Dall’anno di quotazione i titoli Lazio hanno perso quasi il 100% del proprio valore, quelli della Roma l’85% mentre quelli della Juventus “appena” il 73%. Le società soffrono di mancanza di patrimonializzazione: soprattutto dell’assenza di un patrimonio immobiliare
E’ tempo di assemblee di approvazione dei bilanci per le tre società di calcio quotate in borsa. Aprirà le danze il 27 ottobre la Lazio: in mancanza del numero legale si andrà il 26 novembre in seconda convocazione. Seguirà il 28 ottobre l’assise della Juventus, mentre quella della Roma è prevista per il 29 ottobre: è stata prevista l’eventuale seconda convocazione, per il prossimo 11 novembre.
Tirando le somme, il pallone a Piazza Affari è un affare in totale perdita. Ciò lo si può evincere con un semplice ragionamento. Si può ipotizzare che i possessori di titoli delle tre squadre presenti a Piazza Affari, Juventus, Lazio e Roma, siano “cassettisti”, ossia piccoli azionisti fedeli che custodiscono gelosamente i propri titoli. Quindi, ciascuno di loro li detiene dal collocamento sul listino: e qui arrivano le dolenti note. I sostenitori della società di Claudio Lotito hanno subito la perdita maggiore del proprio capitale iniziale per azione (5900 lire, pari a circa 3,05 euro) tra tutte dalla data di avvio delle contrattazioni, ossia dall’8 maggio 1998, sino a oggi (prezzo 0,38 euro): - 99,86%. Nella disastrosa variazione percentuale sono stati inclusi i quattro aumenti di capitale e il raggruppamento azionario succedutisi in dieci anni, a cui i tifosi biancocelesti hanno sicuramente aderito.
Se la sponda laziale del Tevere piange, i sostenitori di quella giallorossa non ridono. La Roma fu quotata a Piazza Affari il 23 maggio del 2000 al prezzo di 5,50 euro. Sino ad oggi, gli azionisti-tifosi si sono visti erodere l’85% del valore iniziale: un titolo vale 0,6325 euro. Sicuramente anche essi, come i loro cugini biancocelesti, hanno aderito all’aumento di capitale del luglio 2004, che prevedeva sette azioni ogni due possedute.
E arriviamo alla Juventus, i cui azionisti hanno perduto “soltanto” il 73% dal valore di 3,7 euro della quotazione avvenuta il 20 dicembre 2001 (prezzo odierno: 0,7920 euro). Essi avranno sicuramente aderito all’aumento di capitale da 104,8 milioni del maggio 2007. I tifosi detentori dei titoli sono completamente insoddisfatti dell’andamento borsistico e della gestione del nuovo cda: sui forum si vuole chiedere le loro dimissioni in assemblea, che si preannuncia al calor bianco. Ma c’è chi ha lautamente guadagnato dall’operazione di collocamento, oltre naturalmente all'Ifil azionista di maggioranza della squadra di corso Galileo Ferraris. Fu un affare per l’ex amministratore delegato Antonio Giraudo, che aveva comprato 1.600.000 azioni nel novembre 2001 al prezzo di 0,21 euro per rivenderle tutte il mese dopo al prezzo di collocamento, con una plusvalenza immediata di circa 5,58 milioni di euro. Il mese successivo ne aveva comprate 4.380.100: ma le aveva acquistate al prezzo del diritto di opzione a lui riservato, sempre a 0,21 euro, spendendo poco meno di 920mila euro. Analoga facilitazione era stata riservata agli altri due membri del consiglio di amministrazione con deleghe operative, l’allora vicepresidente Roberto Bettega e l’ex consigliere e direttore generale Luciano Moggi. Entrambi avevano ottenuto ed esercitato tra il luglio e il dicembre 2002 il diritto di acquistare 347.525 azioni a 0,21 euro ognuna: ciascuno dei due dirigenti aveva speso 72.980,25 euro. Cifra più che sopportabile visto che Bettega aveva percepito nel 2002/03 1,404 milioni lordi, mentre Moggi 2,429 milioni (sempre lordi).
Ma quali sono i motivi della debacle che si sono ritrovati i tifosi in portafoglio? Sicuramente dal fatto che sinora queste società non possiedono altri beni se non i diritti alle prestazioni (comunemente detti “cartellini”) dei propri giocatori. Mancano del tutto gli immobili per dare un valore più cospicuo al proprio patrimonio e una maggiore appetibilità in borsa. A ciò bisogna aggiungere i problemi debitori di Roma e Lazio, in modo particolare quelli tributari. La Juve ha solo in parte realizzato i suoi progetti resi noti nel prospetto di quotazione. Entro i prossimi mesi partiranno i lavori per la trasformazione dello Stadio Delle Alpi con annesso centro commerciale. Bisogna ricordare che l’impianto fu ceduto per 99 anni in diritto di superficie dal Comune di Torino alla società bianconera per 25 milioni. Ripartendo questo valore sui 54mila metri quadrati circa di superficie interessata alla trasformazione edilizia, il prezzo scende alla modica cifra di 4,68 euro. Invece, la Vecchia Signora ha ceduto la Campi di Vinovo, titolare dei terreni tra le città di Vinovo e Nichelino su cui sorgerà il parco commerciale “Mondo Juve” (la cui realizzazione era indicata nel prospeto di quotazione), alla Costruzioni Generali Gilardi tramite l’esercizio di opzione di acquisto da parte di quest’ultima. Madama ha anche venduto alla sua ex controllata il ramo d’azienda avente a oggetto i contratti e le attività dello stesso centro commerciale. L’operazione, stando a quanto dichiarato nel bilancio 2007/2008 dovrebbe avere un effetto finanziario positivo per 23,5 milioni in sei esercizi: ossia circa quattro milioni per ciascuno. Una plusvalenza (ossia una componente straordinaria) che servirà essenzialmente a mitigare le perdite finali: quella al 30 giugno scorso era di 20,8 milioni.
Considerati gli scarsi risultati per i piccoli azionisti delle squadre quotate, vale la pena di ricordare la frase pronunciata alcuni anni fa dal principe dei tributaristi italiani, Victor Uckmar, in passato presidente della Covisoc: «Da tempo ho proposto che sulle azioni delle società di calcio occorrerebbe stampigliare la scritta questi titoli sono sconsigliati alle vedove, ai pensionati e agli orfani».
Marco Liguori
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mercoledì 22 ottobre 2008
Il calcio in borsa? Un affare in perdita per i tifosi-azionisti
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