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giovedì 13 marzo 2008

Inter poco champions

di Stefano Olivari
13.03.2008

tratto da www.settimanasportiva.it

1. Annunciando la fine della sua avventura interista in conferenza stampa, Roberto Mancini ha sorpreso i talebani del morattismo, ancora con il cervello pieno di interviste del centenario, libri di Oliviero Toscani (il cui figlio ha casualmente prodotto un film sulla storia nerazzurra), documentari di Salvatores (la cui assistente è una delle figlie di Moratti), celebrazioni di un'era poco credibile in ogni caso: lo sporco duopolio Galliani-Moggi, con intermezzo geronziano, ha reso spazzatura dodici anni di albi d'oro, ma non è detto che chi è arrivato dietro fosse più forte o più meritevole. Insomma, Moratti è rimasto Moratti. Per avere molte certezze bisogna essere molto tifosi, ed i tifosi del morattismo si erano così affezionati alle belle sconfitte, alle immagini in bianco e nero ed ai mezzi giocatori da non concepire l'arrivo sulla loro panchina di un vincente come Roberto Mancini. Vincente non nel senso becero della bacheca, secondo cui Trapattoni varrebbe cento Zeman, ma nel senso di provare a vincere. Che, come si è visto con il Liverpool ed in poche altre occasioni, non significa riuscirci: a volte c'è chi è più forte, chi nel momento giusto sa essere più forte, chi è bravo nello sfruttare le tue mancanze ed i tuoi sbagli (e Mancini sia con il Valencia che con il Liverpool ne ha fatti: peggio l'insistenza su Stankovic, con Jimenez trascurato, che la scelta di un Burdisso al quale per mancanza di fiducia i compagni non passano la palla quando si sovrappone). Ci sarà tempo e modo per tornare su quello che ha significato Mancini per l'Inter, forse anche prima dei due mesi e mezzo da lui ipotizzati e che ieri sera Moratti ha ipotizzato non essere gli ultimi della sua vita interista. E' invece evidente che si tratti solo di una tregua, per rimanere attaccati ad uno scudetto che prima di Mancini sembrava un traguardo pazzesco e che adesso sembra quasi un premio di consolazione. Solo la rimonta della Roma ha fatto cambiare idea riguardo alla malsana idea del traghettatore: l'emergente Mihajlovic, al presidente molto più caro di Mancini, l'autocandidato Zenga e via peggiorando. Di sicuro una buona parte del mondo Inter si merita allenatori che dicano che Recoba è una grande risorsa, Adriano uno attaccato alla maglia e Coco un fenomeno incompreso. Mourinho non fa parte di questa razza, il più diplomatico Benitez forse sì.

2. L'unica cosa sicura è che Moratti, ormai da mesi invidioso del carisma del suo ex idolo e che prende come pugnalate espressioni tipo 'L'Inter di Mancini', ha preso malissimo il fatto di essere stato mediticamente scavalcato anche martedì sera. Tanto che nell'incontro avvenuto alla Saras, secondo quanto fatto trapelare da alcuni cortigiani (non necessariamente la verità), il petroliere avrebbe usato nei confronti del tecnico toni durissimi, mai adoperati nemmeno nei confronti di farabutti del passato che lavoravano per altre società facendogli strapagare cariatidi e svendere giocatori validi. Mancini ovviamente non si è scusato (di cosa poi?), come invece si dedurrebbe dalle sue stesse dichiarazioni ufficiali, ma ha preso e portato a casa: meglio chiudere con uno scudetto sofferto e le dimissioni che con un esonero. Traghettatore o non traghettatore, annunciando personalmente la fine della propria era l'allenatore è riuscito nella più facile delle sue imprese interiste: mettere a nudo la pochezza di una società e di un'ambiente che si erano illusi di avere fatto un salto di qualità. Con vari effetti collaterali. Primo: ha evitato di essere messo quotidianamente sulla graticola da Moratti nella quotidiana esternazione sotto gli uffici della Saras, come capitato a tutti, ma proprio tutti i suoi predecessori, da Ottavio Bianchi a Zaccheroni. Secondo: se Moratti non lo caccerà prima, come è ancora possibile, Mancini avrà ottenuto da quella parte di squadra che rema dalla sua parte una dedizione totale, decisiva per resistere al ritorno della Roma. E pazienza per il dirigente in pectore Figo, che per amore della maglia ha rinunciato agli Emirati Arabi, per il declinante Materazzi, l'idolo della Gazzetta Toldo o il presuntuoso Vieira: sei punti, anzi sette visti gli scontri diretti, su una squadra che penserà anche alla Champions League li si potranno mantenere anche con Pelé e Balotelli. Terzo: ha permesso a giornali e tivù di rimpiere spazi con le reazioni livorose dei suoi antipatizzanti, i tromboni del 'Mancini non ha fatto la gavetta'. Mentre Ancelotti, Van Basten, Rijkaard hanno iniziato dalla squadra del condominio...Da quella brava persona di Moggi, che aveva capito tutto da tempo (è pronto per Berlusconi, basta che gli tolgano qualche anno di squalifica) a Gino e Michele (!), tutti a parlare di gesto inopportuno ed a prendere le parti di Moratti dimenticando chi metteva in campo squadre orrende pur potendo contare sul miglior Ronaldo o sul miglior Vieri. Ma fra poco partirà comunque la restaurazione: dentro tutti quelli simpatici, fuori Mancini. Che non si attaccherà al contratto con scadenza 2011, nonostante al mondo solo Juande Ramos guadagni più di lui: al di là di ipotesi e scambi di telefonate non ha niente in mano, a parte la certezza di non poter più allenare in Italia a questo livello. Il moggismo sopravvive a Moggi e si trova benissimo con Moratti ed i baciamaglie a lui devoti.

3. Ah già, c'era la Champions League. E qui l'allenatore è decisamente meno difendibile. Ancora una volta l'Inter di Mancini si è presenta agli ottavi nelle condizioni fisiche e tecniche peggiori, anche al netto delle feste per il centenario (più simili al tronfio-trash milanista che alla tranquilla sobrietà juventina, nonostante i mille strapagati consulenti di immagine) e di infortuni che hanno inciso tanto ma non tantissimo: l'assenza dell'ultimo Materazzi era stata quasi una fortuna, Rivas non ha fatto peggio di Cordoba, Stankovic è acciaccato da tempo immemorabile ma è vocalmente Mancini in campo (infatti i compagni che non hanno il coraggio di insultare l'allenatore insultano lui), in una partita da vincere Burdisso sulla sinistra poteva tranquillamente essere sostituito da Zanetti mandando in mezzo al campo Pelé. Su tutte le considerazioni epocali e su tutti gli episodi (la peggior Inter casalinga di stagione ha avuto comunque cinque palle gol, di cui quattro sullo zero a zero: triplo Cruz e Ibrahimovic) prevale il fatto che il Liverpool di Benitez nelle ultime quattro Champions League non abbia quasi mai subito il gioco degli avversari, a parte il primo tempo della finale di Istanbul. L'unica squadra capace si sorprenderlo è stato il Benfica di Ronald Koeman due anni fa (ad Anfield Road segnò anche Miccoli), per il resto solo partite dominate di fisico e di testa, con un'occupazione degli spazi dovuta alla trasformazione in gregari, tanto per rimanere al presente, di registi come Mascherano (a uomo su Stankovic fino a quando la partita è stata chiusa) o punte come Kuyt (dal suo pressing su Burdisso sono nati tanti cross che l'olandese ha sbagliato di pura insensibilità di piede). Insomma, forse non sarebbe bastata nemmeno la migliore Inter ed a volte nel calcio vince chi è più forte: di sicuro l'Inter media di condizione atletica, di fiducia e di fortuna, sarebbe uscita anche con squadre meno forti di quella di Benitez.

4. L'uso della tecnologia, o più banalmente della televisione, per rendere più credibile il calcio conquista sempre i suoi bravi titoli, ma la grande decisione presa nel fine settimana di International Board a Gleneagles non ci sembra lo stop a cellule, sensori, microchip (nonostante la sponsorizzazione Adidas) nel pallone, eccetera, nel nome di quello che Blatter ha definito 'human aspect of the game'. E nemmeno la blanda apertura verso l'introduzione di due ulteriori assistenti dell'arbitro, focalizzati sui falli in area, ci sembra poi questa grande genialata: arrivata per giunta da chi aveva bocciato più volte i cronometristi (anzi, il cronometrista), e quindi il tempo effettivo, perché non sostenibili economicamente. La notizia ci sembra una modifica alla prima regola del gioco, quella riguardante il campo: che come tutti sanno per i match internazionali definiti 'A' dalla Fifa aveva dimensioni imprecisate, con un minimo ed un massimo (da 100 a 110 metri la lunghezza, da 64 a 75 la larghezza), tanto da far correre fra un terreno e l'altro anche 100 metri quadrati di differenza, che in uno sport basato sui dettagli, in cui il singolo episodio è tutto, sono un'enormità. Quindi la modifica è la seguente: i campi che pretendono di essere usati per le partite vere, quelle fra nazionali, devono essere 105 per 68. Sembra incredibile, ma lo sport più popolare del mondo ha dovuto aspettare la 122esima riunione del suo organo giuridico per stabilire le misure del campo nelle sue manifestazioni più importanti. Appuntamento l'anno prossimo in Irlanda del Nord, ricordando che nel calcio reale le dimensioni del campo sono queste, come da 'Laws of the game': minimo 90 e massimo 120 in lunghezza, minimo 45 e massimo 90 in larghezza. Teoricamente e praticamente si giocano quindi sport diversi, basta fare due moltiplicazioni. Questo per dire che quella dello stesso sport per 6 miliardi di persone, davanti alla capanne o in Champions League, è solo una scusa per mantenere controllo, discrezionalità ed arbitrio.

5. Allo stadio vanno sempre meno persone, il fatturato da stadio è ormai il dieci per cento di quello totale, l'unica cosa a non essere diminuita sono i pistolotti su quant'era bello il calcio di una volta. Che c'erano anche ai nostri tempi di bambini, quindi negli orridi Settanta, quando si rimpiangeva l'era in cui alla partita andavano le fantomatiche 'famiglie'. Cosa mai avvenuta, in maniera percentualmente interessante, ma luogo comune che si tramanda di giornalista in giornalista (quindi spesso di padre in figlio, considerando il tasso di parentele esistente in questa professione: inferiore solo a quello di notai e medici) fino a diventare verità. Peccato che chiunque frequenti il calcio dal vivo oggi possa rendersi conto che, pur nella diminuzione in assoluto dei numeri (media paganti-abbonati della serie A che è metà di quella del campionato 1984-85), fra gli spettatori ci siano in proporzione più donne. Discorsi già fatti, come quello sugli ascolti televisivi: però ci piace ricordare che anche fuori dal circuito delle solite grandi, che ai tanti simpatizzanti assommano gli odiatori di professione, in Italia poche cose come il calcio regalino grandi numeri alle reti che investono sulle partite vere. L'assedio dell'Everton alla Fiorentina ha avuto uno share del 9,3 %: per quasi tre ore di diretta e per La 7 un risultato pazzesco (quasi dieci volte le trasmissioni di Gad Lerner, per citare una tivù che gode di buona stampa), con punte del 20% per i rigori. Non si può ridurre proprio tutto al tifo, visto che fuori dalla Toscana la Fiorentina non ispira sentimenti né di amore né di odio, questo è il calcio e basta. Che rende credibile il non detto della bella intervista fatta dal Guerin Sportivo a Matarrese: va bene lo spezzatino per Sky, dalle 12 della domenica a tutto il resto, ma l'ideona è quella della partita top della giornata in chiaro da stravendere o da usare come spauracchio per ottenere più soldi da Murdoch. Qualcuno la guarderà.

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