Già il 30 luglio u.s. avevo commentato con alcune mie note (vedasi www.federsupporter.it) la disdetta del CCNL dei calciatori,le sue possibili conseguenze e le possibili prospettive del suo rinnovo. In questi giorni è previsto che si tenga una fitta serie di incontri tra la Lega Calcio, l’AIC e la FIGC in ordine al rinnovo del suddetto CCNL, soprattutto per scongiurare lo sciopero dei calciatori proclamato dall’AIC e che dovrebbe essere effettuato il 25 e 26 settembre prossimi. Ciò premesso, ritengo utile ed opportuno sottoporre all’attenzione di tutti i soggetti interessati le ulteriori considerazioni che seguono, da me svolte in base alla mia pluriennale esperienza di giuslavorista ed alla mia pluriennale esperienza acquisita nel corso di tanti anni di Direzione Generale dell’Associazione Professionale Rappresentativa dei Dirigenti e dei Quadri Superiori dell’Industria ( FEDERMANAGER) per la quale ho negoziato e concluso tanti CCNL di categoria. Le mie considerazioni riguardano soprattutto alcuni punti specifici della vera e propria piattaforma rivendicativa avanzata nei giorni scorsi dalla Lega Calcio per poter procedere al rinnovo del CCNL disdettato e che ha provocato, come reazione, la proclamazione dello sciopero da parte della AIC.
Parte economica
A me sembra che questo sia, o possa essere, il punto di minor attrito fra le parti. La rivendicazione, infatti, ad opera della Lega Calcio del fatto che la retribuzione del calciatore sia formata,sempre di meno, da una parte rigidamente fissa e, sempre di più, da una parte flessibile e variabile in funzione di alcuni parametri ( per es. : numero di gare giocate, titoli vinti, classifica conseguita, goal segnati o subiti, etc.) non ha trovato e non trova, almeno così pare, una opposizione pregiudiziale da parte della AIC. D’altronde, sarebbe assolutamente anacronistico che, proprio i calciatori, si opponessero ad una ormai generalizzata tendenza di tutto il mondo del lavoro verso forme di retribuzione sempre più flessibili e variabili, tenuto conto della globalizzazione dei mercati e della variabilità, per non dire volatilità, dei mercati stessi.
Parte normativa
Non v’è dubbio, almeno a mio parere, che i motivi di contrasto più acuti e più difficilmente componibili siano costituiti da alcune rivendicazioni avanzate dalla Lega Calcio in materia di norme regolanti il rapporto di lavoro del calciatore e che mettono in giuoco fondamentali diritti di quest’ultimo sia come lavoratore sia come cittadino e come persona. Né, a tale proposito, la rilevanza delle questioni in discussione può essere superficialmente e demagogicamente disconosciuta, trattandosi di lavoratori con alte retribuzioni.
Il trattamento retributivo
Si consideri, al riguardo, che non è vero o non è del tutto vero che tutti i calciatori di serie A godano di trattamenti retributivi molto elevati e, comunque, in questo caso, se comparazioni si vogliono fare, esse andrebbero correttamente fatte, non con gli stipendi di operai ed impiegati, bensì con quelli di fasce alte del lavoro dipendente, quali i top manager, non potendosi negare che il calciatore e, in specie, quello di serie A, sia equiparabile o assimilabile alle figure apicali del lavoro subordinato.
Ma, a parte ciò, la considerazione prevalente o, per meglio dire, assorbente, è che diritti fondamentali del lavoratore, come tale e, ancor di più, come cittadino e come persona, non possono mai essere denegati o affievoliti in funzione della retribuzione o del reddito percepito. Sotto questo profilo, alcune rivendicazioni della Lega Calcio non possono non suscitare perplessità. Più precisamente, mi riferisco al fatto che, in caso di infortunio del calciatore, si vorrebbe che la scelta dei medici, delle cure e delle strutture sanitarie fosse lasciata esclusivamente alla società di calcio . Cosa che, a mio avviso, si pone – si porrebbe- in stridente contrasto con quanto stabilito dall’art. 32, II comma, della Costituzione secondo cui : “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Come può – potrebbe – dunque, una disposizione della contrattazione collettiva di lavoro obbligare un lavoratore a sottoporsi a trattamenti sanitari, con medici e strutture unilateralmente ed insindacabilmente scelte dal datore di lavoro?
L’infortunio
Del tutto legittimo, lecito e, a mio avviso, equo sarebbe, invece, che, in caso di infortunio, qualora il calciatore accetti le scelte sanitarie della società, il costo delle medesime ricada integralmente sulla società stessa, mentre, ove il calciatore scelga medici, trattamenti e strutture sanitarie diverse, di sua esclusiva fiducia, il costo delle medesime ricada sulla società stessa in una misura percentuale ed assoluta contrattualmente predeterminata, rimanendo a carico del calciatore costi che eventualmente residuassero in eccedenza a tale plafond. D’altra parte, resta sempre fermo il diritto- dovere della società di verificare l’idoneità del calciatore in esito al trattamento sanitario dallo stesso prescelto.
Il trasferimento “obbligato”
Un’altra richiesta avanzata dalla Lega Calcio che suscita perplessità è quella per cui i calciatori ritenuti in esubero possano essere emarginati rispetto agli altri e che debbano essere obbligati ad accettare il trasferimento ad altra società a parità di condizioni economiche e di “ condizioni omogenee di competitività”.
Laddove sembra che ci si dimentichi del fatto che il calciatore è qualificato per legge ( Legge 23 marzo 1981, n.91) come lavoratore subordinato e che, di conseguenza, il contratto che lo lega alla società di calcio è di lavoro dipendente, con durata prestabilita ( contratto di lavoro a termine) e che, a seguito della famosa sentenza Bosman (Corte di Giustizia Europea 15 dicembre 1995), nessun calciatore può essere obbligato ad accettare il trasferimento ad altra società per tutta la durata del rapporto contrattuale.
L’emarginazione
Quanto alla possibilità per le società di calcio di marginalizzare calciatori ritenuti in esubero, quand’anche la AIC accettasse tale possibilità e questa fosse contrattualizzata, saremmo in presenza, a mio parere, di una disposizione contrattuale nulla perché contra legem. Infatti, tutti gli atti ed i comportamenti, tipici o atipici, volti alla marginalizzazione del lavoratore, meglio noti sotto il nome omnicomprensivo di “ mobbing”, con il fine, tra gli altri, di allontanarlo dalla comunità in seno alla quale presta la propria opera, sono vietati e sanzionati ai sensi e per gli effetti dell’art. 2087 C.C. che, in attuazione del diritto costituzionale ( art. 32 Costituzione) alla salute psico-fisica ed alla tutela della personalità, pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di salvaguardare, per l’appunto, non solo la persona fisica, ma anche la personalità morale del lavoratore stesso. Le pratiche di “ mobbing” possono essere, altresì, rilevanti e sanzionabili sul piano penale, ai sensi degli artt. 572 (Maltrattamenti) e 610 ( Violenza privata ) C.P. Una forma tipica di “ mobbing” può consistere nella dequalificazione professionale che può estrinsecarsi nella privazione, totale o parziale, di compiti e in una, totale o parziale, inattività forzosa, potendosi richiamare, in questo caso, non solo la violazione dell’art. 2087 ma anche dell’art. 2103 C.C. che impone al datore di lavoro di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto. Nessuna norma contrattuale può – potrebbe –, dunque, legittimare e rendere lecita la marginalizzazione del calciatore ritenuto in esubero.
L’accettazione del trasferimento- Soluzioni alternative
Lo stesso dicasi per quello che concerne l’obbligatorietà per il calciatore di accettare il trasferimento ad altra società, sebbene alle medesime o, addirittura, più favorevoli condizioni economiche ed a “ condizioni omogenee di competitività” ( come poi, in concreto sia possibile o agevole valutare l’assoluta omogeneità di “ condizioni di competitività” rimane , almeno per me, assolutamente oscuro).
E’ evidente, infatti, che l’obbligo di un calciatore sotto contratto di trasferirsi ad altra società, pur alle condizioni sopra specificate, cozzerebbe con quanto disposto dalla sentenza Bosman, rappresentando una chiara restrizione alla libertà del calciatore stesso, come lavoratore, di decidere con chi e dove lavorare. Le legittime e corrette soluzioni del problema rappresentato da esuberi di calciatori possono essere ricercate, a mio avviso, in altri modi. Il primo può consistere in una riduzione dell’attuale durata massima (cinque anni) dei contratti di lavoro dei calciatori.
Tale durata andrebbe ridotta, sempre a mio avviso, a tre anni, poiché, tenuto conto della notevole variabilità di condizioni e situazioni che possono determinarsi specialmente in ambito calcistico, un arco temporale di cinque anni finisce per “ingessare” il rapporto e per togliere flessibilità in uscita alle società. Peraltro, queste ultime non possono pretendere di sfruttare la durata quinquennale del rapporto con il calciatore per diluire, nel tempo, l’onerosità degli stipendi ai calciatori medesimi e, però, non accettare, conseguentemente, una eccessiva stabilizzazione e, come ho detto, una vera e propria “ ingessatura” del rapporto. La formula giusta, pertanto, potrebbe essere: contenimento delle retribuzioni, in specie per la componente fissa, e contenimento della durata contrattuale. Il secondo modo, eventualmente complementare con il primo, può consistere nella previsione nel contratto individuale di lavoro di una clausola risolutiva espressa dello stesso a favore, non solo del calciatore, come già largamente avviene (le così dette “ clausole rescissorie”, anche se di risoluzione si tratta e non di rescissione: la quale ultima attiene allo scioglimento di un contratto stipulato da una delle parti in stato di necessità o di pericolo), bensì anche delle società. L’indennizzo alla parte che subisce il recesso anticipato potrebbe essere determinato al momento della stipulazione del contratto, ovvero nel corso di esso, oppure al momento in cui entrambe le parti entrassero nell’ordine di idee di risolvere anticipatamente il contratto stesso per mutuo consenso.
L’arbitraggio
Potrebbe essere, altresì, previsto che, in caso di mancato accordo circa la determinazione dell’importo dell’indennità, tale determinazione venga attribuita ad uno o più terzi scelti dalle parti nell’ambito di un elenco di arbitratori concordato dalla Lega Calcio e dalla AIC. L’arbitraggio, a differenza dell’arbitrato che ha lo scopo di comporre una controversia insorta tra le parti, ha lo scopo di integrare il contenuto della dichiarazione di volontà dalle stesse formulata.
Il distacco
Il terzo modo può consistere nella previsione, nell’ambito del rapporto di lavoro calcistico, dell’istituto del distacco. Tale istituto, da ultimo disciplinato dal decr.lgs n 276/2003, regola il trasferimento (distacco) di un lavoratore da una impresa ad un’altra per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. I requisiti del distacco sono: l’esistenza di uno specifico interesse del datore di lavoro distaccante ( la società di calcio che non ritenesse più utilizzabile un proprio calciatore potrebbe avere l’interesse che possa essere utilizzabile presso altra società affinchè il valore del calciatore stesso non diminuisca); la temporaneità del distacco ( la durata del distacco non può coincidere con l’intera durata del rapporto lavorativo. Ne deriva che, se, per esempio, la durata del contratto del calciatore fosse di tre anni, il distacco dovrebbe essere inferiore a tale durata); il datore di lavoro distaccante rimane responsabile del trattamento economico e normativo in favore del lavoratore ( la società distaccante, perciò, dovrebbe garantire al calciatore distaccato lo stesso trattamento economico e normativo, fermo restando che il costo di tale trattamento può essere addebitato alla società distaccataria in base ad accordi intercorsi con la società distaccante). Va sottolineato che, con il distacco, la titolarità del rapporto di lavoro rimane in capo alla società distaccante e, quindi, il distacco non può essere rifiutato dal lavoratore e, in particolare, relativamente al calciatore, non configurandosi un trasferimento, verrebbe, in questo modo, rispettata la sentenza Bosman.
L’arbitrato
Condivido, inoltre, la richiesta della Lega Calcio di una diversa disciplina dell’arbitrato in tema di controversie tra società e calciatori onde rafforzare il principio di assoluta terzietà del Presidente del Collegio Arbitrale. Tale Presidente, infatti, andrebbe scelto, di comune accordo tra le parti e, in mancanza di accordo, andrebbe nominato dal Presidente del Tribunale Civile di Milano ; in ogni caso, il Presidente del Collegio dovrebbe essere persona del tutto estranea sia alla Lega Calcio sia alla AIC.
Le attività extracalcistiche
Ritengo, infine, opportuno che vengano specificate e tipizzate tutte le attività del calciatore ritenute incompatibili con l’attività di quest’ultimo, quali, per esempio : pratica di sport pericolosi, abuso di alcolici, uso di sostanze stupefacenti, superamento di limiti di velocità ed altre gravi violazioni di norme del Codice della Strada per effetto della guida di auto o motoveicoli.
Nel contempo, dovrebbe, però, essere sempre garantita piena libertà di manifestazione del pensiero (divieto dei così detti “ silenzi stampa”), ferma restando la responsabilità del calciatore per le dichiarazioni rese. Nessun lavoratore, infatti, pur vincolato da obblighi di fedeltà, collaborazione, riservatezza e subordinazione, può essere impedito dal manifestare liberamente le proprie opinioni e anche, eventualmente, le proprie critiche al datore di lavoro, purchè espresse, per forma e contenuto, nel rispetto della verità dei fatti e del decoro del datore di lavoro.
Massimo Rossetti
Responsabile dell’Area Legale e Giuridica di Federsupporter
Via Tommaso Salvini 25, 00198 Roma
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