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giovedì 13 marzo 2008

un fardello molto pesante

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/04/26/7953-battaglia_campale_lotito.shtml

I CONTI DEL PALLONE

La battaglia campale di Lotito
contro l'eredità di Cragnotti


I debiti pregressi sono la zavorra dei conti della Lazio: la parte più gravosa riguarda quelli di natura non finanziaria e bancaria


di Marco Liguori
Bologna, 24 aprile 2007 - I debiti pregressi sono la zavorra dei conti della Lazio: la parte più gravosa riguarda quelli di natura non finanziaria e bancaria. Secondo quanto dichiarato dalla società a pagina 77 della semestrale al 31 dicembre 2006, "rispetto al 30 giugno 2006, i debiti, al netto dell’esposizione verso banche, sono aumentati di euro 12,28 milioni passando da euro 139,57 milioni a euro 151,16 milioni". I vertici biancocelesti spiegano che "la variazione è dipesa principalmente dall’incremento verso società calcistiche".
La situazione debitoria della Lazio è costantemente monitorata dalla Consob, l’organismo di vigilanza sulle società quotate in Borsa, che ha richiesto al club romano sin dal 27 novembre 2002 di effettuare comunicazioni mensili al riguardo. Secondo l’ultima di esse, datata al 28 febbraio scorso, la società presieduta da Claudio Lotito aveva un indebitamento non finanziario di 148,92 milioni, di cui 9,52 milioni scaduti.
In questa cifra molto pesante e preoccupante (corrisponde a oltre 288,34 miliardi di vecchie lire) spiccano i debiti fiscali. La Lazio ha sottoscritto il 20 maggio 2005 un accordo con l’Agenzia delle entrate per rateizzare oltre 140 milioni comprendenti sia le somme non versate (108,78 milioni) per Irpef e Iva, sia gli interessi legali. L’intesa prevede il pagamento in 23 rate da 5,65 milioni ogni 1° aprile, una da 5,67 pagata contestualmente alla sottoscrizione e una aggiuntiva da 5,23 milioni da onorare il 1° aprile 2009. Gli importi, comprensivi di interessi in misura legale e sanzioni, sono garantiti dagli incassi della biglietteria. Secondo la comunicazione al mercato del 28 febbraio scorso, la società deve rimborsare ancora 100,68 milioni: a ciò si aggiungono 1,8 milioni per ritenute Irpef. Nella semestrale è indicato il costo di questo accordo: alla voce “oneri verso terzi” è indicato che essi "sono costituiti da interessi passivi maturati sul debito tributario rateizzato per euro 1.259 migliaia".
Tutto sistemato dunque con il fisco? Non proprio. Nella sua semestrale al 31 dicembre scorso, la Lazio ha comunicato di aver "ricevuto due avvisi di accertamento aventi ad oggetto la rettifica in aumento dei redditi imponibili relativi agli esercizi chiusi al 30 giugno 1999 e 2000, rispettivamente per euro 1,97 milioni e euro 11,56 milioni". La società ha spiegato che questi accertamenti non hanno prodotto ulteriore Irpeg, "compensata dalle perdite dei cinque anni precedenti" e alcuna somma relativa all’Irap. Tuttavia il fisco ha svolto una serie di contestazioni precise alla Lazio. Le prime due riguardano "la mancata tassazione ai fini Irap delle plusvalenze derivanti dalle cessioni" dei calciatori e "l’inerenza dei costi relativi ai procuratori sportivi". Seguono "il riparto dei diritti televisivo in chiaro" da parte della Lega Calcio e quello "dei diritti televisivi a pagamento". Tra i rilievi dell’Agenzia delle Entrate ci sono anche "la fatturazione delle vendite ed acquisizioni delle compartecipazioni dei calciatori", "il riconoscimento della quota del 10% dell’incasso di biglietteria alla società ospitante" e "i contratti di immagine". La società ha proposto ricorso presso la Commissione tributaria provinciale di Roma.
E proprio riguardo all’Irap sulle plusvalenze da cessione calciatori la Lazio ha ribadito di non dovere nulla al fisco. La società ha infatti aderito all’impostazione fornita dalla Lega calcio il 23 maggio scorso, secondo cui "ritiene di non dover assoggettare ai fini Irap le plusvalenze generate dalla cessione dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori". Ciò è stato stabilito "nonostante l’orientamento contrario espresso dall’Agenzia delle Entrate con risoluzione del 19 dicembre 2001 n. 213". Davvero una decisione niente male.
Con essa si è arrivati nel nostro Paese a un principio assurdo: il parere di un’associazione privata di categoria, com’è la Lega Calcio, prevale su quello espresso da uno dei principali enti pubblici, come quello deputato alla riscossione dei tributi. La Lazio specifica che l’adesione alla sanatoria fiscale 2002, che è stata estesa automaticamente anche al’Irap, ha sanato ogni questione sull’imposizione sino al 30 giugno 2001. Ma resta ancora da definire il periodo d’imposta 2001/02 e i seguenti fino al 30 giugno 2005: la società ha accantonato un ammontare nel fondo rischi e oneri, pari a 5,08 milioni nel caso in cui dovesse versare l’Irap sulle plusvalenze calciatori al fisco. Tuttavia, questa somma non è comprensiva di sanzioni e interessi: secondo il club biancoceleste "l’importo minimo ammonterebbe ad euro 1,46 milioni".

E dai debiti tributari si passa a quelli finanziari. Quelli verso le banche ammontano al 31 dicembre scorso a 4,82 milioni, contro i 5,17 del bilancio annuale chiuso al 30 giugno 2006. Riguardo ad essi, la Lazio ha ottenuto dalla Banca di Roma (gruppo Capitalia) un’anticipazione su credito Iva per 2,23 milioni. Riguardo alle passività con altri finanziatori, la società romana "al fine di ridurre il rischio liquidità", il quale è "collegato alla difficoltà di reperire fondi per far fronte agli impegni", ha provveduto a formalizzare un fido di 68,4 milioni, cedendo alla Italease Factorit i crediti futuri che si origineranno con Sky Italia nella stagione 2006/07 per 21,60 milioni e Rti (gruppo Mediaset) nella stagione 2007/08 per 46,80 milioni. La Lazio ha comunicato che "tali cessioni non hanno comportato ad oggi alcuna anticipazione finanziaria". Ciò vuol dire che il fido è stato concesso, ma probabilmente non ancora utilizzato: quando lo sarà, saranno ricavi futuri già spesi.

La Lazio ha anche debiti con gli enti previdenziali per 673mila euro, contro gli 844mila rispetto al bilancio annuale chiuso al 30 giugno scorso. Ma esiste anche una somma in sospeso di 20,27 milioni verso un'altra serie di creditori. I debiti più significativi riguardano i 13,22 milioni nei confronti di tesserati e dipendenti, incluse nel cosiddetto “piano Baraldi” che ha soltanto spostato nel tempo le somme dovute dal luglio 2003 a giugno 2005 in 36 rate a partire dal 1° luglio 2005. A proposito dell’ex amministratore delegato e direttore generale, Luca Baraldi, è in corso un procedimento giudiziario dinanzi al tribunale civile per la sua liquidazione di 1,07 milioni netti. La somma era dovuta nel caso in cui il dirigente avesse raggiunto al 31 agosto 2003 una riduzione degli emolumenti netti dei calciatori pari al 25% rispetto all’inizio della stagione 2002/03. La Lazio ha contestato a Baraldi il raggiungimento dell’obiettivo e pretende la restituzione della somma e il risarcimento del danno contributivo e fiscale. La causa è prossima alla decisione.

L’altra cifra riguarda i 5,3 milioni, in aumento dai 4,6 milioni del precedente esercizio annuale, dovuta nei confronti dei procuratori di calciatori e osservatori: la fetta più rilevante riguarda gli italiani che devono ricevere ancora 2,58 milioni, seguiti da quelli del resto d’Europa con poco più di 2 milioni. Inoltre, esistono ancora pendenze con ex amministratori per 765mila euro.

I debiti commerciali correnti hanno superato i corrispondenti crediti commerciali per 2,78 milioni. Essi sono aumentati dai 9,46 milioni al 30 giugno 2006 ai 10,68 milioni del primo semestre. Sono costituiti soprattutto da debiti verso fornitori nazionali per 4,42 milioni: tra essi si notano i 2,83 milioni dovuti dal Coni per l’utilizzo dello stadio Olimpico. Inoltre, nel totale debitorio sono compresi 6,2 milioni per fatture da ricevere: gran parte di esse riguardano "i compensi dell’attività di consulenza ed assistenza legale ottenuta dalla società in esercizi precedenti".

il presidente non ce l'ha fatta

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/04/18/6334-lazio_flop_dell_lotito.shtml

I CONTI DEL PALLONE

Lazio, i flop dell'Opa di Lotito

L’offerta pubblica di acquisto totalitaria obbligatoria lanciata il 27 dicembre 2006 sul capitale della società biancoceleste sul listino di Borsa si è chiusa il 31 gennaio 2007 con un flop

Marco Liguori

Roma, 17 aprile 2007 - Il presidente Claudio Lotito non ce l’ha fatta. L’offerta pubblica di acquisto totalitaria obbligatoria lanciata il 27 dicembre 2006 dalla sua società, la Lazio Events azionista di riferimento della Lazio, sul capitale della società biancoceleste collocato sul listino di Borsa si è chiusa il 31 gennaio 2007 con un flop. Infatti, secondo quanto comunicato dalla società biancoceleste il 3 febbraio scorso, sono state «apportate n. 7.307.791 azioni ordinarie di S.S.Lazio, pari al 10,788% del capitale sociale, per un controvalore complessivo di Euro 2.923.116,40». Una percentuale molto bassa, considerato che oggetto dell’opa erano 33.514.556 azioni ordinarie, pari al 49,476% del capitale sociale. Dopo l’offerta, la Lazio Events possiede il 61,312% della squadra romana che resta ancora quotata a Piazza Affari.

Stando a quanto comunicato dalla Lazio nel prospetto informativo dell’operazione, quest’ultima era stata obbligatoriamente approntata in seguito all’acquisto sul mercato, avvenuto il 2 novembre scorso, del 14,609% del capitale della Lazio da parte di Lazio Events. In questo modo, la società posseduta dal presidente del consiglio di Gestione Claudio Lotito aveva raggiunto il 44,5% della squadra capitolina, superando così il tetto del 30% imposto dal Testo unico sulla finanza per il lancio dell’opa. A copertura dell’intero pagamento di tutte le azioni, la Lazio aveva ottenuto una linea di credito da Unicredit Banca d’Impresa. Se l’offerta si fosse conclusa con l’acquisto di tutti i titoli, la Lazio sarebbe stata cancellata dal listino di Borsa.

Quali potrebbero essere state le motivazioni del fallimento dell’operazione? C’è un primo argomento riguardante il suo prezzo. Molti piccoli azionisti avranno forse svolto i classici conti della serva: l’opa è stata lanciata a 0,40 euro, 20 centesimi in meno rispetto al valore nominale delle azioni. Dunque, era poco conveniente aderirvi.

Ma c’è un altro argomento che taglia la testa al toro. Chi ha acquistato i titoli al collocamento nel maggio 1998, le ha pagate 5900 lire (3,05 euro circa). Si può tranquillamente immaginare che un tifoso di una società di calcio sia un “cassettista”, ossia un azionista fedele che custodisce gelosamente i propri titoli. Quindi, ha molto probabilmente aderito ai quattro aumenti di capitale e al raggruppamento azionario succedutisi nel corso di questi nove anni. I primi due incrementi dell’era Cragnotti sono rispettivamente avvenuti nell’ottobre del 2000 (una azione nuova ogni tre a 3,2 euro) e nel giugno 2002 (7 azioni ogni 10 possedute a 0,85 euro). Gli altri due sono avvenuti nel giugno 2003 (14 titoli ogni 1 a 0.05 euro) e nel maggio 2004 (8 titoli ogni 1 al prezzo di 1 euro).

Nel febbraio 2004 è stato effettuato il raggruppamento di una azione ogni 100 possedute. Dopo tutte queste operazioni straordinarie, se il piccolo azionista avesse partecipato all’opa avrebbe perso di conseguenza il 98,12% del suo capitale iniziale. Da notare che l’indice telematico Mibtel della Borsa Italiana ha ottenuto dal primo giorno di quotazione della Lazio sino alla conclusione dell’offerta pubblica un incremento del 36.66%.
Piccola curiosità. Stando sempre al documento informativo sull’opa, se si esclude il presidente del consiglio di gestione, ossia Lotito che ne detiene la maggioranza, si nota che tra l’altro membro dello stesso organismo, Marco Moschini, e gli altri del consiglio di sorveglianza (cinque membri più due supplenti), soltanto un componente di quest’ultimo, Giovanni Gilardoni, possiede 20.646 azioni. Non sarebbe stato meglio che ciascuno di loro acquisisse un consistente quantitativo di titoli, anche per dare un segnale decisamente positivo agli azionisti-tifosi?

Pisanu che passione!

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I CONTI DEL PALLONE

Lotito, Sensi e De Laurentiis
i presidenti ipocriti


E’ cosa nota che spesso i presidenti delle società di calcio inveiscono con gli arbitri per gli episodi controversi di una partita. Però alcuni di essi si sono scagliati già otto mesi fa contro un "giudice di gara" dal tutto particolare: il decreto Pisanu

Marco Liguori

E’ cosa nota che spesso i presidenti delle società di calcio inveiscono con gli arbitri per gli episodi controversi di una partita. Però alcuni di essi si sono scagliati già otto mesi fa contro un "giudice di gara" dal tutto particolare: il decreto Pisanu, emanato dal governo Berlusconi il 17 agosto del 2005 e convertito in legge nei primi giorni di ottobre dello stesso anno. Questa levata di scudi contro "l’iniqua" disposizione del precedente esecutivo è stata sollevata da tre numeri uno del mondo del pallone nostrano: il presidente della Lazio, Claudio Lotito, e quello del Napoli, Aurelio De Laurentiis.
Anche la Roma ha intonato i toni della protesta contro la legge antiviolenza. Un atteggiamento un po’ discordante, dopo i gravi disordini di Catania di venerdì 2 febbraio, rispetto alla richiesta di usare il pugno di ferro contro la violenza negli stadi. Le "grida manzoniane" dei tre dirigenti sono contenute nei loro bilanci annuali, chiusi al 30 giugno dell’anno scorso.
Il motivo della protesta? Ovviamente la riduzione del numero degli spettatori allo Stadio Olimpico e al San Paolo. Il decreto Pisanu è additato da tutti e tre tra i principali motivo della disaffezione dei tifosi. Ma rendere gli stadi più sicuri dai teppisti non dovrebbe aumentare l’affluenza?
Leggendo la relazione sulla gestione della Lazio, firmata da Lotito, la risposta sembra negativa. "Il numero complessivo di spettatori per le partite di campionato disputate in casa – si legge nella relazione – è stato di 522.763 contro i 718.747 della passata stagione (-27,27%). In particolare il numero degli abbonati è diminuito da 543.646 a 350.599 e gli spettatori paganti sono diminuiti da 175.101 a 172.164".
La spiegazione di questa forte flessione è presto spiegata da Lotito. "Si tratta di un fenomeno di tutte le società legato alle nuove normative antiviolenza – prosegue il testo della relazione – alla corrispondente diffusione televisiva a basso costo degli incontri sportivi e dalla necessità di adeguati impianti sportivi". E meno male che Lotito aveva affermato lo scorso 5 febbraio in un’intervista a Repubblica Tv che occorre un impatto forte e immediato, con una legge dura come successo in Inghilterra, che impedisca il ripetersi della violenza".
Riguardo alla diffusione dello spettacolo tv a basso costo, il presidente biancoceleste ha dimenticato che, stando all’ultimo bilancio annuale, i ricavi da diritti televisivi costituiscono circa il 40% sul totale del valore della produzione. Gli incassi da biglietteria ricoprono appena l’11,30%. Sarebbe meglio che si ricordasse anche che l’Olimpico vuoto non interessa alle televisioni: farebbe meglio a incentivare i suoi tifosi.

Dalla sponda laziale si passa a quella romanista: ma la musica non cambia. Nella relazione sulla gestione della Roma, firmata da Franco Sensi, si legge che "la campagna abbonamenti per la stagione 2005/2006 ha registrato 26930 sottoscrittori, in flessione rispetto ai 35229 abbonamenti della stagione sportiva precedente, che hanno generato incassi per 9,9 milioni di euro (13,5 milioni nella trascorsa stagione) e ricavi di 8,6 milioni di euro (11,6 milioni nell’esercizio precedente)".
E di chi è la colpa di questo repentino calo? "Tale flessione, generalizzata per la quasi totalità delle squadre – prosegue il testo della relazione – è attribuibile in parte alle nuove disposizioni emanate dal Ministero degli Interni in materia di sicurezza ed accesso agli stadi, che hanno tra l’altro introdotto il c.d. "biglietto nominativo", rendendo maggiormente elaborato il procedimento di emissione e di utilizzo dei titoli di accesso". Quindi, anche per Sensi è colpa "dell’arbitro Pisanu" se la gestione di biglietti e abbonamenti è complicata e ha allontanato i tifosi giallorossi dalla loro squadra del cuore.
Eppure lo Stadio Olimpico, com’è stato attestato in questi giorni, è perfettamente rispondente alla normativa antiviolenza: ma l’equazione "sicurezza-maggiore affluenza" non piace. Stando ai documenti contabili, la Roma verserà alla Coni Servizi (proprietaria dell’impianto) 1,5 milioni, in 36 rate mensili a decorrere dal 30 settembre 2006. Invece, la Lazio pagherà 964mila euro per la sua quota.

E si arriva così all’ombra del Vesuvio. Anche nel caso del Napoli, gli "alti lai" sulla normativa antiviolenza sono, per dirla alla John Wayne, forti e chiari. Nella relazione sulla gestione al bilancio 2005/06 (in cui la squadra militava in C1), firmata dal presidente Aurelio De Laurentiis, dal vicepresidente Jacqueline Baudit (consorte del presidente), e dal consigliere Valentina De Laurentiis (sua figlia), si sottolinea che "i ricavi derivanti dalla vendita di titoli di ingresso per le gare interne della prima squadra hanno raggiunto l’ammontare di circa euro 4100000". Un calo del 26,36% rispetto ai 5,6 milioni della stagione precedente.
Ed ecco la solita spiegazione, unita stavolta a un pizzico di soddisfazione. "Tale dato, anche se in flessione rispetto all’esercizio precedente, soprattutto a motivo delle complicazioni di accesso agli stati indotte dal decreto Pisanu che hanno in prima battuta spinto molti tifosi a disertare gli stadi medesimi, è di assoluto rilievo se si considera che è stato conseguito nonostante l’applicazione di tariffe estremamente ridotte e nell’ambito di una stagione caratterizzata da una enorme perdita di spettatori negli stadi riscontrata a livello nazionale".
La dirigenza napoletana non fornisce cifre riguardo ai lavori per l’adeguamento alla normativa antiviolenza, ma fa solo accenno "alla sottoscrizione con il Comune di Napoli dell’atto che regolamenta l’effettuazione degli interventi previsti nel decreto Pisanu". La società sottolinea che "ha provveduto a realizzare la recinzione esterna allo stadio prevista dalla norma citata ed a intraprendere le attività di progettazione e ricerca inerenti la realizzazione del sistema di controllo accessi".

A questo punto s’impone una riflessione. Non sarebbe stato meglio per la Lega calcio dialogare con il Governo nei giorni dell’agosto 2005, immediatamente precedenti al varo del decreto Pisanu, esponendo le proprie esigenze e i problemi derivanti dalla sua applicazione?
Non si sarebbe di certo arrivati alla situazione di emergenza attuale, con soli sei stadi in regola e con l’obbligo di giocare a porte chiuse per gli altri. Ma forse i presidenti erano impegnati, con la stagione appena iniziata, a realizzare ricavi al botteghino e a lottare all’ultimo sangue per strappare un contratto alle televisioni con cifre plurimilionarie.

a volte ritornano...

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GEA WORLD

Cosa fanno Chiara Geronzi e Alessandro Moggi?


Marco Liguori

Che cosa fanno oggi Chiara Geronzi e Alessandro Moggi, due dei principali protagonisti della galassia Gea?
La figlia del presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, oltre a essere giornalista al Tg5, ha ricevuto, stando al bilancio finale di liquidazione stilato dal liquidatore Riccardo Calleri (che ha ottenuto come socio l'importo netto di 175mila euro), una cospicua somma di circa 450mila euro dalla liquidazione, deliberata nel febbraio 2005, della General Athletic: la cifra comprende 324mila euro per le 32.400 azioni detenute nella Gea, oltre 79mila euro per contante in cassa ed oltre 46mila per crediti verso l'erario per Iva e Irap.

Stando all'elenco soci depositato in Camera di Commercio, la Geronzi è stata iscritta il 25 novembre 2003 come unico socio dell'Immobiliare Giolitti srl. Ciò coincide con la notizia della vendita del 100% di questa società, avvenuta nel novembre 2003, riportata nel bilancio consolidato del Gruppo Beni Stabili.
Secondo l'ultimo bilancio disponibile al 31 dicembre 2005, l'Immobiliare Giolitti ha un capitale sociale di 98.800 euro e ha chiuso in attivo con poco più di 7.400 euro: l'amministratore unico è Ivan Vecchietti, che ricopre anche l'incarico di sindaco supplente nella General Athletic. Nel documento contabile spicca un debito bancario per oltre 1,8 milioni, costituito da mutui passivi, a fronte di un valore della produzione di 988mila euro. La srl è proprietaria di uno stabile residenziale sito in Via Tevere 5b a Roma, a pochi passi dalla sede dell'Aia (di proprietà del Fondo di accantonamento delle indennità di fine carriera per i giocatori e gli allenatori di calcio) e da quella della Figc in via Gregorio Allegri. Stando a quanto dichiarato da Beni Stabili nel bilancio 2003, «Immobiliare Giolitti aveva acquisito, nel corso dell'esercizio, l'immobile di via Tevere da un'altra società del gruppo al prezzo di vendita concordato con l'acquirente della partecipazione».

Interpellata da Quotidiano.net, Beni Stabili fa sapere che «il prezzo di vendita dell'immobile è stato di € 5.2 milioni». Invece, Alessandro Moggi è socio e amministratore unico della Undici srl (ex Alessandro Moggi Consulting), socio al 10% della Licom srl in liquidazione, e socio di maggioranza al 49% della Management &
Productions International srl. Visure camerali alla mano, la Undici è stata costituita il 10 ottobre 2005, ha un capitale sociale di 10mila euro: curiosamente ha sede allo stesso indirizzo della Gea, in Vicolo Barberini 35. Suo oggetto sociale principale è «la consulenza, in area commerciale, di marketing management» e «la consulenza organizzativa» in vari settori: ma non in quello calcistico.
Invece, una delle attività della Management & Productions International (con sede a Napoli) è «il mangement di attività di squadre e sportivi professionisti, compresa l'attività di procuratore sportivo». La società è stata «costituita il 3/11/2000» e «iscritta nella sezione ordinaria il 21/2/2006» della Camera di Commercio di Napoli: ne è amministratore unico il socio di minoranza Enrico Mauro. Gli altri due soci sono la moglie di Alessandro Moggi, Fabrizia Lonardi, e Raffaele Barca. Secondo l'ultimo bilancio disponibile al 31 dicembre 2005, la società ha chiuso con un attivo di 63mila euro: possiede debiti pregressi per 463mila euro (in aumento di 129mila rispetto all'esercizio precedente) di cui 22mila circa nei confronti del fisco e oltre 25mila verso Inail e Inps.

moggi padre, moggi figlio e la Juve

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/04/26/8267-juventus_moggi.shtml

GEA WORLD

La Juventus e Moggi

Marco Liguori

Riguardo alla Gea World, la Juventus ha confessato il rapporto d'affari e il conflitto d'interessi tra Moggi padre e Moggi figlio. A pagina 42 del bilancio chiuso al 30 giugno 2006, nel paragrafo dedicato alle operazione con società controllate e altre parti correlate, è stata inserita una nota riguardante la società presieduta da Alessandro Moggi: quest'ultimo ne è tuttora socio al 45% tramite la Football Management. Dopo la messa in liquidazione volontaria votata dall'assemblea del 18 luglio 2006, c'è stato un passaggio di quote Gea dalla General Athletic a Riccardo Calleri, diventato socio al 22,6%, e a Chiara Geronzi, che ne possiede il 32,4%.
Nel documento della società bianconera si evidenzia che la Gea "è stata parte correlata fino al 16 maggio 2006, data delle dimissioni dell'ex direttore generale Luciano Moggi".

Tradotto dal freddo linguaggio di Borsa, l'espressione "parte correlata" significa che la società di procuratori calcistici aveva un rapporto professionale continuativo con la Juve. La "confessione" dei bianconeri riguarda quindi il rapporto tra Luciano Moggi e l'azienda presieduta da suo figlio Alessandro, terminato, guarda caso, proprio con l'uscita di scena di Moggi senior: entrambi trattavano fra loro la compravendita dei calciatori.
Ciò è anche supportato dal dettaglio dei poteri di papà Luciano, specificati minuziosamente nel bilancio al 30 giugno 2005 della Juve.

Oltre ad essere direttore generale, egli era anche consigliere di amministrazione con poteri esecutivi, così come lo erano l'amministratore delegato Antonio Giraudo e il vicepresidente Roberto Bettega: tutti e tre partecipavano anche alla stesura del bilancio e hanno partecipato a tutte le riunioni del consiglio d'amministrazione. Inoltre lo stesso Cda aveva dato a Luciano Moggi, con delibera in data 4 settembre 2001 e confermata il 28 ottobre 2003, "specifici poteri nell'ambito delle competenze sportive".

Alla Gea World sono stati versati 970 mila euro, per il solo esercizio 2005/06, "in occasione di operazioni riguardanti la gestione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori". Tuttavia la Juventus risulta debitrice verso la Gea per 550mila euro e nei confronti della controllante di quest'ultima, la Football Management,
per 110 mila euro.

Che c'entra Mancini?

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I CONTI DEL PALLONE

Tutti i segreti della Gea

Mancini non c'entra con la fiduciaria che era azionista della società dei procuratori sotto inchiesta per Calciopoli. Alessandro Moggi, Chiara Geronzi, Franco Zavaglia, Francesca Tanzi, Giuseppe De Mita, Riccardo Calleri: così è nata ed è finita la più potente agenzia che monopolizzava il calciomercato

di Marco Liguori

Milano, 19 febbraio 2007. - "Mancini, che aveva il 40% della Gea, sapeva del caso Telecom". Queste "parole e musica" eseguite da Luciano Moggi (nella foto) domenica 11 febbraio nella trasmissione televisiva "Buona Domenica" hanno riaperto uno dei principali filoni di Calciopoli, quello della Gea World, la società di procuratori sportivi (posta in liquidazione dal 1° agosto 2006) fondata nel 2000 e detenuta da un pugno di "figli di papà".

Le indagini dei Pm romani, Maria Cristina Palaia e Luca Palamara, si sono concluse alla fine della scorsa settimana con la richiesta di rinvio a giudizio per l’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata all’illecita concorrenza con minaccia e violenza privata per sette indagati.
Essi sono: Luciano Moggi (ex consigliere di amministrazione e direttore generale della Juventus), suo figlio Alessandro (ex presidente della Gea; i due insieme nella foto), Franco Zavaglia (ex amministratore delegato della Gea), Davide Lippi (figlio dell’ex ct della nazionale Marcello e procuratore della Gea), Riccardo Calleri (socio Gea), Pasquale Gallo e Francesco Ceravolo (ex collaboratori di Luciano Moggi).

Invece, l’ex presidente del Perugia, Luciano Gaucci, è indagato solo per illecita concorrenza. I due Pm hanno chiesto l’archiviazione per Giuseppe De Mita (ex socio e direttore generale della società di procuratori) e di Chiara Geronzi (ex presidente e socio della Gea), in un primo tempo coinvolti per lo stesso reato associativo.

Quest’ultima, durante un interrogatorio reso in veste di indagata alcuni mesi fa davanti ai magistrati inquirenti aveva dato la sua spiegazione per difendersi dalle ipotesi accusatorie. "Soci fondatori siamo stati io, Francesca Tanzi, Andrea Cragnotti e Giuseppe De Mita. Le quote societarie erano queste: il 20% lo detenevo io, il 20% la Tanzi, il 20% Cragnotti e poi c’era un 40% in mano alla società Romafides, fiduciaria composta da Giuseppe De Mita e Roberto Mancini".

Una versione in parte contraddittoria con quella fornita da "big Luciano" in tv: quanti erano i soci mascherati dietro il 40% detenuto da Romafides? Uno solo o molteplici?

A questo proposito, bisogna svolgere alcuni chiarimenti sull’affare Gea. L’azionariato riferito dalla Geronzi ai magistrati è quello della General Athletic, una controllante della Gea World. I soci di quest’ultima erano fino al 29 aprile 2003: 45% Football Management (60% Alessandro Moggi, 40% Zavaglia), 45% General Athletic e 10% Riccardo Calleri.
Un particolare mistero era presente nell’azionariato della General Athletic fino all’autunno di poco più di tre anni fa. Secondo l’elenco soci storico depositato in Camera di Commercio, l’azionariato era proprio quello descritto dalla Geronzi, con la presenza dell’azionista di maggioranza Romafides.
Quest’ultima è una fiduciaria posseduta al 100% da Capitalia, il potente gruppo bancario di cui è presidente il padre di Chiara, Cesare Geronzi. Il suo compito, come quello di qualsiasi altra fiduciaria, è quello di tenere celato a terzi il reale (oppure i reali) possessori della quota allora detenuta nella General Athletic.

Chi poteva essere il personaggio (o i personaggi), il cui nome doveva restare un inconfessabile segreto? Una spiegazione a questo enigma avevano cercato di fornirla due senatori della Lega Nord, Piergiorgio Stiffoni e Francesco Tirelli, in un’interpellanza presentata il 13 novembre 2002 all’allora ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Giuliano Urbani e a quello dell’Economia, Giulio Tremonti.
In essa, i due esponenti del Carroccio avevano chiesto se i due componenti del governo Berlusconi non ritenessero "che una società come la Gea World abbia, volendo, la possibilità di interferire sulle partite del calcio professionistico".

Ma, soprattutto, si avanzava il dubbio che nella Gea World avesse «probabilmente avuto quale fondatore anche il figlio del presidente della Federcalcio»: ossia Luigi, rampollo dell’allora presidente della Figc, Franco Carraro. Questo sarebbe stato, stando alle ipotesi di Stiffoni e Tirelli, lo scomodo segreto celato da Romafides.
L’interpellanza suscitò forti malumori nella maggioranza di centrodestra e nel governo: non ebbe l’effetto sperato di sapere chi ci fosse dietro la fiduciaria.

Con tutta probabilità, sull’onda di questo "fastidioso" chiacchiericcio, il 29 aprile 2003 Romafides tolse il disturbo dall’azionariato della General Athletic: uscirono di scena anche Andrea Cragnotti e Francesca Tanzi.
Al posto dei fuoriusciti entrarono, ciascuno con una quota del 26%, Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco "notabile" della Margherita, e Oreste Luciani, uomo di fiducia della famiglia Tanzi. Prima azionista diventò Chiara Geronzi con il 46%, mentre Riccardo Calleri ne possedeva il 2%. Da notare che, De Mita era stato nominato direttore generale della Lazio il 1° settembre del 2003, trovandosi in un chiaro conflitto d’interessi.


Conoscere chi c’era dietro a Romafides non è il semplice soddisfacimento di una curiosità morbosa. Ciò scioglierebbe un pesante dubbio, rimasto finora tale. Conoscere chi c’era dietro a Romafides non è il semplice soddisfacimento di una curiosità morbosa. Ciò scioglierebbe un pesante dubbio, rimasto finora tale: se fosse confermata la presenza del figlio dell’ex numero uno della Figc, starebbe a significare che il calciomercato, e di conseguenza, il mondo del pallone nostrano è stato dominato e monopolizzato tra il 2000 e il 2006 da un’accolita di figli illustri, o meglio ancora, dai loro padri potenti.

«C’erano quantomeno delle strane connessioni tra sistema bancario, industria del latte, esposizione per i diritti televisivi del calcio e un giro vorticoso di calciatori gestiti sempre dagli stessi nomi». Questa interpretazione del sistema-Gea fu data lo scorso maggio (quando scoppiò lo scandalo di calciopoli) dall’onorevole Bruno Tabacci, in cui si era imbattuto nel 2004, ai tempi dell'indagine parlamentare conoscitiva su Cirio e Parmalat.
L’esponente dell’Udc sottolineò anche che durante l'indagine parlamentare fu «molto incuriosito dalle modalità di compravendita di Crespo e Nesta».

Dunque, suonerebbe strano il coinvolgimento di Roberto Mancini, che secondo Luciano Moggi e Chiara Geronzi, sarebbe dietro lo scudo della fiduciaria. C’è anche un altro particolare che fa riflettere sulla posizione dell’attuale allenatore dell’Inter.
Secondo l’informativa dei Carabinieri che accompagna il testo delle intercettazioni, pubblicata sul "Libro nero del calcio" del settimanale L’Espresso, Mancini è indicato come un assistito Gea: sembrerebbe singolare che contemporaneamente fosse stato anche azionista occulto della società.

Anche la presenza di De Mita dietro Romafides avrebbe poca importanza: non avrebbe avuto alcun senso per il figlio di Ciriaco nascondersi prima e palesarsi dopo nell’azionariato della General Athletic.
Per dissipare questo enigma potrebbe essere opportuno ai fini delle indagini l’acquisizione della copia della documentazione relativa alla controllante della Gea presso Romafides. In questo modo, si potrebbe davvero stabilire se la «Gea non era altro che il braccio operativo del sistema Moggi», come ha affermato l’ex patron del Bologna, Giuseppe Gazzoni Frascara, che sta attendendo la conclusione delle indagini dei due sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci, per costituirsi parte civile.

Lazio batte Baraldi 2 milioni a zero

da http://qn.quotidiano.net/2007/05/03/9607-giudice_lavoro_stanga_baraldi.shtml

I CONTI DEL PALLONE

Il giudice del lavoro stanga Baraldi
Dovrà restituire alla Lazio 2 milioni


La sezione del lavoro del tribunale civile di Roma ha sentenziato in primo grado che l'ex amministratore delegato e direttore generale dovrà restituire oltre 2 milioni di euro, oltre alle complessive spese di giudizio
di Marco Liguori

Roma, 3 maggio 2007 - La Lazio ha vinto la causa promossa contro Luca Baraldi. La sezione del lavoro del tribunale civile di Roma ha sentenziato in primo grado che l'ex amministratore delegato e direttore generale dovrà restituire oltre 2 milioni di euro, oltre alle complessive spese di giudizio. E' questo l'epilogo di una vicenda anticipata da www.quotidiano.net nella puntata sulla Lazio dell'inchiesta "I conti del pallone" che durava dal luglio 2004, data in cui la Lazio aveva proposto il ricorso presso l'autorità giudiziaria. Scendendo nel dettaglio, stando a una nota emessa dalla Lazio sul suo sito www.sslazio.it, il 2 maggio scorso il giudice del lavoro ha dichiarato «non dovuto il premio incassato dal Baraldi in virtù del contratto del 29 gennaio 2003».

Secondo la sentenza, l'ex dirigente laziale dovrà restituire alla società presieduta da Claudio Lotito ben 1,89 milioni, oltre agli interessi legali. Inoltre il magistrato, si legge sempre nella nota della società, «ha riconosciuto
il diritto della società alla restituzione dei contributi previdenziali versati all'Inps in occasione del pagamento di detto premio, pari ad euro 207.263,84». Adesso, bisognerà vedere se Baraldi impugnerà in appello questa pesante sentenza. Ma cosa prevedeva il contratto sottoscritto quattro anni fa da Baraldi e dalla Lazio? Nella scrittura era previsto il pagamento di una cifra netta pari a 1,07 milioni a favore del dirigente, che sarebbe stata
dovuta nel caso in cui, si legge nella semestrale al 31/12/2006 della società romana, «alla data del 31 agosto 2003 si fosse registrata una riduzione degli emolumenti netti dei calciatori della prima squadra, pari ad almeno il 25% rispetto a quelli risultanti da un prospetto ufficiale riferito all'inizio della stagione sportiva 2002/2003». In
questo caso, secondo il contratto, Baraldi «avrebbe avuto diritto ad un premio una tantum pari al 5% della predetta riduzione, al netto di imposte, tasse e contributi previdenziali sia a carico della società sia a carico del dirigente».

L'ex amministratore delegato ritenne che la condizione si fosse avverata ed ottenne il compenso. Ma la Lazio ha ritenuto che la liquidazione della somma di 1,07 milioni non era dovuta a Baraldi, poiché il taglio del 25% degli stipendi non era avvenuto e ha contestato in giudizio la legittimità del suo premio. La Lazio avuto ragione davanti al giudice, poiché la parte principale del cosiddetto "piano Baraldi" riguardava semplicemente lo spostamento
del 45% del pagamento degli stipendi dei calciatori in tre anni, mentre il 55% sarebbe stato pagato subito. Si intuisce che in questo modo, il debito della società nei confronti dei propri tesserati è stato solo dilazionato nel tempo e non tagliato: di conseguenza, la situazione economica della Lazio non era affatto migliorata, poiché le
cifre dovute restavano comunque intatte. Oltre a ciò, il "piano Baraldi" riguardava la conversione di cinque mesi di stipendi dei calciatori in azioni della Lazio e la richiesta della rateizzazione dei debiti verso l'Erario in dieci anni, senza però le necessarie garanzie bancarie stando a quanto dichiarato nel prospetto dell'aumento di capitale dell'estate 2003. Invece Lotito, grazie alla legge legge 8 agosto 2002, n.178, è riuscito a "patteggiare" con l'Agenzia delle Entrate un periodo ben superiore di 23 anni.
http://www.wikio.it

il pallone in confusione

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