Riceviamo e pubblichiamo da Massimo Rossetti, responsabile area legale Federsupporter
Il CCNL dei calciatori è stato disdettato dalla Lega Calcio e non è stato ancora rinnovato. Può essere, quindi, interessante esaminare le possibili conseguenze immediate di tale disdetta e mancato rinnovo e le possibili prospettive della disciplina del rapporto di lavoro tra società di calcio e calciatori.Il CCNL disdettato non contiene quella che, nel linguaggio tecnico-giuridico, si definisce clausola di ultrattività.Vale a dire quella clausola secondo cui le parti dello stesso CCNL convengono che le disposizioni in esso contenute continuano ad applicarsi, dopo la scadenza, fino al suo rinnovo.Sul punto, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con sentenza 30 maggio 2005, n. 11325, dirimendo un annoso contrasto in seno alla Sezione Lavoro della stessa Corte, ha sancito che i contratti collettivi di diritto comune (tale è il CCNL in oggetto) operano esclusivamente entro l’ambito temporale convenuto dalle parti, per cui, ove, come nel caso di specie, la medesima contrattazione collettiva non preveda la clausola di ultrattività, i suddetti contratti smettono di avere efficacia con la loro scadenza.Va detto, però, che l’art. 4 della legge n. 91/1981 (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti) stabilisce che il contratto individuale di lavoro tra la società e lo sportivo deve essere stipulato secondo il contratto tipo predisposto conformemente agli accordi collettivi stipulati dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate.
Ne discende che il contratto individuale di lavoro in questione, non solo non deve confliggere con quello collettivo, ma deve essere conforme a un contratto tipo previsto dallo stesso contratto collettivo.Questa norma non sembra, dunque, consentire alcuna cesura temporale, alcun vuoto nelle more della scadenza della contrattazione collettiva nazionale di lavoro e il suo rinnovo.In altre parole, il contratto individuale di lavoro tra società di calcio e calciatore deve essere sempre stipulato secondo un contratto tipo conforme a quello stabilito dagli accordi collettivi: ne consegue che, nelle more tra la scadenza di detti accordi e il loro rinnovo, si dovrebbe continuare ad applicare, onde evitare la cesura e il vuoto suddetti, il contratto tipo previsto dagli accordi scaduti.Peraltro, questa conclusione potrebbe far nascere qualche dubbio circa la legittimità costituzionale della citata norma di cui alla legge n. 91/1981, ove effettivamente interpretata e applicata come sopra.Più precisamente, si potrebbe ritenere che la sostanziale ultrattività di un contratto collettivo di diritto comune disposta in via eteronoma, cioè da una norma di legge e non dallo stesso contratto collettivo, violi l’art. 39 della Costituzione, comprimendo la libertà sindacale delle parti stipulanti tale contratto.
A me sembra, tuttavia, che la soluzione possa essere rinvenuta in una clausola tipo contenuta nei contratti individuali di lavoro stipulati tra società di calcio e calciatori. Detta clausola prevede l’impegno a recepire e rispettare integralmente le pattuizioni che saranno concordate in sede di stipulazione di nuovi accordi collettivi. Laddove un simile impegno, che integra una clausola di ricezione in bianco di pattuizioni collettive future, evidentemente rispondente alla volontà di evitare qualsiasi soluzione di continuità e difformità tra disposizioni del contratto individuale e disposizioni del contratto collettivo di lavoro, non può non essere interpretato, a mio avviso, come implicitamente comportante, a maggior ragione, la continuità, fino al rinnovo, delle pattuizioni collettive scadute.A questa conclusione porta, sempre a mio avviso, l’applicazione delle norme di legge sull’interpretazione dei contratti (comune volontà delle parti e comportamenti successivi delle stesse, interpretazione sistematica, interpretazione secondo buona fede e correttezza e, ove ciò non bastasse, interpretazione secondo l’equo contemperamento degli interessi delle parti) e non si porrebbe alcun dubbio di legittimità costituzionale, poiché, in questo caso, l’ultrattività si avrebbe per effetto di una clausola del contratto individuale di lavoro che, ove più favorevole al lavoratore, prevale sulla contrattazione collettiva.Significa, in questo caso, che l’ultrattività si determinerebbe, non in forza di una regolamentazione eteronoma (norma di legge) al contratto collettivo, bensì in forza di una disposizione del contratto individuale di lavoro che ben può integrare o modificare in melius per il lavoratore la contrattazione collettiva. Circa le prospettive future del rapporto di lavoro tra società di calcio e calciatori, non v’è dubbio, almeno a mio parere, che l’inquadramento di tale rapporto nell’ambito del lavoro subordinato sia ormai del tutto anacronistico e stridente con la realtà.Con le novità introdotte dalla così detta “Legge Biagi” (legge delega n. 30/2003 e decreto legislativo delegato n. 276/2003), il rapporto in discorso, più appropriatamente e realisticamente, potrebbe essere qualificato come lavoro a progetto: cioè come un rapporto parasubordinato, configurante una prestazione d’opera prevalentemente personale senza vincolo di subordinazione, riconducibile a un progetto specifico di lavoro determinato dal committente, gestito dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Tale qualificazione comporterebbe l’obbligo di tutele assistenziali e previdenziali a favore del calciatore e, dal punto di vista tributario, comporterebbe, come oggi, la tassazione del reddito percepito con le stesse regole previste per il reddito di lavoro dipendente.Il trattamento minimo retributivo e la disciplina della durata e della risoluzione del rapporto, nonché altre discipline, potrebbero essere previste da una specifica contrattazione collettiva.In ordine alla durata, sarebbe auspicabile, a mio avviso, che questa fosse ridotta a un massimo di tre anni rispetto ai cinque anni attuali, così da garantire a entrambe le parti del rapporto maggiore flessibilità.Inoltre, auspicherei che, sempre per garantire la maggiore flessibilità di cui sopra, fossero previste clausole unilaterali espresse di risoluzione anticipata del rapporto, prima della sua naturale scadenza, a favore di entrambe le parti.L’indennità che, in questo caso, sarebbe determinata a favore della parte che subisce il recesso dovrebbe essere quantificata in relazione alla maggiore o minore distanza del recesso stesso dalla data di naturale scadenza del rapporto.In altre parole, l’indennità dovrebbe essere più o meno alta quanto più o meno il recesso risultasse distante dalla suddetta data. Sottolineo, altresì, che, anche qualora il rapporto fosse qualificato, mediante opportuna modifica della legge n. 91/1981, non più di lavoro subordinato, bensì a progetto, sarebbero comunque applicabili le tutele di legge a salvaguardia del calciatore contro eventuali pratiche e/o comportamenti discriminatori, dequalificanti e, più in generale, riconducibili a fattispecie di mobbing. Sarebbe, infine, applicabile anche la devoluzione di eventuali controversie a Collegi Arbitrali.
Massimo Rossetti
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