Girando per la rete, in cerca di notizie sul Genoa, ci siamo imbattuti sul sito http://www.druidi.it/ che riporta una notizia non troppo nota per chi non è di Genova e dintorni. Fabrizio De Andrè era un tifoso rossoblù: lo confessiamo, non lo avremmo mai pensato. Forse perché lo credevamo poeta e cantante, cui le cose di calcio non interessavano. E invece no: anche il pallone era per lui una storia da raccontare, una gioia da vivere e condividere, nata (com'è accaduto a tanti) dalla passione che aveva suo padre.
Su http://www.druidi.it/ c'è un link che riporta alla prefazione di un libro di alcuni anni fa, "Quelli che il Grifone" di Fabrizio Calzia - Frilli Editori, curata da Gessi Adamoli e Marco Peschiera. Quest'ultimo racconta come nacque l'amore tra il grande Faber e i colori rossoblù: ne riportiamo di seguito il testo. E' il nostro contributo al ricordo di questo immenso artista: domenica saranno trascorsi 10 anni dalla sua scomparsa. Per ironia della sorte, Peschiera narra che Fabrizio andò con suo padre a vedere al "Luigi Ferraris" nel 1947 Genoa-Torino: è la partita del prossimo turno di campionato.
Ci viene in mente un suo disco capolavoro del 1968, "Tutti morimmo a stento", ispirato alla poetica del francese François Villon, vissuto nel 1400, che esprime la sua visione sarcastica con cui guarda la vita e tifa per gli individui perdenti. Ma vengono in mente anche altri suoi celebri versi. Ci perdoni Fabrizio, ma vogliamo parafrasare un verso di sua canzone "Quello che non ho" riferendola a coloro i quali desiderano con bramosia l'attaccante della sua squadra, il "principe" Diego Milito.
Quello che non ho è Milito avanti
per segnare più in fretta e tenervi più distanti
Marco Liguori
Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte
Tratto da http://www.frillieditori.com/books/prefagrifone.htm
Fabrizio De André raccontava di essersi innamorato del Genoa a sette anni, un pomeriggio del 1947 quando suo padre Giuseppe lo portò a Marassi a vedere il Grande Torino di cui era acceso tifoso. Una partita senza storia: i Mazzola, i Gabetto, i Grezar, i Loik a mostrare meraviglie e i Grifoni frastornati e rassegnati. Un gol all’inizio del primo tempo, un altro alla ripresa, il terzo alla mezzora. Con De André padre ad applaudire felice. Ma all’ottantacinquesimo il Genoa si scuote dal suo torpore: tre a uno e tutti all’assalto, un calcio di rigore ed ecco il tre a due, un altro fiero arrembaggio e la folla comincia a sperare, nell’ultimo minuto si libra sul campo il gran sabba della volontà e in extremis soltanto un palo salva il Toro dalla clamorosa rimonta. Il Genoa perde quella partita ma in cinque minuti conquista un tifoso per la vita.
Fabrizio restò per sempre dalla parte dei vinti di tutto il mondo: ma nelle sue poesie in musica gli sconfitti e gli esclusi – puttane e indiani perseguitati, malfattori e spiriti ribelli – trovano sempre la rivincita morale sul bigotto e il moralista, sul potente e sui suoi servi corrotti.
Lo stato d’animo del genoano è quello degli spiriti ribelli di De André: lasciamoli godere, tutti gli altri, delle loro vittorie. E osserviamoli con comprensione le volte che la sorte gli diventa avversa. Ridano pure o piangano pure intorno alle piccole vicende di un pallone che rotola. Noi li guardiamo dall’alto e con distacco perché potranno vincere una partita o venticinque o mille ma hanno perso il campionato più importante: loro, il destino li ha condannati a vivere senza nemmeno immaginare che cosa significa essere genoani.
È questo ancestrale, filosofico istinto di superiorità a fare del genoano un esemplare unico: il genoano è l’unico seguace del calcio dotato della capacità di ridere e scherzare su se stesso. Diciamoci la verità: in quale parte del globo terracqueo si potrebbe riuscire a trovare un’intera generazione di tifosi in grado di sciorinare, a trent’anni di distanza e senza un fiato di pausa, la formazione di un campionato di serie c? La ricordiamo a chi non c’era: Lonardi; Rossetti, Ferrari; Derlin, Benini; Turone; Perotti, Maselli, Cini, Bittolo, Speggiorin. Rileggere e mandare a memoria: è la preghiera laica del genoano vero.
Marco Peschiera
Tratto da http://www.frillieditori.com/books/prefagrifone.htm
Fabrizio De André raccontava di essersi innamorato del Genoa a sette anni, un pomeriggio del 1947 quando suo padre Giuseppe lo portò a Marassi a vedere il Grande Torino di cui era acceso tifoso. Una partita senza storia: i Mazzola, i Gabetto, i Grezar, i Loik a mostrare meraviglie e i Grifoni frastornati e rassegnati. Un gol all’inizio del primo tempo, un altro alla ripresa, il terzo alla mezzora. Con De André padre ad applaudire felice. Ma all’ottantacinquesimo il Genoa si scuote dal suo torpore: tre a uno e tutti all’assalto, un calcio di rigore ed ecco il tre a due, un altro fiero arrembaggio e la folla comincia a sperare, nell’ultimo minuto si libra sul campo il gran sabba della volontà e in extremis soltanto un palo salva il Toro dalla clamorosa rimonta. Il Genoa perde quella partita ma in cinque minuti conquista un tifoso per la vita.
Fabrizio restò per sempre dalla parte dei vinti di tutto il mondo: ma nelle sue poesie in musica gli sconfitti e gli esclusi – puttane e indiani perseguitati, malfattori e spiriti ribelli – trovano sempre la rivincita morale sul bigotto e il moralista, sul potente e sui suoi servi corrotti.
Lo stato d’animo del genoano è quello degli spiriti ribelli di De André: lasciamoli godere, tutti gli altri, delle loro vittorie. E osserviamoli con comprensione le volte che la sorte gli diventa avversa. Ridano pure o piangano pure intorno alle piccole vicende di un pallone che rotola. Noi li guardiamo dall’alto e con distacco perché potranno vincere una partita o venticinque o mille ma hanno perso il campionato più importante: loro, il destino li ha condannati a vivere senza nemmeno immaginare che cosa significa essere genoani.
È questo ancestrale, filosofico istinto di superiorità a fare del genoano un esemplare unico: il genoano è l’unico seguace del calcio dotato della capacità di ridere e scherzare su se stesso. Diciamoci la verità: in quale parte del globo terracqueo si potrebbe riuscire a trovare un’intera generazione di tifosi in grado di sciorinare, a trent’anni di distanza e senza un fiato di pausa, la formazione di un campionato di serie c? La ricordiamo a chi non c’era: Lonardi; Rossetti, Ferrari; Derlin, Benini; Turone; Perotti, Maselli, Cini, Bittolo, Speggiorin. Rileggere e mandare a memoria: è la preghiera laica del genoano vero.
Marco Peschiera
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