguardo alla Gea World, la Juventus ha confessato il rapporto d'affari e il conflitto d'interessi tra Moggi padre e Moggi figlio. A pagina 42 del bilancio chiuso al 30 giugno 2006, nel paragrafo dedicato alle operazione con società controllate e altre parti correlate, è stata inserita una nota riguardante la società presieduta da Alessandro Moggi: quest'ultimo ne è tuttora socio al 45% tramite la Football Management. Dopo la messa in liquidazione volontaria votata dall'assemblea del 18 luglio 2006, c'è stato un passaggio di quote Gea dalla General Athletic a Riccardo Calleri, diventato socio al 22,6%, e a Chiara Geronzi, che ne possiede il 32,4%.Nel documento della società bianconera si evidenzia che la Gea "è stata parte correlata fino al 16 maggio 2006, data delle dimissioni dell'ex direttore generale Luciano Moggi".Tradotto dal freddo linguaggio di Borsa, l'espressione "parte correlata" significa che la società di procuratori calcistici aveva un rapporto professionale continuativo con la Juve. La "confessione" dei bianconeri riguarda quindi il rapporto tra Luciano Moggi e l'azienda presieduta da suo figlio Alessandro, terminato, guarda caso, proprio con l'uscita di scena di Moggi senior: entrambi trattavano fra loro la compravendita dei calciatori.Ciò è anche supportato dal dettaglio dei poteri di papà Luciano, specificati minuziosamente nel bilancio al 30 giugno 2005 della Juve.
Oltre ad essere direttore generale, egli era anche consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, così come lo erano l'amministratore delegato Antonio Giraudo e il vicepresidente Roberto Bettega: tutti e tre partecipavano anche alla stesura del bilancio e hanno partecipato a tutte le riunioni del consiglio d'amministrazione. Inoltre lo stesso Cda aveva dato a Luciano Moggi, con delibera in data 4 settembre 2001 e confermata il 28 ottobre 2003, "specifici poteri nell'ambito delle competenze sportive".
Alla Gea World sono stati versati 970 mila euro, per il solo esercizio 2005/06, "in occasione di operazioni riguardanti la gestione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori". Tuttavia la Juventus risulta debitrice verso la Gea per 550mila euro e nei confronti della controllante di quest'ultima, la Football Management, per 110 mila euro.

giovedì 3 aprile 2008

Una banca nel pallone

Liberomercato 3 aprile 2008

L’intreccio tra Unicredit e il mondo del calcio

Dalla Roma al Frosinone: il campionato di Profumo

Marco Liguori
Benvenuti nella "Unicredit league" che conta 10 società di calcio. Attraverso l’esame di bilanci e visure della Camera di Commercio e i prospetti informativi dei club, Liberomercato ha ricostruito i legami diretti e indiretti tra essi e l’istituto guidato dall’amministratore delegato Alessandro Profumo. Essi riguardano l’Italpetroli (esercitante la direzione e il coordinamento sulla Roma), la Lazio, la Juventus, il Verona (vedi box in pagina), il Brescia, il Napoli, la Reggina Service (detentrice del marchio della Reggina Calcio), il Frosinone, l’Udinese e il Genoa.
Italpetroli. Unicredit controlla al 49% il gruppo operante nella distribuzione di prodotti derivati dal greggio facente capo alla famiglia Sensi. L’istituto di credito ha incluso questo pacchetto nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2007 nello schema riguardante le «partecipazioni in società controllate in modo congiunto e in società sottoposte a influenza notevole». Stando all’ultimo bilancio consolidato disponibile di Italpetroli al 31 dicembre 2006, sono 381 milioni i debiti complessivi (-91 milioni rispetto al 2005) che gravano sul gruppo, di cui 343,2 milioni verso le banche (-68,7 milioni). Nella nota integrativa si legge che «l’ammontare dei debiti a breve verso la Banca di Roma (ex Capitalia ora appartenente al gruppo Unicredit) è pari a» 268,2 milioni di cui 267,1 milioni «per scoperti di c/c» e 1,1 milioni «relativi alla quota esigibile entro l’esercizio successivo di mutui concessi da detto istituto di credito».
Lazio. l’altra squadra della Capitale ha reso noto nella semestrale di aver sottoscritto il 13 febbraio scorso con Unicredit Banca d’impresa «in qualità di mandatari d’impresa» un accordo riguardante «tutte le posizioni aperte (finanziarie e non) al 31 dicembre 2007» senza interessi. L’importo complessivo è di 6,68 milioni, «con un risparmio di euro 5,18 milioni da pagare in otto rate trimestrali di euro 0,8 milioni ed una di euro 0,42». La controllata Lazio Marketing e Communication, proprietaria dei marchi e del ramo commerciale, garantisce l’operazione tramite «la cessione degli incassi futuri rinvenienti dai contratti con la Puma Italia scadenti rispettivamente al 30 giugno 2008 e 30 giugno 2012».
Juventus. stando al prospetto dell’aumento di capitale della società bianconera del maggio 2007, «Bayerische Hypo und Vereinsbank – succursale di Milano (gruppo Unicredit)» è stata una delle banche garanti dell’operazione. Nel documento si fa riferimento alla «situazione di potenziale conflitto d’interessi» in quanto la banca del gruppo Unicredit è un finanziatore della Juve. Inoltre, il club ha stipulato con un’altra società della galassia creditizia di Alessandro Profumo, la Locat, «un contratto di locazione finanziaria» sul centro sportivo di Vinovo.
Brescia. Nel bilancio al 30 giugno 2007 della società lombarda vi sono evidenziati tre contratti derivati, senza specificare con quale banca fossero stati stipulati. Il 27 febbraio scorso Liberomercato contattò Attilia Ferrari, procuratore speciale delle "rondinelle", la quale spiegò che l’istituto «è Unicredit Banca». Sono stati sottoscritti un "sunrise swap" nel 2003, con scadenza al prossimo 24 giugno, per un importo di 11,5 milioni di euro, e un "knock in forward" nel 2005 per un milione di dollari Usa, con scadenza al 16 giugno prossimo. In questo giorno terminerà il "currency option" per un milione di dollari, firmato dal Brescia nel luglio di tre anni fa.
Napoli. la società presieduta da Aurelio De Laurentiis è controllata al 100% dalla Filmauro. Il 90% di quest’ultima è detenuto da Romafides, fiduciaria del gruppo Unicredit (che secondo la relazione sulla gestione al bilancio 2007 sarà fusa in Cordusio Fiduciaria), che scherma il reale intestatario. Il Napoli ebbe nel 2004 una linea di fido dall’istituto bancario per 32,1 milioni (rimborsata per 25,1 milioni al 2006/07) per l’acquisizione dei marchi e trofei dal vecchio Napoli fallito.
Reggina. Restando in tema di fiduciarie, il 98% della Reggina Service, proprietaria del marchio della Reggina Calcio, è custodito nelle stanze ovattate della Cordusio Fiduciaria: non è dato sapere il nome del proprietario. Nel 2006 la Reggina Calcio ha acquistato 2,6 milioni in obbligazioni Unicredit.
Frosinone. Cordusio Fiduciaria detiene il 33,3% della Bs Servizi, che è una delle due società in cima alla catena di controllo del club ciociaro.
Udinese e Genoa. i friulani, secondo il bilancio 2006/07, hanno un debito di 6,33 milioni con Unicredit Factoring. Invece, stando al documento contabile al 30 giugno scorso di quella genovese, Unicredit Banca d’Impresa ha garantito con fidejussione bancaria la rateizzazione in 4 anni e mezzo di un debito fiscale da 2,12 milioni relativo all’«anno di imposta 2002».

Troppi crediti da incassare, si rischia di non fronteggiare le uscite

La Padania 28/09/2006

Il collegio sindacale già nel 2004 aveva chiesto agli amministratori una maggiore attenzione

La gestione della Gea? Inefficiente

Marco Liguori

«Il Collegio sindacale aveva richiesto agli amministratori, che ne avevano assunto formale impegno, di pervenire quanto prima ad una più efficace ed efficiente struttura organizzativa e dell’assetto amministrativo-contabile della società». Questa “ammonizione” è stata data dal collegio sindacale al consiglio di amministrazione della Gea World, nel corso della riunione del 12 novembre 2004. I tre sindaci, nella loro relazione allegata al bilancio al 31 dicembre 2005, riportano però che l’efficienza aziendale non è stata raggiunta neppure nel corso dell’ultimo esercizio, precedente alla messa in liquidazione (come anticipato da La Padania il 29 luglio) avvenuta dal 1° agosto scorso. «Ad oggi deve constatarsi che - proseguono i tre professionisti - nonostante lo sforzo profuso dalla direzione aziendale e volto al miglioramento dell’operatività, le procedure interne dell’area amministrativa non si mostrano del tutto adeguate alle esigenze poste dall’accresciuta attività aziendale e necessitano pertanto di ulteriori miglioramenti».Fatta questa premessa, i sindaci hanno svolto un importante rilievo sulla gestione societaria, riguardante i cospicui «crediti nei confronti di calciatori e società calcistiche» vantati dalla Gea. Alla fine dello scorso anno questa voce (registrata come crediti verso clienti) ammontava a 3,87 milioni di euro, tutti esigibili entro l’esercizio successivo, in crescita del 21,6% rispetto ai 3,17 milioni del 2004 e pari a poco meno della metà dei ricavi della società nel 2005 (6,6 milioni). Riguardo alla consistente cifra da riscuotere alla fine del 2005, il collegio sindacale ha evidenziato che si doveva considerare «la difficile situazione economico-finanziaria che caratterizza l’intero settore del calcio professionistico ed il significativo rallentamento dell’attività aziendale a seguito delle note vicende giudiziarie». Ma i tre “sceriffi” societari hanno lanciato anche un preciso monito: «Ove la società nel breve termine non riuscisse ad incassare una congrua parte dei crediti verso clienti non sarà in grado di fronteggiare con fondi propri le uscite programmate». I sindaci sottolinearono che nel caso in cui non fossero stati recuperati i crediti «per garantire la continuità aziendale, dovrà farsi ricorso all’indebitamento bancario e/o all’apporto degli azionisti, poiché il problematico incasso dei crediti potrebbe generare difficoltà nel puntuale adempimento dei debiti verso fornitori e tributari».I nomi dei debitori della Gea non sono noti: in tutti i bilanci dal 2001 sino al 2005 non sono menzionati nomi di calciatori e di società. Di sicuro la Juventus, dove fino allo scorso maggio era direttore generale Luciano Moggi, non è presente nella “lista nera” di chi deve danari alla società di procuratori: infatti, stando ai bilanci 2002/03, 2003/2004 e 2004/2005 del club bianconero, la “galassia Gea” (ossia la Gea World e la sua controllante Football Management) ha introitato una cifra superiore ai 2,8 milioni.Nel bilancio si nota anche che la Gea è stata anche vittima del crack Parmalat. Nella nota integrativa redatta dal consiglio di amministrazione, alla voce “altre partecipazioni” si nota una somma pari a 6252 euro. «Trattasi della partecipazione e warrant della Parmalat spa - si legge nel documento del cda - assegnati alla Gea World per conversione dei crediti da essa vantati, già svalutati in precedenti esercizi». Molto probabilmente, la Gea aveva investito in obbligazioni Parmalat: in seguito ha aderito al piano predisposto dal commissario straordinario della società emiliana, Enrico Bondi, che ha convertito le cifre investite nelle obbligazioni in propri warrant e nuove azioni.

mercoledì 2 aprile 2008

La grande bugia sulla Premier League

di Stefano Olivari

02.04.2008

La vittoria del Manchester United all'Olimpico non ha fornito alcun pretesto agli ultras, più o meno organizzati, che rischiavano di togliere a Roma la finale di Champions 2009, ma scatenerà di sicuro i fanatici italiani di quello che potremmo definire 'Il Partito dei Ricavi'. Un movimento il cui unico credo è che la forza sportiva delle squadre dipenda esclusivamente dalle spese in sede di calciomercato e che quindi si debba incassare sempre di più per spendere sempre di più, innalzando a catena le pretese dei giocatori medi e le commissioni di procuratori in torta con i dirigenti delle società stesse. Mettiamoci l'elmetto per difenderci dal diluvio di editoriali e di interviste sulo strapotere della Premier League, scritti da chi anche solo un anno fa avrebbe deriso Milan e Inter se avesero acquistato Clichy o Arbeloa.

Delle tre sfide che hanno portato all'eliminazione delle italiane dalla fase decisiva della Champions a dire il vero solo l'ultima sembrerebbe portare qualche argomento a supporto della tesi tanto cara a Galliani: nell'esercizio 2006-2007, l'ultimo di cui esista un bilancio completo, il club di Old Trafford ha infatti avuto ricavi per 245 milioni di sterline, cioé circa 307 milioni di euro, mentre la Roma (fonte: Borsa Italiana) ha avuto ricavi consolidati per 162 milioni di euro. In estrema sintesi la più amata squadra inglese ricava il doppio della quinta più amata squadra italiana (dopo le solite tre ed il Napoli), ma se guardiamo agli ingaggi dei giocatori l'analisi si fa ancora più interessante: la società dei Sensi ha un costo del lavoro di circa 75 milioni mentre quella dei Glazer di 133. Insomma, al netto delle situazioni debitorie e delle spese per l'acquisto dei giocatori, per i semplici ingaggi Ferguson può manovrare un budget doppio rispetto a Rosella Sensi.

C'è però un piccolo particolare: la Roma è, come dicono le statistiche in possesso anche della Lega, la quinta squadra italiana per tifo mentre il Manchester United è nettamente la prima inglese ed oltretutto ha 139 milioni di tifosi sparsi in tutto il mondo, di cui 83 milioni in Asia (recente intervista del chief executive David Gill, con stime addirittura prudenziali rispetto a quelle di agenzie di marketing indipendenti). Paragonando più correttamente il club inglese con la prima italiana per seguito popolare, cioè la Juventus, nel suo più recente bilancio disponibile relativo ad una stagione in serie A (quindi la 2005-2006), si nota che nell'ultimo anno della Triade i bianconeri hanno fatturato 252 milioni di euro, all'epoca cifra praticamente identica al fatturato del Man U. Quindi la Roma e le italiane sarebbero penalizzate dai diritti televisivi?

Al bar della Lega, prima di imbeccare i propri uomini, potrebbero magari informarsi: le 'media revenue' del Manchester United, fra Premier League e Champions, nel 2006-2007 sono state pari a 61,5 milioni di sterline (83,4 milioni di euro), tutto compreso cifra inferiore a Juve, Inter e Milan, ed addirittura inferiore agli 88,316 euro della Roma. Non rifacciamo i soliti discorsi su marchandising e cose simili, nel paese del tarocco diffuso non attaccano, e concentriamoci sul teatro della passione dei tifosi, che in teoria sarebbe lo stadio: l'Old Trafford nel 2006-2007 ha generato 92,6 milioni di sterline, circa 116 in euro, mentre l'Olimpico 36,226 euro. Un terzo...Conclusione: dalle tivù, europee e locali, grandi club inglesi ed italiani prendono gli stessi soldi, il merchandising è direttamente proporzionale al numero dei tifosi nel mondo con potenziale di spesa per cose inutili e qui non c'è scampo (il Manchester ne ha cento volte più della Roma, che a sua volta ne ha cento volte più del Chievo), invece per quanto riguarda lo stadio dovrebbe contare solo la città: Manchester, intesa come Greater Manchester (il comune in senso stretto ne ha 440mila) ha circa 2milioni e 250 mila abitanti, mentre Roma con i suoi dintorni viaggia sui quattro milioni e mezzo, il doppio. Il doppio degli abitanti produce quindi un terzo dei ricavi locali?

Non è causata delle tivù cattive la differenza di prospettiva fra i club italiani e quelli di Premier League, ma di chi pensa in piccolo nell'illusione che qualche milione in più da Sky gli cambi la vita. Discorsi validi anche con Totti in campo e con Spalletti non surclassato da Ferguson come è stato, perché la palla è rotonda ed i bookmaker non avevano torto nel dare speranze alla Roma. Per i media è comunque sempre meglio giustificare i fallimenti del campo con la sfortuna, che ci può sempre stare, con i complotti, che almeno i tifosi ottusi ci crederanno, o al limite anche con le colpe di tecnico e giocatori, che tanto sono di passaggio, piuttosto che con l'incapacità dei dirigenti. Almeno di quelli che credono che la colpa sia sempre di Murdoch.
stefano@indiscreto.it
(in esclusiva per La Settimana Sportiva)

martedì 1 aprile 2008

Napoli-Swindon Town, un giorno di ordinaria follia

Questo articolo l'ho scritto poco più di due anni fa per http://www.indiscreto.it/, dopo un demenziale Napoli-Roma di Coppa Italia in cui era accaduto di tutto, grazie alla furia distruttiva di un consistente numero di ultras. E' il brutto ricordo, purtroppo indelebile, della mia prima volta allo stadio San Paolo per assistere a una partita del Napoli. Era la finale del 1970 di Coppa Anglo-Italiana con la squadra inglese dello Swindon Town, terminata con la guerriglia di una parte della tifoseria: all'epoca non esistevano gli ultras, ma la violenza e l'imbecillità gratuita purtroppo sono sempre esistite. Lo ripropongo oggi, dopo l'ennesima uccisione di un tifoso avvenuta domenica scorsa prima di Juventus-Parma.
Per gli amanti della storia (che però continua a non insegnare mai nulla) e consiglio su http://marcoliguori.blogspot.com/2008/03/pompei-nocera-incidenti-e-squalifiche.html la lettura di un celeberrimo passo degli annali di Tacito riguardante gli incidenti tra pompeiani e nocerini dopo uno spettacolo di gladiatori.

Tratto da http://www.indiscreto.it/indiscreto.nsf/ae8140bf6cc31ac3c12569a300629c7f/aebda8cb9d2ede31c12570d40040d542?OpenDocument

Domenica 11 dicembre 2005

Migliorato l'anglo e peggiorato l'italiano

di Marco Liguori

Napoli–Swindon Town, giovedì 28 maggio 1970, finale del torneo Anglo-italiano. Una testimonianza del passato, con la quale si può rammentare che il teppismo e l’imbecillità gratuita allo stadio esisteva già in anni lontani. Questa data è stata purtroppo rimossa dalla memoria collettiva, non solo dei napoletani, ma anche da chi si occupa di calcio: eppure dovrebbe essere ricordata, a causa dei gravi fatti che accaddero in quella occasione, per evitare che si ripeta in futuro. All’epoca non esistevano ancora gli ultras o quantomeno non esisteva nulla di paragonabile al fenomeno odierno del tifo organizzato: fu probabilmente una vera "insorgenza" o, per dirla con Karl Von Clausewitz, una "guerra di popolo". La tifoseria azzurra non era nuova ad esplosioni di violenza: nell’ultima giornata del campionato di 1962/63 di serie A il Modena vinse a Napoli 2 a 0, condannando i partenopei retrocessione in B. Ci fu un’invasione di campo e furono completamente distrutte le due porte. Purtroppo questa demenza collettiva è proseguita ininterrotta fino ai giorni nostri, come ricordano gli ultimi episodi di violenza sui campi nostrani. La mia prima volta allo Stadio San Paolo di Napoli coincise proprio con quella partita maledetta. Ero un bimbo, ma ricordo ogni particolare: era un pomeriggio di tiepido sole ‘e maggio napoletano, un’occasione di festa tra gli striscioni e le bandiere inneggianti al "ciuccio". Rammento bene la forte e dolce mano di mio padre dall’ingresso sino al momento in cui giungemmo alla tribuna. E, non appena seduto, vidi il colpo d’occhio del grande anello del San Paolo: all’epoca della sua inaugurazione (correva l’anno 1957) era stato inizialmente chiamato (non a caso) Stadio del Sole. Secondo le cronache dell’epoca, gli spettatori erano 55mila: la folla attendeva l’incontro con la sua calda passione vesuviana, incitando con cori e canti i propri beniamini, come se fosse stato la finale di Coppa dei Campioni. Ma come avrebbero detto i due famosi padri della moviola, i giornalisti della Rai Carlo Sassi ed Heron Vitaletti, "torniamo un attimo indietro" per capire brevemente come erano arrivate il Napoli e la squadra inglese dello Swindon Town a quella finale, rivelatasi poi sciagurata.

Il torneo Anglo-italiano era stato ideato nel 1969 da Gigi Peronace, calabrese di Soverato, indimenticato talent scout trasferitosi in Inghilterra negli anni ’50, anello di congiunzione tra il calcio del Belpaese e quello britannico. A lui si deve l’arrivo in Italia di campioni del calibro di John Charles, Denis Law, Jimmy Greaves, Joe Baker e Liam Brady. Il suo genio risolse una situazione di imbarazzo per l’Uefa: lo Swindon Town aveva conquistato nel 1969 la coppa di Lega inglese, ma era una società militante nella terza divisione britannica. In teoria, con questa sua vittoria, il club avrebbe dovuto partecipare alla Coppa delle Fiere (la progenitrice dell’attuale Coppa Uefa): ma a causa della sua "bassa militanza" lo Swindon Town non ne aveva diritto. Tuttavia, il traguardo raggiunto dalla società della omonima cittadina (un centro industriale che contava oltre 100mila abitanti a fine anni ’60) posta a 130 chilometri ad ovest di Londra non poteva restare inosservato: fu così che Peronace partorì questa particolare competizione. Alla prima edizione parteciparono sei squadre italiane e sei squadre inglesi, incluse le due vincitrici delle rispettive coppe nazionali: la Roma e, appunto, lo Swindon Town. L’Anglo-italiano non deve confondersi con la Coppa di Lega Anglo-italiana, che prevedeva una sfida con partite di andata e ritorno tra le due vincitrici della Coppa di Lega inglese e della Coppa Italia: nel 1969 l’aveva vinta lo Swindon Town superando la Roma (2 a 1 per i giallorossi all’Olimpico, 4 a 0 al ritorno per gli inglesi). Tra le altre partecipanti, per la parte britannica c’erano il Middlesbrough, lo Sheffield Wednesday, il Sunderland, il West Bromwich Albion e il Wolverhampton. La rappresentanza italiana era composta dalla Juventus, dal Lanerossi Vicenza, dalla Lazio e dalla Fiorentina. La macchinosa formula dell’Anglo-italiano prevedeva tre gruppi composti da squadre di entrambe le nazioni: i risultati conseguiti erano però inseriti in due classifiche distinte, una per le italiane e una per le inglesi. Il regolamento prevedeva un criterio di classificazione completamente differente dal parametro classico dell’epoca, che prevedeva per la vittoria due punti, per il pareggio un punto e per la sconfitta: al punteggio erano sommati anche i gol segnati. Era dunque premiata la squadra che segnava di più. Il primo raggruppamento era composto da Juventus, Napoli, Swindon Town e Sheffield Wednesday; il secondo da Lanerossi Vicenza, Roma, Middlesbrough e West Bromwich Albion; il terzo da Lazio, Fiorentina, Sunderland e Wolverhampton Wanderers. Il regolamento prevedeva che, dopo la prima fase a gironi, si sfidassero in finale le due prime classificate italiana e inglese, sul campo del squadra che avesse ottenuto il maggior numero di punti più gol segnati. Il Napoli, classificatosi primo tra le italiane, aveva conseguito una somma di 14 contro i 13 dello Swindon Town, il primo club inglese: la partita decisiva tra le due si sarebbe disputata al San Paolo il 28 maggio 1970.

Torniamo ora a quella giornata maledetta. Il Napoli aveva già affrontato la formazione inglese: gli azzurri avevano vinto a Swindon 2 a 1 e avevano perso in casa per 1 a 0. Nella formazione partenopea mancavano le due stelle, Dino Zoff e Antonio Juliano: entrambi erano stati convocati in Nazionale dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per i mondiali di Messico ’70. A sostituire in porta il Dino nazionale (in quel periodo riserva di Enrico Albertosi) c’era Trevisan. Ad eccezione dei due nazionali e di Altafini, Hamrin e Barison, il "ciuccio" non aveva grandi nomi nella sua formazione, a causa delle croniche difficoltà economiche. C’erano anche Ottavio Bianchi, che aveva fatto faville nel suo ruolo a centrocampo nel campionato 1969/70 ma non era stato convocato in Nazionale per la spedizione messicana, e Gianni Improta, all’epoca giovane promessa, amatissimo dai tifosi. Gli altri erano erano Floris, Monticolo, Zurlini, Panzanato e Montefusco. Dall’altra parte c’era lo Swindon Town, che, nonostante la squillante vittoria con la Roma nella Coppa Anglo-italiana, restava sulla carta una formazione più debole, considerata la sua perdurante militanza nella terza serie inglese. I suoi undici nomi (Jones, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Smith, Smart, Horsfield, Noble, Rogers) non erano certo al livello dei mostri sacri dell’allora formazione nazionale (come Bobby Moore, Jack Charlton e Geoffrey Hurst) che si accingeva a difendere in Messico il titolo mondiale conquistato a Wembley nel 1966. Eppure, sin dalle prime battute dell’incontro si vide che lo Swindon era una formazione molto agile e compatta: il suo allenatore, Fred Ford, aveva creato un gruppo vincente che dava filo da torcere agli avversari. Il Napoli, oltre alle sue lacune difensive, soffriva la mancanza del suo capitano Juliano, che sapeva guidare il gioco della squadra: mancando il suo faro di centrocampo la formazione napoletana piombò ben presto nella notte più nera. Invece la forza della squadra inglese era evidente proprio nella linea mediana: e così dopo soli 24 minuti Noble segna la prima rete per gli inglesi. La reazione degli azzurri è impacciata e incosistente: all’epoca non erano ancora consentite le sostituzioni, che sarebbero state introdotte ufficialmente ai mondiali messicani. L’allenatore Giuseppe Chiappella non avrebbe potuto quindi porre rimedi dal punto di vista tattico. Viste le premesse del primo tempo non si poteva pretendere che nella ripresa il Napoli potesse fare miracoli: così giunse la disfatta. Lo Swindon Town realizzò altri due gol: al 58' ancora con Noble e al 63' con Horsfield solo davanti a Trevisan: fu il giusto coronamento della netta superiorità della squadra inglese, contro un Napoli formato vacanza da fine stagione. Intanto, sugli spalti la situazione stava progressivamente degenerando. I tifosi montarono una feroce contestazione, che passò dai fischi, dalle urla e dalle invettive lanciati dopo i primi due gol inglesi, alle vie di fatto più vergognose della storia del "ciuccio". Proprio dopo il terzo gol, mio padre intuì quel tremendo clima di rabbia: "Marco andiamo!" esclamò prendendomi ancora per mano, ma stavolta in modo fermo e deciso. Quella decisione improvvisa, ma provvidenziale, mi risparmiò la visione dell’avvilente e denigrante spettacolo che si sarebbe scatenato poco dopo.

Secondo la ricca (e purtroppo unica, tranne qualche accenno sui siti di storia del Napoli) documentazione presente sul sito dello Swindon Town (http://www.swindon-town-fc.co.uk/) a poco più di 10 minuti dalla fine al San Paolo si scatenò l’inferno. Come novelli cavernicoli del XX secolo, i tifosi napoletani divelsero le panche di travertino, dov’erano seduti, poste nella parte bassa delle due curve e dei distinti e le frantumarono in piccoli pezzi: così iniziarono un fitto lancio di pietre verso il campo, accompagnato (come se non fosse bastato) da bottiglie di vetro. Le eloquenti fotografie presenti sul sito del club inglese testimoniano la follia di quei momenti. Fu una sarabanda infernale. Correva il 79° minuto: l’arbitro austriaco Paul Schiller decise di interrompere la partita e mandò subito le squadre negli spogliatoi. Nonostante la pronta disposizione del direttore di gara, Horsfield, autore del terzo gol, fu centrato sulla coscia da una pietra e riportò una brutta ferita. Secondo le cronache dei quotidiani inglesi, il lancio del travertino dagli spalti durò a lungo, anche durante la carica della polizia, che riuscì a domare la rivolta dei tifosi soltanto dopo molto tempo. Intanto, nel "bunker" degli spogliatoi l’arbitro decideva la sospensione definitiva e l’assegnazione della coppa del torneo allo Swindon Town. La battaglia sugli spalti e all’esterno dello stadio proseguiva tra la folla rabbiosa e le forze dell’ordine: alla fine si conteranno 40 feriti tra i poliziotti e 60 tra i tifosi. Le persone arrestate furono 30, quelle fermate 11. Secondo le stime rese note dal quotidiano inglese "The Evening Advertiser" i danni arrecati allo stadio San Paolo ammontarono a oltre 20mila sterline dell’epoca. Terminati i disordini, fu assegnata la coppa dal vice presidente della Figc, Orfeo Pianelli. Sul sito dello Swindon sono presenti anche una serie di fotografie non "bellicose", che ritraggono i calciatori della squadra inglese che festeggiano la conquista della coppa con alcuni napoletani. Ford l’allenatore effettuò un giro del campo con il trofeo: un onore dovutogli, considerata l’elevata qualità del gioco espressa dai suoi ragazzi. Ma la vergogna degli incidenti restava purtroppo indelebile.

C’è da dire che l’abitudine del pubblico napoletano di frantumare i sedili di travertino si è ripetuta anche in tempi recenti. Basta leggere sul sito http://www.grandenapoli.it/ la cronaca del dopo partita di Napoli – Bologna 1-5 del campionato 2000-2001: "Un inferno: la pioggia di pietre ricavate dai sedili di travertino, gli agenti che svolgevano opera di contenimento per evitare la peggio agli spettatori. Cento facinorosi contro circa 150 tra poliziotti e carabinieri". Insomma, questi tristi avvenimenti potrebbero ripetersi ancora. E’ mai possibile che un pugno di "brave persone" possa mettere sotto scacco l’ordine pubblico e cancellare lo splendido spettacolo di un partita di calcio? La storia sembra non insegnare mai nulla: questo paese ha una memoria troppo corta. Non a caso l’8 dicembre scorso, in occasione della partita di Coppa Italia Napoli-Roma, il teppismo ha superato ogni limite, con due "attacchi" mai accaduti finora: negli incidenti del dopo partita sono stati assaltati il commissariato di Polizia e la sede del quotidiano Cronache di Napoli, situati nelle adiacenze del San Paolo. Dopo questi ultimi fatti di "guerra di popolo" viene alla mente una considerazione di tipo economico: come si potrà trasformare gli stadi italiani in strutture polifunzionali, con esercizi commerciali e multisala cinematografiche, se c'è un pugno di teppisti capace di sfasciare tutto? Chi pagherebbe i danni in quei casi? C’è da scommettere che nessuno aprirebbe un’attività commerciale in uno stadio, considerato l’elevatissimo rischio costituito dal potenziale distruttivo degli ultras. Sicuramente, dopo la solita sequela di sdegno e di analisi sociali, anche gli ultimi incidenti accaduti nel capoluogo campano saranno posti in tutta fretta nell’italico dimenticatoio. Come suol dirsi a Napoli: "Scurdammece ‘o passato!".
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il pallone in confusione

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