Riceviamo e pubblichiamo il commento dell’avvocato Fabio Turrà sulla vicenda sollevata ieri durante la trasmissione “Controcampo”
Subito dopo la fine degli incontri serali della 23a giornata di campionato, una notizia lanciata in diretta dalla trasmissione sportiva “Controcampo” ha posto alla ribalta ed all’attenzione del pubblico il tema della presenza dei calciatori professionisti sui social network. Veniva infatti rivelato che sul profilo Facebook del calciatore della Juventus Felipe Melo era apparso lo status (una sorta di pensiero espresso pubblicamente) “Morgati bandido”. Da poco era finito l’incontro Palermo - Juventus, perso da quest’ultima, durante il quale la società torinese - attraverso il suo allenatore Gigi Del Neri - aveva espresso perplessità in ordine alla corretta conduzione da parte dell’arbitro Emidio Morganti; non solo, ma la società bianconera aveva - di fatto - impedito ai propri calciatori ogni contatto con i mass media, imponendo il silenzio stampa, proprio percependo il malcontento dello spogliatoio e prevedendo possibili squalifiche per eventuali dichiarazioni lesive proferite dagli atleti nei confronti dell’arbitro. In tale contesto va inquadrato l’episodio attribuito a Felipe Melo, per il quale la Juventus - con estrema tempestività - ha dichiarato, attraverso il proprio direttore della comunicazione Claudio Albanese, essersi trattato di un attacco informatico ai danni del proprio tesserato.
Volendo analizzare dal punto di vista squisitamente tecnico giuridico quanto accaduto, bisogna preliminarmente evidenziare che il potenziale offensivo di Facebook è molto alto, poiché le opinioni espresse attraverso tale mezzo sono visibili e dirette ad una platea numerosissima, soprattutto se ciò avviene ad opera di un personaggio pubblico come un calciatore di serie A.
Per inciso, occorre ricordare che offendere l’altrui reputazione comunicando con più persone (ovvero proprio ed anche usando Facebook, o altri social network), come testualmente previsto dall’art. 595 del codice penale, costituisce il comportamento previsto e punito per il reato di diffamazione, perseguibile a querela della persona offesa.
Nel nostro caso, vertendo in materia di diritto sportivo, vale la pena chiedersi cosa rischia il calciatore della Juventus: l’art. 5 del Codice di Giustizia Sportiva (Dichiarazioni lesive), prevede al comma 1 che ai soggetti dell’ordinamento federale (quale va considerato il tesserato Felipe Melo) è fatto divieto di esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione di persone, di società o di organismi operanti nell’ambito del CONI, della FIGC…; il comma 4 chiarisce che la dichiarazione è considerata pubblica quando è resa in pubblico ovvero quando per i destinatari, il mezzo o le modalità della comunicazione è destinata ad essere conosciuta o può essere conosciuta da più persone; il comma 5 prevede la comminazione di un’ammenda da € 2.500,00 ad € 50.000,00 oltre ad eventuali sanzioni più gravi, che arrivano anche alla squalifica o addirittura al “daspo” nei casi più gravi.
Resta da chiedersi se anche la Juventus possa rischiare una sanzione: l’art. 5 comma 7 prevede, in proposito, che le società possono essere punite, ai sensi dell’art. 4, con un’ammenda pari a quella applicata all’autore delle dichiarazioni; costituisce, però, circostanza attenuante la pubblica dissociazione dalle dichiarazioni lesive ed, in casi eccezionali, la pubblica dissociazione può costituire esimente.
La dirigenza bianconera ha sostenuto, senza finora dimostrarlo, che il profilo del proprio tesserato sarebbe stato “craccato” ad opera di ignoti. Può tale affermazione (allo stato non ancora provata) costituire “pubblica dissociazione” così come richiesto dalle norme richiamate?
Ma soprattutto appare credibile il fatto che il profilo utente del calciatore sia stato violato proprio in coincidenza con gli avvenimenti del post-partita? Ma soprattutto, come potrebbe egli realmente dimostrare la propria innocenza? La risposta a tale quesito è che ciò potrebbe avvenire solo attraverso una denuncia contro ignoti, a cura del tesserato e/o della società, al fine di dare impulso ad una indagine telematica, da svolgersi a cura della polizia postale. In mancanza, restando le difese del calciatore e della Juve solo affermate, ma di fatto non provate, dovrebbero scattare le sanzioni.
Fabio Turrà
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