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venerdì 29 febbraio 2008

la prima perdita record assoluta

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/06/25/1797-inter_2006_profondo_rosso.shtml

BILANCI & PLUSVALENZE
Inter, un 2006 da profondo rosso

Prende il via con l’esame dei conti dell’Inter prima in classifica, un’inchiesta di Quotidiano.net sui conti delle società di calcio di serie A e B. Un lungo viaggio fra 'imbellettamenti' contabili, sprechi di danaro, debiti a profusione

Milano, 29 gennaio 2007 - L’Inter ha concluso l’ultima stagione con un profondo rosso di gruppo pari a 181,4 milioni di euro. Per la prima volta, la società nerazzurra ha stilato il bilancio consolidato al 30 giugno 2006, comprendente oltre ai conti della capogruppo Fc Internazionale spa, anche quelli delle controllate al 100% Inter Futura e Inter Brand.
Come si legge nel documento disponibile in Camera di commercio, ciò è una “fotografia” finalizzata “a fornire una adeguata informativa sull’andamento economico e patrimoniale del gruppo”. Nel consolidamento sono state eliminate tutte le transazioni con le controllate, come la cessione dei marchi dall’Inter a Inter Brand, che ha fruttato alla prima una plusvalenza di 158 milioni, ed è stato stornato il loro ammortamento (7,9 milioni).
Con queste operazioni, il risultato finale della capogruppo èin passivo di “soli” 31,1 milioni rispetto ai 118,7 del 2004/05. Il consolidato presenta una serie di dati molto pesanti: il patrimonio netto era negativo per 122,8 milioni (contro +27,4 milioni di Inter spa), l’indebitamento bancario era di oltre 209 milioni (89,1 milioni in Inter spa). La maggior parte dell’indebitamento complessivo del gruppo è riposta in Inter spa, schiacciata dal peso di 424,4 milioni, in aumento del +54,1% rispetto ai 275,3 milioni del 2004/05.

Preoccupante lo squilibrio debiti-crediti pari a oltre 434 milioni , contro la disponibilità liquida di soli 35 milioni. L’indebitamento bancario di Inter spa è diminuito del 34,15% a causa della cessione dei marchi alla Inter Brand, avvenuta il 29 dicembre 2005 “per un corrispettivo di 158 milioni”. Contestualmente “è stata redatta la relativa scrittura di licenza d’uso dei marchi del valore complessivo di 160 milioni” di durata decennale.

Ma ci sono due problemi gravi. “La vendita dei marchi dall’Inter alla controllata Inter Brand – spiega l’avvocato Domenico Latino, specializzato in diritto civile e sportivo – configura l’ipotesi del contratto con se stesso: quindi per la legge è nulla, anche se irrilevante essendo maturata all’interno del gruppo”. In pratica, è come se il marchio fosse passato dalla tasca destra alla sinistra.
“Inoltre, l’Inter al termine del contratto di licenza d’uso – prosegue Latino – perderà il marchio. La società avrà tre alternative per evitarlo: può incorporare la Inter Brand, rinnovare l’accordo o riacquistare il marchio”. Secondo il documento contabile, l’operazione “ha consentito di ottenere da un primario istituto di credito un finanziamento a medio-lungo termine per 120 milioni”.
L’Inter rivela in seguito la banca, specificando che a garanzia del prestito è stato acceso il “pegno, a favore di Banca Antonveneta sul 100% delle quote sociali di Inter Brand”. C’è però da evidenziare che l’azionista di riferimento e presidente della società nerazzurra, Massimo Moratti, è anche consigliere esecutivo di Interbanca, banca d’affari di AbnAmro Antonveneta. Al riguardo potrebbe esserci un conflitto d’interesse per Moratti, che riveste il contemporaneo ruolo di banchiere e cliente.

La società di revisione Kpmg ha rilevato che “sull’Irap accantonata non è stata compresa l’imposta relativa alla plusvalenza di 158 milioni”. L’Inter, avvalendosi di un parere della Lega Calcio, ha ritenuto di non dover anche assoggettare all’Irap i 7,5 milioni di plusvalenze da cessione calciatori, nonostante una risoluzione contraria dell’Agenzia delle Entrate del 2001.

I debiti tributari, ammontati a 19,7 milioni, sono aumentati del 13,3%.Le plusvalenze sono state inserite nei ricavi, mentre nei costi sono state incluse le minusvalenze (848 mila euro), contravvenendo in via di principio al Codice Civile. I giocatori sono un bene: la loro vendita rientra nei proventi straordinari e non ordinari. Infine, l’Inter ha accantonato 111,8 milioni per l’ammortamento per svalutazione calciatori fatta con il “salvacalcio” al 30 giugno 2003: dovrà pagare l’ultima rata per lo stesso importo il 30 giugno prossimo.

Stando al verbale di assemblea che ha approvato il bilancio al 30 giugno scorso, l’Inter è controllata da un patto di sindacato. In esso il socio di maggioranza al 95% è Internazionale Holding (che ha rilevato di recente il pacchetto da Inter Capital, che è stata fusa per incorporazione in Inter spa) controllata da Massimo Moratti: l’altro socio è la panamense Minmet Financing Company della famiglia Giulini. In Internazionale Holding è presente un mistero nerazzurro, riguardante la società lussemburghese Hellas Sport International che ne possiede l’1,74%: il suo rappresentante legale è Jean Hoffmann.

Secondo il Journal Officiel del Granducato l’azionista di maggioranza della Hellas Sport è la Ihf-International holding & financial company con sede a Tortola, nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche. Chi ci sia dietro quest’ultima società non è possibile saperlo, protetto dietro il muro di gomma della località caraibica.

L’operazione di cessione dei marchi nerazzurri ha anche un altro risvolto. Nel paragrafo “rapporti con parti correlate” si legge che “la società ha iscritto nei costi per servizi un importo pari a 200mila euro relativo ad una consulenza fornita da un componente del consiglio di amministrazione di Inter Brand”.

L’Inter non specifica su quale oggetto sia stata fornita la consulenza e il nominativo del membro del cda della sua controllata. Misure della Camera di commercio alla mano, nel consiglio di Inter Brand siedono il presidente Angelomario Moratti, figlio di Massimo e vicepresidente dell’Inter, Accursio Scorza, consigliere della società milanese, e Jantra Giulini, membro della omonima famiglia presente nel patto di sindacato: uno di questi tre è il beneficiario della consistente cifra di 200mila euro.

L’importo è pari al 6,70% della voce “consulenze esterne”, pari a complessivi 2,98 milioni. Tra i costi della produzione dell’Inter spa, si segnala un incremento del 20% delle spese per servizi (da 39,2 a 47 milioni). In esse, si segnala il boom di quelle amministrative, passate da 9,1 a 12 milioni. Nonostante i due esercizi in rosso in cui è stato in carica, risultano in rialzo anche i compensi per l’ex amministratore delegato e direttore generale Mauro Gambaro da 450mila a 650mila euro.

In lieve calo (-1,84%) risulta il costo complessivo del personale , passato dai 144,35 milioni del 2004/05 ai 141,69 dell’ultimo esercizio. Le spese per tesserati sono calate dai 135,59 a 131,59 milioni, mentre quelle per gli altri dipendenti sono in aumento da 8,96 milioni a 10,10 milioni. Scomponendo i compensi ai tesserati si nota un robusto aumento per gli allenatori (da 6,11 a 10,42 milioni), mentre per i giocatori è in calo (da 118,45 a 105,85). Questi ultimi si sono ripagati con i premi rendimento (da 9,11 a 14,01 milioni).

Uno dei punti di forza della società nerazzurra, i “risconti passivi” (anticipo di ricavi futuri) è risultato in calo da 103,17 milioni a 44,46 milioni per il “decremento delle anticipazioni ricevute da società di factoring a fronte di contratti relativi a diritti televisivi”.

L'Inter vi ha sopperito in parte con l’aumento del 15% dei ricavi del conto economico, grazie soprattutto alla crescita della voce “sponsorizzazione proventi vari e altri ricavi” (da 140,26 a 174,98 milioni). In quest’ultima sono presenti per la prima volta i “diritti di prelazione e prima negoziazione” per 21 milioni stipulati con Rti per la stagione televisiva 2009-2010. Essi consentono alla società del gruppo Mediaset di sedersi per prima al tavolo delle trattative, per un tempo congruo, per stipulare il nuovo contratto della trasmissione criptata sul digitale terrestre. Per lo stesso motivo Mediaset aveva versato 20 milioni alla Juventus nel giugno 2004.

di Marco Liguori

indiscreto...su nerazzurri e aquilotti

http://www.indiscreto.it/indiscreto.nsf/ae8140bf6cc31ac3c12569a300629c7f/23ee07c73b08cf34c1256f67005e09b0?OpenDocument

14 febbraio 2006
Poca fiducia e tante fiduciarie

di Marco Liguori

www.indiscreto.it

Il bilancio al 30 giugno 2005 dell’Internazionale Football Club spa si è concluso con il “rosso” più elevato della sua storia, pari a 118,7 milioni di euro. Nella relazione del collegio sindacale si legge che è stato evidenziato «un patrimonio netto negativo (pari a -31,6 milioni) e di conseguenza la società si trova nella situazione prevista dall’art. 2447 codice civile». Ciò significa che la società doveva essere ricapitalizzata: il suo azionista di riferimento, Massimo Moratti, vi ha provveduto il 31 agosto scorso con un versamento come aumento di capitale di 35 milioni più un altro di 20 milioni «a copertura perdite». Un’attenta analisi nelle pieghe del bilancio nerazzurro, disponibile presso la Camera di Commercio, rivela però altri particolari più “piccanti” che contribuiscono al suo disastroso risultato finale. Al suo interno spiccano le minusvalenze «da cessione dei diritti alle prestazioni calciatori», ossia dalla vendita di 16 giocatori della prima squadra e 31 del settore giovanile per la prima parte della campagna acquisti fino al 30 giugno scorso.

Il loro importo è pari a 5,51 milioni a fronte di un valore netto contabile complessivo di 7,93 milioni ed è in crescita rispetto ai 2,78 milioni dell’esercizio precedente. In esso spiccano le minusvalenze per le risoluzioni dei contratti di Christian Vieri (617mila euro) e Giorgios Karagounis (314mila). Ancor più elevate quelle relative alle cessioni di Andy Van Der Meyde all’Everton (1,57 milioni) e Edgar Davids al Tottenham (2,6 milioni). L’Inter, al contrario di molte altre società di calcio che seguono i criteri civilistici di redazione del bilancio, non inserisce le minusvalenze da cessione calciatori negli oneri straordinari del conto economico, ma alla voce “costi della produzione”. Analogo discorso per le plusvalenze, inserite nella voce “valore della produzione” invece che nei “proventi straordinari”. Fino alla fine dello scorso giugno l’Inter ha ottenuto plusvalenze per oltre 14 milioni, in calo rispetto ai 22 milioni del 2003/04. Sono stati 4 i calciatori inseriti in questa voce: da Fabio Cannavaro l’Inter ha ottenuto 9,6 milioni, da Mohamed Kallon 4,3 milioni e da Nicola Ventola 119mila euro. Singolare la plusvalenza ottenuta da Youssouf Kone, ceduto al Fc Vittoria, pari alla “ricca” cifra di un euro.

Ma un’altra “perla” del bilancio della società presieduta da Giacinto Facchetti è quella riguardante le partecipazioni in due imprese controllate, l’Inter Futura srl e lo Spezia Calcio 1906 srl. Nella prima, l’Inter deteneva al 30 giugno scorso il 100%, mentre per la società spezzina la quota era del 98,67%. Stando a quanto dichiarato nel documento contabile, «il saldo pari a 2 euro rappresenta il valore di acquisto o di sottoscrizione della quota della Inter Futura srl e della quota dello Spezia Calcio 1906 srl al netto delle svalutazioni effettuate nell’esercizio». Dunque per ciascuna il valore è stato abbattuto a un euro. Un deciso salto all’indietro rispetto all’esercizio concluso al 30 giugno 2004, quando il 100% di Inter Futura valeva 10.329 euro. Ancora più pesante è stato il “taglio” per lo Spezia: infatti, l’anno prima l’Inter possedeva soltanto il 30% della società ligure che valeva ben 2,55 milioni.

Ma quali sono i motivi di una così drastica svalutazione di entrambe le partecipazioni? E’ sempre il bilancio dell’Inter a spiegarne i motivi. «Avendo entrambe le partecipazioni di controllo», si legge nel documento, «un patrimonio netto negativo alla data del 30 giugno 2005 si è ritenuto di svalutare completamente il valore di carico, mantenendo il valore simbolico pari a 1 euro per ciascuna partecipazione». Dunque, sia lo Spezia che l’Inter Futura si sono ritrovate nella stessa identica situazione di fine esercizio della loro controllante, con il patrimonio netto negativo e nella situazione prevista dall’art. 2447 del codice civile, ossia di dover essere ricapitalizzate. Il consiglio di amministrazione nerazzurro ha provveduto «ad accantonare nella voce “fondi rischi e oneri” la quota, pari a euro 1.700 migliaia per la Società Spezia Calcio e 243 migliaia per la società Inter Futura, delle perdite consuntivate nell’esercizio oltre il valore del patrimonio netto e di competenza della Società, ritenute non più recuperabili nel futuro». Nel bilancio dell’Inter sono riportati anche i dati numerici delle due controllate al 30 giugno 2005. Inter Futura aveva un capitale di 10mila euro, un patrimonio netto negativo per 243mila euro e un risultato di esercizio in rosso per oltre 254mila euro.

Tale perdita è stata provocata, si legge nella relazione sulla gestione, «da un aumento dei costi del personale e da un mancato incremento dei ricavi, quest’ultimo dovuto principalmente all’abbandono del progetto Thailandia» a causa del maremoto del dicembre 2004. Lo Spezia Calcio aveva ottenuto una perdita di esercizio per 7,35 milioni, un patrimonio netto negativo per 1,34 milioni a fronte di un capitale sociale pari a 2 milioni. Particolare curioso: lo Spezia aveva concluso il bilancio per l’anno 2003/04 con una perdita di poco più di 2 milioni e un patrimonio netto positivo per 199mila euro. Nonostante ciò, si legge nel bilancio chiuso al 30 giugno di due anni fa, il cda dell’Inter «non ha proceduto ad alcuna svalutazione della partecipazione, iscritta a bilancio a 2.550 migliaia, non ritenendo tali perdite di natura durevole sulla base del valore della società stessa, tenuto conto del valore del marchio, del bacino di utenza e del parco giocatori». Le speranze della società nerazzurra si sono infrante nell’esercizio successivo, quando a causa delle perdite elevate ha dovuto “retrocedere” completamente il valore della quota detenuta nella società ligure.

Nell’ultimo bilancio approvato si notano anche due altre partecipazioni di consistenza economica limitata, per complessivi 105mila euro: si tratta del 5% nell’Olimpia Basket srl (meglio conosciuta come Armani Jeans), di appena 60mila euro. Di valore più limitato è quella detenuta nel Consorzio Acquedotto La Pinetina : 19,5% pari a un 45mila euro. Riguardo all’acquisizione del controllo esclusivo dello Spezia Calcio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva aperto nel gennaio 2005 un procedimento istruttorio nei confronti dell’Inter. Secondo la documentazione presente sul sito internet dell’Authority, il garante aveva ipotizzato «la violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva delle operazioni di concentrazione». Sempre secondo l’organismo amministrativo, l’operazione era stata «realizzata nel novembre 2004». Il procedimento si era concluso il 27 aprile dell’anno scorso, quando il presidente Antonio Catricalà aveva ordinato all’Inter «di pagare, quale sanzione amministrativa per la violazione accertata, la somma di euro 5.000 per la mancata comunicazione dell’acquisizione del controllo esclusivo di Spezia Calcio 1906 srl». In seguito, la società nerazzurra ha deciso di cedere una consistente parte dell’azionariato detenuto nello Spezia.

Le trattative sono condotte con l’imprenditore calabrese (ma residente a Reggio Emilia) Giuseppe Ruggieri, amministratore unico della Italcantieri spa (posseduta in passato da Silvio Berlusconi) ed ex proprietario e ex presidente della Sanremese, con interessi di tipo edilizio in Liguria. L’Italcantieri, stando all’ultima visura disponibile presso la Camera di Commercio ha sede a Lacchiarella (presso Milano) e ha un capitale sociale di 5 milioni. L’operazione, stando al documento contabile interista, ha comportato ai primi di luglio 2005 la vendita all’Italcantieri del 60% della società ligure, al valore di 3,3 milioni: Ruggieri ha anche assunto la presidenza del club spezzino. Poco dopo, l’Italcantieri ha girato questo pacchetto alla sua società (posseduta al 100%) Gestioni Sportive e Immobiliari di Reggio Emilia, che secondo le visure è una srl con 10mila euro di capitale: Ruggieri ne è l’amministratore unico. L’Inter è rimasta ancora azionista dello Spezia con il 38,67% del capitale. Sembrerebbe quindi che tutto finisca qui, con la cessione del pacchetto di controllo dello Spezia: e invece no. Infatti, scorrendo le ultime visure disponibili della Camcom sulla catena di controllo di Italcantieri si ha una sorpresa.

La società milanese è posseduta al 95,6% dalla Matutia Holding, srl con sede a Stradella (Pavia) con 100mila euro di capitale: anche qui, Ruggieri compare come amministratore unico. A sua volta, la Matutia ha due principali azionisti: la controllante Ruggieri Immobiliare srl (capitale sociale 10.400 euro) al 65% e la Mava Immobiliare (10mila) al 32,5%. Giuseppe Ruggieri è il procuratore speciale della prima, che ha come attività «la compravendita di beni immobili dal 1/5/1992: una sua familiare, Anna Ruggieri, ne è l’amministratore unico. Quest’ultima ricopre il medesimo incarico societario anche nella seconda srl, che è attiva nella «locazione, vendita di beni immobili propri, sublocazioni dal 23/5/2002». La Ruggieri Immobiliare e la Mava Immobiliare hanno due elementi in comune: il primo è lo stessa sede di Reggio Emilia. Fin qui, nulla di strano: ma è il secondo elemento che costituisce la sorpresa. In ambedue, il loro azionista di controllo si nasconde dietro la Fiduciaria Emiliana , anch’essa con sede a Reggio Emilia. In particolare, la fiduciaria detiene per conto terzi il 99% sia della Ruggieri Immobiliare che della Mava Immobiliare: Anna Ruggieri ne possiede l’1% di entrambe. E chi potrebbe essere “l’azionista mascherato”? Non è dato saperlo, a causa dell’intestazione fiduciaria: si può ipotizzare allo stesso Ruggieri o chissà forse chi altro.

E’ l’ennesimo mistero dell’italica pedata. Insomma, nel caso dello Spezia siamo davanti a una catena di controllo che termina con una fiduciaria. Con il “velo” posto da quest’ultima si aggira il divieto imposto all’articolo 16 bis delle Noif, ossia «non sono ammesse partecipazioni o gestioni che determinino in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica o al campionato organizzato dal Comitato Interregionale». La norma è molto restrittiva, al punto da chiarire che «un soggetto ha una posizione di controllo di una società o associazione sportiva quando allo stesso, ai suoi parenti o affini entro il quarto grado sono riconducibili, anche indirettamente, la maggioranza dei voti di organi decisionali ovvero un’influenza dominante in ragione di partecipazioni particolarmente qualificate o di particolari vincoli contrattuali». In altre parole, se per pura ipotesi dietro alla Fiduciaria Emiliana, posta a capo della catena di controllo dello Spezia, si nascondesse Massimo Moratti, socio di riferimento dell’Inter che ha venduto il pacchetto di controllo del club ligure, ciò sarebbe vietato dalle Noif. Analogo caso sarebbe se dietro alla fiduciaria si nascondesse la Fininvest di Berlusconi, che possiede la quasi totalità del Milan.

Il regime del Codice di giustizia sportiva contempla sanzioni a carico delle società (previsto all’art. 13) e dei loro dirigenti e soci. Per i club si va dalla minima “pena” dell’ammonizione, sino all’esclusione dal campionato di competenza, con conseguente retrocessione alla serie inferiore: nel caso della conquista del titolo di campione d’Italia, può essere revocato. Il Codice prevede anche per i club «la non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni». Per i dirigenti e gli azionisti, l’articolo 14 del Codice prevede la sanzione lieve dell’ammonizione, sino ad arrivare all’inibizione temporanea o la squalifica a tempo determinato sino a un massimo di cinque anni. Nei casi più gravi è stata prevista «nei confronti del dirigente, socio di associazione o tesserato, la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della Figc». Le “punizioni” ci sono e sono anche severe. Tuttavia sembrano moltiplicarsi i casi di mascheramento dietro fiduciarie dei padroni del calcio: ma alla Covisoc, deputata ai controlli di rito, e in Figc lo sanno? Non sarebbe il caso di aggiornare l’articolo 16 bis delle Noif?

giovedì 28 febbraio 2008

recensioni del libro "il pallone nel burrone"


Il pallone nel burrone
Come i maggiori imprenditori italiani hanno portato il calcio al crac
di Salvatore Napolitano e Marco Liguori

Editori Riuniti - febbraio 2004

Sotto il bilancio niente
di Stefano Olivari
E no scusate. Adesso che il Corriere della Sera mette in prima pagina una notizia contro i grandi potentati finanziari, nel caso Moratti, vendendo il meccanismo delle plusvalenze calcistiche come una novità, non si può urlare 'Dove eravate?' a tutta la stampa italiana. Perché molti cronisti, non necessariamente eroi, delle acrobazie finanziarie dei grandi club parlano e scrivono da anni, guardati con compatimento da chi ha un registro etico solo: giustificare i giocatori almeno fino a quando non vengono ceduti all'estero (in quel momento si trasformano in mercenari), massacrare l'allenatore, esaltare la generosità e la signorilità del presidente.
Chi si ricorda dei presidenti che stringevano un 'patto fra galantuomini' con Calisto Tanzi? Qualcuno di loro rischia di fare la stessa fine. O dei giornalisti che consideravano Cragnotti un genio, un innovatore che avrebbe fatto ricadere i frutti del suo lavoro sull'obsoleto mercato italiano? Se hanno investito in azioni Lazio o in bond Cirio rischiano di dover lavorare fino a 102 anni, con o senza scalone. Troppo facile sparare adesso sui due maghi della finanza (la loro), la cui meritata caduta in disgrazia è stata amplificata dalla visibilità calcistica. Molti altri dirigenti del pallone, da Moratti a Galliani, si sono comportati e si stanno comportando, per quanto riguarda le attività sportive, secondo gli stessi schemi morali e contabili, fra plusvalenze gonfiate, operazioni oscure, giocatori strapagati, mediatori che appaiono e scompaiono. Da società a società cambiano solo le dimensioni del buco, e qualche tecnica ragionieristica, ma la logica è una sola: mascherare il disastro finanziario e rimandare al futuro il pagamento dei debiti reali. Siamo preparati all'ondata di libri sul crack del calcio, anche perchè presto molte squadre potrebbero essere solo un ricordo, e non vorremmo che quanto uscirà venga confuso con il lavoro che Marco Liguori e Salvatore Napolitano fanno da anni, con pochissimi imitatori, cercando di spiegare che cosa stia dietro allo sport più amato dagli italiani. Un lavoro ben conosciuto dai lettori del Manifesto, di Diario, del Sole e di molte altre testate (ci mettiamo anche Indiscreto? E mettiamocelo), che è stato fissato in un libro uscito nel 2004 ma attualissimo, 'Il pallone nel burrone - Come i maggiori imprenditori italiani hanno portato il calcio al crac' (Editori Riuniti), che spiega nel dettaglio, con tecnicismi ridotti al minimo e soprattutto con la necessaria ironia, il modo in cui manager e capitani d'industria da decenni riveriti e omaggiati dai giornali e tivù (anche perchè spesso li possiedono o possono intervenire su chi li possiede), oltre a ingannare il parco buoi della borsa italiana, hanno beffato tifosi, creditori e più di tutti lo Stato italiano, con artifici contabili che gli autori, in pura funzione antiquerela, definiscono 'creatività'.
Il libro è diviso in nove capitoli, mettendo insieme fatti e analisi ignoti alla maggioranza dei giornalisti sportivi, in parecchi casi facenti parte del parco buoi della Borsa italiana, tanto che in molte redazioni fino a qualche mese fa si parla più di covered warrant che dei pezzi da scrivere. Liguori & Napolitano raccontano i retroscena dell'asse Juventus-Milan, spezzatosi dopo le note vicende, e del falso mito delle grandi società che potrebbero vivere di diritti televisivi, se solo stessero da sole. Poi si va a parare sul mondo di Capitalia e su tutta la galassia di società da essa di fatto controllate o che comunque da Capitalia hanno ricevuto prestiti (ma guarda, ci sono anche Inter e Milan...). Viene spiegato il meccanismo delle plusvalenze, ricordando casi clamorosi, con quasi tutte le grandi società nella duplice veste di vittime e complici. In uno dei capitoli più sorprendenti, almeno per chi parla per sentito dire, si prende un bilancio ufficiale della Juventus, pronta a sparare sul doping finanziario degli altri ma indulgente verso sè stessa, e si nota come sia stato aggiustato solo tramite plusvalenze immobiliari con una sua controllata. La materia sembrerebbe ostica, ma Liguori & Napolitano scrivono per il pubblico, dedicando la parte in assoluto più esilarante, pur nella sua gravità (non dimentichiamo che lo Stato creditore alla fine sarebbero i cittadini), alla Lazio dell'epoca. Non tanto per i debiti e i problemi, quanto per gli effetti reali dello strombazzato, dai giornali di area, piano Baraldi, che non è stato altro che la riproposizione del vecchio schema: rimandare il pagamento dei debiti al futuro, mettendo delle toppe al presente facendo opera di convincimento sui creditori principali (i giocatori). Con la semplice lettura del bilancio, poi, e non per mezzo di una seduta spiritica, si nota che l'ultimo bilancio firmato da Cragnotti, il 30 giugno 2002, aveva evidenziato perdite per 103 milioni di euro circa, mentre in quello della stagione successiva, nonostante il regalo del decreto spalmaammortamenti, le perdite erano a quota 121.
Il libro è da leggere tutto di fila, perchè fatti e personaggi di cui ci occupiamo in maniera frammentaria, messi insieme costituiscono un affresco del marcio italiano da tramandare ai posteri, una specie di Cappella Sistina del cialtronismo, con il calcio nella sua consueta veste di metafora (tanto può essere metafora di tutto). Le banche che sostengono personaggi impresentabili, i misteri della ormai defunta (?) Gea, i mille processi, oltre ai trucchi per rendere presentabile una situazione contabilmente e moralmente da buttare già da anni, con la malafede che in molti casi si mescola all'incompetenza. Il libro conferma almeno uno dei luoghi comuni ai quali ci aggrappiamo, per mascherare la nostra ignoranza, e cioè che nell'ultimo decennio Massimo Moratti sia stato in Italia quello che ha perso di più a livello finanziario con il calcio. Segno di passione, visto che il peso maggiore delle ricapitalizzazioni è gravato sulle sue spalle, ma anche modello gestionale da studiare nelle scuole per non seguirlo. Insomma, non c'era bisogno di aspettare il gennaio 2007 per capire come i grandi club mettano a posto i bilanci, con metodi ai confini della realtà e spesso anche della legge. Liguori & Napolitano spiegano perchè il calcio italiano sia arrivato a questo punto di non ritorno, e già questo basterebbe per consigliare la lettura del libro, anche se ovviamente non si parla delle ultime due stagioni. Senza invettive, senza pistolotti politici (non a caso si parla molto di Milan ma poco di Berlusconi), con la forza di tanti piccoli particolari, si spiega poi perchè non potranno essere i dirigenti attuali a rifondarlo: per questo andrebbe regalato agli improvvisati risanatori, mendicanti gli aiuti di Stato, ed ai cantori delle loro gesta. Per liberarci di un certo modo di gestire la Juventus sono servite tonnellate di intercettazioni del dirigente che si credeva il più furbo dell'universo, quello che avendo la squadra nettamente più forte taroccava lo stesso il campionato, per le altre grandi società siamo ancora fermi al giornalismo da bar, quello del genere 'Moratti, Berlusconi e Sensi con i loro soldi possono fare quello che vogliono'. Speriamo in una seconda edizione, ma anche in un calcio senza campionati e partite già scritti.
Tratto da http://www.settimanasportiva.it/Terza/175/pallone, Libri veramente letti, 19.01.07

Il mondo del calcio assomiglia sempre più al Titanic. Mentre il transatlantico si avvicina pericolosamente agli scogli, a bordo si continua a far festa, tanto la nave è inaffondabile. Questo è ciò che pensano i dirigenti del calcio che sono anche tra i maggiori imprenditori italiani.
tratto dalla redazione RAI di "Chetempochefa", maggio 2006

Uno spettro si aggira per il mondo del pallone: lo spettro della licenza Uefa! Dall'edizione 2004-2005 chi vorrà partecipare alle competizioni internazionali dovrà avere i conti in ordine, pena l'esclusione immediata, comminata dal massimo organismo del calcio europeo: "Così è, se vi pare", avrebbe detto Luigi Pirandello!
Un vero guaio per le società italiane; ma, come si dice, la speranza è ultima a morire. E il cappello a cilindro dei dirigenti del nostro calcio è una batteria di allevamento di conigli in piena regola: molti ne sono usciti, altrettanti aspettano il loro turno.
A caccia del toccasana, il presidente federale, Franco Carraro, è stato categorico, parlando il 15 novembre 2003 in un albergo romano: "Rivedremo le norme economiche per l'ammissione delle squadre ai campionati, le adegueremo a quelle che richiederà l'Uefa per le coppe. Le nuove norme dovranno essere poi fatte rispettare in primo grado dalla Covisoc, che stiamo per rifondare, e in appello da un nuovo organismo esterno alla federazione, che chiamerei Corte di appello economico finanziaria".
Strano che la "rifondazione carrarista" non abbia previsto anche una sorta di Cassazione economico finanziaria: un terzo grado di giudizio non guasta mai, anche perché, alla Figc, ne hanno introdotto persino un quarto nel caso Catania dell'estate 2003. È impossibile criticare i proponimenti del numero uno federale, ma è altresì doveroso ricordare che il suo è un ritornello troppe volte pronunciato dai capi dell'arte pedatoria.
Meno di un anno prima, e cioè il 27 dicembre 2002, lo stesso Carraro aveva dichiarato solenne al Corriere della Sera: "Tagliamo le spese per salvare il calcio. Il 2002 è stato orribile, ma io sono ottimista: il nostro sport piace sempre di più e troveremo una soluzione". Mai giudicare orribile qualcosa, perché, se la situazione si deteriorasse ulteriormente, verrebbero inevitabilmente a scarseggiare gli aggettivi per descriverla ancora.
E il 2003 è stato senz'altro peggiore del 2002. dunque, norme nuove, certe, rigorose e uguali per chiunque. "Tutto molto bello" commenterebbe Bruno Pizzul, telecronista di centinaia di partite. C'è, tuttavia, il solito particolare da rilevare, ben sapendo di essere purtroppo venuti a noia: le regole esistono già e sono ferree, però le parti più indigeste sono perennemente accantonate. Lunedì 28 aprile 2003 il Consiglio federale aveva approvato le nuove NOIF [Norme Organizzative Interne Federali, ndr]; e, nella sede della Federazione, il tono era ultimativo: "Il prossimo luglio saranno certamente applicate!" Ma di certo c'è solo la morte. E infatti passarono soltanto poche settimane per veder procrastinare al luglio 2004 l'entrata in vigore dei punti maggiormente rigidi, prescritti dall'ultimo testo delle NOIF all'articolo 89: l'assenza al 30 aprile di debiti verso Erario, tesserati ed Enti previdenziali nonché il rispetto di due parametri; quello classico del rapporto tra i ricavi e l'indebitamento non inferiore a tre e quello nuovo, costituito da un altro rapporto, stavolta tra il patrimonio netto e l'attivo patrimoniale, che deve risultare non inferiore a 0,5. Se le regole fossero state applicate per davvero, i tifosi avrebbero dovuto cercarsi un altro passatempo domenicale (...)
tratto da: http://sapere.virgilio.it/extra/078/licenza.html
Pag. 197, Euro 12,00 – Editori Riuniti (Primo piano) ISBN 88-359-5489-4



"Il pallone nel burrone": ma il calcio è ancora un gioco?
Salvatore Napolitano e Marco Liguori, autori del saggio, ci spiegano perché lo sport più popolare in Italia sia diventato un affare colossale e come si siano potuti aprire baratri finanziari impensabili nelle casse delle maggiori società. E la domanda che ci si pone inevitabilmente è questa: ci si può ancora appassionare per quello che ormai è prevalentemente un business? Leggiamo le loro risposte e cerchiamo di imparare ad essere “tifosi consapevoli”.
Avete scritto un libro su di un argomento molto importante e di stretta attualità, ma di cui i giornali parlano davvero poco: perché avete scelto proprio un tema come questo?
Perché ci sembrava che il sistema stesse andando allegramente verso lo sfascio economico-finanziario: così, poco più di un anno e mezzo fa abbiamo deciso di occuparcene, prima sul settimanale Bloomberg Investimenti, poi sul Manifesto, dove scriviamo tuttora, per verificare se la nostra impressione fosse vera. I dati sono ormai sotto gli occhi di tutti, ammesso che li si vogliano vedere.

Perché allora i quotidiani danno poco spazio a questo problema?
Cominciano a occuparsene progressivamente di più e in maniera meno facilona.
Tanta strada c'è ancora da fare, perché probabilmente il calcio funge come una sorta di tranquillante di massa e dunque a molti appare poco opportuno indagare a fondo, anche perché tanti tifosi danno l'impressione di non voler sapere. E i tifosi sono anche lettori, oltre al fatto che diversi proprietari di squadre contano, e molto, nei giornali.

Non vorrei che raccontaste l'intero libro, ma in sintesi quali possono essere le cause di fondo di tali voragini economiche?
Le grandi squadre storiche Juventus e Milan e, un gradino sotto, l'Inter, hanno spinto la competizione dal punto di vista dei costi a livelli tali che solo chi ha le spalle protette dal punto di vista economico-finanziario e politico può reggere a lungo. Si scrive Juventus, Milan, Inter, ma si legge Fiat, Fininvest, Saras-gruppo Pirelli.

Grandi società, grandi imprenditori, eppure si contano a decine di miliardi i debiti societari: ci sono responsabilità anche da parte dei tifosi?
L'unica colpa dei tifosi, se si vuol definirla tale, è quella di appassionarsi ancora a un gioco impari. Ma ormai sono stati ridotti, soprattutto quelli che vanno allo stadio, a un ruolo marginale: Juve e Milan incassano ormai solo circa il 15% del loro fatturato totale dalla vendita dei biglietti e degli abbonamenti. Se però si convincessero che, lasciando vuoti gli stadi, scapperebbero anche tv e sponsor, potrebbero far valere il loro potere per chiedere una competizione più equa.

Perché sono state fatte delle leggi apposite? che cosa c'entra con uno sport il mondo della politica?
Le leggi vengono fatte per mettere toppe ad un vestito sdrucito e per non affrontare radicalmente la questione. Il calcio non è più da tempo uno sport ma un puro affare economico, un 'business' per dirla con un anglicismo in voga; la politica è entrata nel momento in cui lo spettacolo si è trasformato, come detto in precedenza, in tranquillante di massa. Senza dimenticare che il presidente del Consiglio è contemporaneamente il presidente del Milan, che utilizza come suo biglietto da visita vincente. E che il presidente della Federcalcio è anche un banchiere, siede infatti sulla poltrona di presidente di Mcc, banca d'afffari del gruppo Capitalia.

Vedete qualche via d'uscita o ormai il sistema è in sé malato?
La via d'uscita sarebbe quella di redistribuire le risorse e di slegare le squadre dalla forza dei loro azionisti di maggioranza, riducendo al contempo i costi in modo drastico. In altre parole, chi oggi ha il potere dovrebbe accettare l'idea di cederne gran parte: non è questa la direzione verso cui si va; basta vedere la velocità con la quale Juve, Milan e Inter hanno rinnovato con Sky il loro contratto per la cessione dei diritti tv criptati, in scadenza il 30 giugno 2005.
intervista rilasciata a http://www.librialice.it/news/primo/napolitano-liguori.htm

mercoledì 27 febbraio 2008

Liberomercato 27 febbraio 2008 pagina 12

Calcio & finanza

Tre derivati con Unicredit
per il Brescia Calcio
Bilancio sotto di 8 milioni


Marco Liguori
Dopo il Verona (Liberomercato del 7 novembre scorso) anche il Brescia Calcio ha utilizzato i derivati. Nel bilancio al 30 giugno 2007 depositato in Camera di Commercio della società guidata dall’amministratore unico Luigi Corioni, militante nel campionato di serie B, vi sono tre contratti. Nel documento non si accenna alla banca con cui sono state svolte le operazioni, inserite alla voce “conti d’ordine”. Liberomercato ha contattato Attilia Ferrari, procuratore speciale delle “rondinelle”: il dirigente ha spiegato che l’istituto in questione «è Unicredit Banca». Nella tabella collocata nella nota integrativa è sottolineato che è stato sottoscritto un “sunrise swap” il 20 giugno 2003, con scadenza al prossimo 24 giugno, per un importo di 11,5 milioni di euro. Il secondo derivato è un “knock in forward” stipulato il 26 luglio 2005 per un valore di un milione di dollari Usa, con scadenza al 16 giugno prossimo. In questo giorno terminerà il “currency option”, anch’esso per un milione di dollari, firmato dal Brescia sempre il 26 luglio di tre anni fa. Al contrario delle operazioni poste in essere dal Verona, la valutazione mark to market, ossia il costo nominale di mercato al 30 giugno, risulta essere positiva per il “sunrise swap” per oltre 456mila euro e per il “knock in forward” per una cifra di poco superiore alle 382mila euro. Soltanto il “currency option” è in perdita per poco più di 19mila euro. Secondo la nota integrativa «il valore nozionale dei derivati in essere consiste in euro 11.500.000 ed in dollari 2.000.000, il cui fair value in estinzione al 30 giugno 2007 era pari a euro 1.480.933». Sempre nel testo si spiega che i derivati sono stati «utilizzati con finalità di copertura rischio cambio». Nella gestione finanziaria del conto economico, negativa per 1,57 milioni (-1,97 milioni del 2005/06), si nota un rosso per 1,16 milioni per interessi e altri oneri finanziari e 478mila euro per perdite su cambi. La società specifica che queste ultime «sono state tutte realizzate e sono pertanto di competenza diretta dell’esercizio».
Il bilancio 2006/07 si è concluso con una perdita di 8,26 milioni: in precedenza era di 751mila euro. La motivazione dell’incremento è riportata nella relazione sulla gestione: «non aver ceduto nel corso dell’annata 2006/07 i calciatori più importanti e richiesti dal mercato per poter mantenere una squadra competitiva» per poter puntare nel 2007/08 alla «promozione in serie A». I ricavi, pari a 15 milioni (+31,30%), sono stati inferiori ai costi, ammontati a 21,76 milioni (-6,1%), per 6,7 milioni: dato in discesa dagli 11,7 milioni del 2005/06. Al conto economico mancano i 13,4 milioni di plusvalenze calciatori realizzate al 30 giugno 2006: nello scorso esercizio hanno raggiunto appena i 510mila euro, con le cessioni di Santoni allo Spezia (500mila euro), Settembrino al Carpenedolo (10mila) e Pezzana al Siena (290 euro). I proventi tv (5,2 milioni) sono aumentati oltre un milione. Tra i costi si segnala il drastico calo di 1,06 milioni dei salari e stipendi (8,2 milioni).
Riguardo allo stato patrimoniale i crediti, pari a 18 milioni, hanno superato i debiti, pari a 17,6 milioni. Tra questi si nota il forte incremento di quelli con le banche, passati da 1,97 a 4,58 milioni. Il Brescia ha illustrato i rapporti con la controllante al 95% Brescia Service (il rimanente è di Corioni), e con la capogruppo Sportinvest (controllata da Nazionale Fiduciaria e Solofid Fiduciaria). Con la prima possiede debiti per finanziamenti postergati per 3,8 milioni e crediti commerciali per 11,7 milioni derivanti dalla cessione del marchio avvenuta nel 2005. Invece con Sportinvest ha un debito finanziario di 1,12 milioni.

lunedì 25 febbraio 2008

comunicato fnsi su vicenda ifatti.com

http://www.fnsi.it/Default.asp?key=7716&SINGA=S

Licenziati quattro giornalisti dell’agenzia ‘iFatti.com’
La Fnsi: “Incredibile ed inaccettabile decisione dell’editore”


22/02/08
“Quattro giornalisti dell'agenzia di stampa ‘iFatti.com’, edita dalla società napoletana Edizioni Senzaprezzo, sono stati licenziati su due piedi. La decisione della società è tanto più grave in quanto è avvenuta a seguito di un incontro a Roma, chiesto più volte, con il direttore della testata finalizzato all'osservanza dei più elementari diritti: pagamenti degli stipendi, organizzazione del lavoro e mancate contribuzioni ad Inpgi e Casagit.
Invece di rispondere alle richieste dei colleghi l’Edizioni Senzaprezzo ha avviato le procedure di licenziamento dei giornalisti. La Fnsi ed i colleghi contestano la decisione dell’editore come atto inaccettabile, irresponsabile e lesivo della dignità professionale al di fuori da ogni legge e regola. La Federazione Nazionale della Stampa è al fianco dei colleghi e si riserva di agire nei confronti dell’Edizioni Senzaprezzo in tutte le sedi competenti per impedire gli ingiusti licenziamenti e per far riconoscere ai collaboratori dell’agenzia di stampa ‘iFatti.com’ il loro reale rapporto di lavoro e le loro giuste competenze”.

sabato 23 febbraio 2008

400mila euro per il regista e per la figlia del petroliere, 116mila per l'ideatore pubblicitario

Liberomercato 23 febbraio 2008

Le consulenze di Moratti

Salvatores e Toscani
per il lifting dell’Inter


Il regista realizzerà un film sull’attività sociale del club, il fotografo rifarà il marchio. Allo studio un nuovo stadio

Marco Liguori

Consulenze ben retribuite e un nuovo stadio per la "beneamata". Nel bilancio di Inter Brand, la società proprietaria dei marchi dell’Inter da questa interamente controllata, chiuso al 30 giugno scorso con una perdita di 60mila euro, sono citate due illustri presenze del mondo dello spettacolo e della comunicazione. Si tratta di Gabriele Salvatores e Oliviero Toscani. Il famoso regista è socio pariteticamente al 25% assieme a una delle figlie del presidente Massimo Moratti, Maria Carlotta, e due altri azionisti nella Red House Produzioni, costituita secondo le visure della Camera di Commercio il 4 maggio scorso ossia dodici giorni dopo la conquista anticipata del quindicesimo scudetto interista. La relazione sulla gestione di Inter Brand, presieduta da AngeloMario Moratti (rampollo di Massimo e consigliere di Inter spa), spiega che è stata elargita a Red House la somma di 100mila euro quale "acconto, della somma onnicomprensiva di 400.000 euro" per la "realizzazione di un documentario avente a oggetto l’attività sociale e di promozione del gioco del calcio svolta nel mondo tramite il programma Intercampus estero". Inter Brand riceverà entro il 31 marzo prossimo il film dalla società di Salvatores e della Moratti, che lo preparerà a proprie spese: i contributi a essa versati da sponsor alla "dovranno essere eventualmente detratti dal compenso". Invece la "Oliviero Toscani progetto La Sterpaia" ha ottenuto l’incarico "di realizzare un nuovo marchio da lanciare per il "Centenario" di Fc Internazionale Milano". Alla voce "ratei e risconti" dell’attivo patrimoniale è indicata per questa consulenza la somma di 116mila euro.
Nella relazione è riportato l’incarico a "un professionista per lo sviluppo di un progetto che verifichi la possibilità di costruire un nuovo stadio". Inter Brand non ne specifica il nome: spiega che "la durata è di 36 mesi". L’idea, accarezzata più volte da Massimo Moratti, comporta la realizzazione "di un impianto moderno, funzionale, all’interno del quale implementare al meglio le sinergie rivolte alla massimizzazione dei ricavi attraverso un migliore esercizio dei diritti di sfruttamento economico legati alla miglior valorizzazione dei marchi Inter".
Il bilancio di Inter Brand mostra anche un rapporto consolidato con Rcs. Tra i 137 milioni della voce "ratei e risconti passivi", ossia anticipo ricavi futuri (in gran parte canoni per licenza d’uso del marchio Inter verso la controllante), è indicata una cifra totale di 559mila euro versata da Rcs Quotidiani, riferita "a due contratti di licenza del marchio per la produzione e la commercializzazione di Dvd e medaglie dorate celebrative dell’Inter" con scadenza 2012. Inoltre, tra gli oneri diversi di gestione è evidenziata una transazione con Rcs Sport per 150mila euro, per il rimborso forfettario dei costi sostenuti "per l’organizzazione di un grande evento di fine stagione sportiva 2006/07 allo Stadio Meazza di Milano a tacitazione di ogni e qualsiasi danno subito in conseguenza del suo annullamento".
Invece, il bilancio della consolidante Internazionale Holding, comprendente oltre alla capogruppo Internazionale Holding spa anche Fc Inter spa, Inter Brand e Inter Futura, si è chiuso con un rosso di 216 milioni, influenzato in particolare dalla perdita di 206,8 milioni della società calcistica. La catena di controllo della Holding nerazzurra è saldmente nelle mani di Massimo Moratti, affiancato da Cmc con 1,87% e al’1,74% dalla lussemburghese Hellas Sport International. Quest’ultima, secondo il Journal Officiel del Granducato, è controllata dalla Ihf Company avente sede a Tortola, nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche. Ma chi c’è dietro questo velo societario internazionale? Allo stato attuale, non è dato saperlo.

una squadra nella tempesta

il Manifesto 05/03/2003

Lazio nel vortice dei debiti

MARCO LIGUORI
SALVATORE NAPOLITANO

Altro che partita di oggi contro la Juventus: i veri problemi sono altri. Ma in casa Lazio sono ormai abituati agli acquazzoni, sicuri di avere degli ombrelli molto robusti, che nel passato hanno permesso alla società di uscire perfettamente asciutta dai più violenti scrosci d'acqua: gli ombrelli di fabbricazione Capitalia, con il marchio Mediocredito centrale e Federcalcio. In altre parole, Cesare Geronzi e Franco Carraro, giusto per ricordarlo agli smemorati. Per questo motivo, anche l'annuncio della società di certificazione, la Deloitte & Touche, che ha di fatto bocciato il bilancio allo scorso 31 dicembre, dicendosi impossibilitata a esprimere «un giudizio professionale di revisione sulla relazione semestrale», è stato accolto con sostanziale indifferenza ai piani alti di Formello. «Tranquilli, è tutto sotto controllo. Sono solo tecnicismi» ha dichiarato l'amministratore delegato Luca Baraldi. Peccato che i conti dicano tutt'altro. E lo dicano ormai da molti mesi. Se fosse un giocatore, Baraldi meriterebbe ampiamente il cartellino rosso: da settimane, e con l'assenso complice della stampa sportiva, il dirigente non perde occasione per ribadire che dall'approvazione del piano di conversione di cinque mensilità di stipendi in azioni dipenda la salvezza della società. Poi qualche ultrà ci crede ed espone degli striscioni minatori nel campo di allenamento, etichettando come «traditori» e «mercenari» i riottosi all'accordo. Ma basta fare due semplici calcoli per rendersi conto che non è così. Il risparmio di circa 20 milioni di euro, garantito nel caso in cui tutti i calciatori sottoscrivessero il piano Baraldi, è una goccia nell'oceano dei debiti della Lazio: secondo i dati comunicati il 30 aprile alla Consob, l'indebitamento finanziario netto al 31 marzo è di 85,6 milioni, mentre i debiti verso tesserati, Erario ed enti previdenziali sono saliti a 125,7 milioni. E non è l'ammontare totale del passivo. Non è finita qui: diverse voci del bilancio della Lazio nascondono altri buchi. La Deloitte, che qualche tremore deve conservarlo visto che aveva approvato il bilancio 2001 della Cirio, controllante della Lazio, successivamente impugnato in Tribunale dalla Consob (l'organismo di controllo delle società di Borsa), ha dovuto ribadire ciò che aveva affermato nella revisione al bilancio al 30 giugno 2002: l'esistenza di una situazione di «squilibrio finanziario in quanto le passività correnti superano in misura significativa le attività correnti». La Deloitte ha anche osservato che, tra i fondi rischi, la Lazio ha accantonato 2,23 milioni di importo per il debito Irap, ma non le relative sanzioni. Ed ha puntualmente rilevato che la pronta adesione al decreto cosiddetto «salva calcio» ha comportato una svalutazione dei diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori per 196,1 milioni: tutto lecito in base alla legge varata in gran fretta dal Parlamento a febbraio, ma un buco aggiuntivo in piena regola, secondo la teoria della contabilità. In merito all'applicabilità della norma, si attendono lumi dalla Commissione europea. C'è di più: tra i crediti verso società del gruppo Cirio spiccano ormai da fine giugno importi per circa 30 milioni vantati verso Cirio Immobiliare, Cirio Agricola e Cirio Ricerche, che sono, direbbero i tecnici, delle partite «incagliate», ossia di improbabile riscossione. E nessun accantonamento è stato effettuato per i 36,3 milioni richiesti dalla società olandese Van Doorn, in pendenza di giudizio davanti al Tribunale di Amsterdam per un vecchio contratto di sfruttamento dell'immagine dell'ex bandiera Alessandro Nesta. Insomma, anche i 110 milioni dell'aumento di capitale, servirebbero a ben poco: sono cose che Geronzi, unico a poterlo sottoscrivere, conosce alla perfezione. C'è un ultimo problema sul versante giudiziario: già all'inizio della prossima settimana potrebbe essere depositata l'istanza di fallimento da parte di Ivan De La Pena, l'ex che reclama ancora circa 3 milioni di dollari. Sarebbe la terza volta per il calciatore spagnolo, che aveva ritirato le due precedenti. E' facile ipotizzare che il Tribunale di Roma non accoglierà benevolmente questi continui giochetti dilatori da parte della Lazio. Baraldi non è certo responsabile del disastro dei conti biancocelesti: ma fino a quando vorrà correre il rischio di un'eventuale futura azione di responsabilità nei confronti degli amministratori? Il 30 giugno, data di chiusura del bilancio annuale, è già dietro l'angolo. Ma i guai arrivano anche dal versante sportivo: certo, il fatto che il numero uno della Federcalcio, Franco Carraro, sia anche il presidente di Mediocredito Centrale, secondo azionista della Lazio, ha fatto sì che le calcolatrici della Covisoc, la commissione che vigila sull'ammissione delle società ai campionati professionistici, funzionassero lo scorso anno in modo alquanto approssimativo. Ma da quest'anno sarà più difficile distrarsi: il Consiglio Federale ha infatti approvato lunedì scorso, nel silenzio generale, le nuove norme di ammissione ai prossimi campionati: sono disposizioni più severe delle precedenti. Stavolta saranno applicate? Secondo la nuova versione dell'articolo 89 delle Norme Organizzative, «costituiscono condizioni per l'iscrizione al campionato» il rispetto del rapporto ricavi/indebitamento non inferiore a 3 e quello, nuovo di zecca, patrimonio netto contabile/attivo patrimoniale non inferiore a 0,5. Per la Lazio il primo viaggia da tempo intorno a 0,45, il secondo, al 31 gennaio, era a 0,005. Ammesso e non concesso che Capitalia sottoscriva l'aumento da 110 milioni il rapporto salirebbe non oltre 0,25. Non è mica finita: un'altra condizione è l'assenza al 30 aprile di debiti scaduti nei confronti di tesserati, Erario ed Enti previdenziali. La Lazio è già fuori: alla Covisoc basterà semplicemente leggere i dati richiesti dalla Consob. Dulcis in fundo, l'articolo 88 richiede l'obbligo di certificazione dei bilanci: cosa che la Deloitte non ha fatto, né allo scorso 30 giugno, né allo scorso 31 dicembre. Serve altro?
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il pallone in confusione

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