Dopo
circa 23 anni, la squadra partenopea torna a vincere qualcosa. L'atavica fame
di riscatto, intimamente incastonata nelle maglie azzurre e in una cultura
tutta intera, torna a saziarsi per una notte. Si torna a vincere, e si vince
contro una Juventus forte, fresca campione d'Italia, simbolo nazionale della
«squadra vincente». E la vittoria proprio per questo ha un gusto di maturità e
di profezia per gli anni a venire. Il Napoli quindi, si presenta dinanzi alla
storia, con veste nuova. Quel Napoli vincente di 23 anni fa, si esaltava dietro
la bacchetta di un mago argentino che riusciva a accellerare le menti ed i
corpi dei compagni come degli avversari. Si era rapiti da un totem, eroe di
popolo. Oggi, il Napoli vince, si fa applaudire, esalta, in Champions come in
campionato, con una programmazione pulita, coerente, seria, iniziata dalle
ceneri del 2004. Da quelle ceneri, e con l'aiuto di un ambizioso presidente, la
squadra partenopea ha ripreso una forma dignitosa, elaborando con contegno ed
umiltà, l'umiliazione di militare in categorie calcistiche inferiori.
Risorgimento
napoletano, quindi, dopo 8 anni si gioisce di un trofeo, che ha un valore
altamente simbolico, perché sancisce la bontà di una programmazione, inedita
nella storia della gestione « Calcio Napoli ». Programmazione che
incarna un modello di vittoria, senza l'urgenza salvifica dell'eroe. Un modello
che potrebbe essere valido per lo sviluppo delle potenzialità dell'intera
città-cultura, le quali vivono in un'equazione simbolico-affettiva,da anni.
Infatti,
pur avendo tre grandi campioni, questa coppa Italia, alzata al cielo, è frutto
del sudore di un collettivo unito e disciplinato. De Laurentis a tal proposito
dirà : « É il trofeo dei giocatori. Nel 2004 siamo rinati. Abbiamo
riportato la coscienza che Napoli esiste, Napoli è viva e Napoli sa vincere».
Un collettivo che si è rinforzato di anno in anno, seguendo logiche societarie
razionali e lucide. In questa nuova veste organizzativa, dove la passione si
sposa al raziocinio e all'intelletto, emergono sempre di più l'ebrezza e il
valore del rinascimento di una squadra-cultura-città, vissuto anche come
rivitalizzazione delle « radici identitarie ». Tante luci in una
serata di sport, però oscurate da quei fischi provenienti apparentemente dal
settore del tifo napoletano, durante il canto dell'inno nazionale. Tristi
fischi. Il fatto di sentire visceralmente il proprio Sé nella cultura
napoletana non dovrebbe minacciare o delegittimare quell'unità nazionale a cui
si appartiene come popolo italiano. Allora, si tenti di far
« co-esistere » nella coscienza della propria identità la voce di
Partenope e il bel volto dell'Italia. E se anche, ci si sente più «partenopei»,
si esprima in maniera civile, creativa e nuova, questa appartenenza senza
violenza e senza forme volgari di contro-razzismo. Proprio sull'esempio di
questa modernissima, elegante e vincente società sportiva che si chiama «SSC
Napoli».
Dr Alfonso
SANTARPIA
Ph.D, psicologo
Sigmund
Freud Institute Paris