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lunedì 17 marzo 2008

il transatlantico affonda...ma nessuno se ne importa

http://www.diario.it/home_diario.php?page=cn03110006

Diario 26 settembre 2003

Il Nostro Inviato dopo il novantesimo minuto
Titanic Calcio
Sperando che tutto non si trasformi in sangue e botte, il nostro football si avvia comunque al disastro. Un caso aziendale da studiare
di Marco Liguori e Salvatore Napolitano

Siete un po’ a disagio per gli scontri di Avellino, per il ripescaggio della Fiorentina, per il disservizio di Sky, oltreché per le prestazioni della vostra squadra? Tranquillizzatevi: non avete ancora visto niente. Il calcio prossimo venturo vedrà sempre di più l’intervento di polizia antisommossa, tifosi «professionisti», presidenti «politici», giudici e avvocati. Tutto deriva, spiegano i nostri autori, dal perverso intreccio tra una legge che definisce le società di calcio come «società per azioni a fine di lucro»; le illusioni del mercato televisivo e la fine, prevedibile, di un concetto noto come «clausola compromissoria», ovvero una sorta di gentlemen’s agreement ormai destinato ad essere sbranato dalle mute della giustizia ordinaria. Leggere per credere. Una casistica possibile.

Assomiglia sempre di più al Titanic. Mentre il transatlantico si avvicina pericolosamente agli scogli, che fra l’altro lasciano morti giovani tifosi, a bordo si continua a far festa: tanto la nave è indistruttibile. È questo ciò che pensano, con encomiabile ottimismo, il comandante ed i suoi tanti attendenti. Franco Carraro (presidente della Figc, il governo del calcio), Adriano Galliani (amministratore delegato del Milan, ma anche presidente della Lega calcio, la Confindustria del pallone), Antonio Matarrese (vicepresidente della Lega calcio), Antonio Giraudo (amministratore delegato della Juventus), Massimo Moratti (presidente dell’Inter), Franco Sensi (presidente della Roma) appaiono imperturbabili. Il loro atteggiamento si basa sui tanti pericolosi scogli evitati di recente: il doping, i passaporti falsi, gli orologi d’oro regalati agli arbitri, i bilanci taroccati, le fidejussioni false. Qualcuno della ciurma ha però cominciato, sia pure con grave ritardo, a preoccuparsi. Ma nessuno gli dà ascolto. Come è possibile che un transatlantico di tal genere, che rappresenta una delle maggiori industrie del Paese, stia puntando diritto verso l’autoaffondamento? Come è possibile che i dirigenti calcistici, che sono tutti imprenditori di primo piano, sottovalutino a tal punto il problema?

Il cambiamento di rotta probabilmente decisivo è cominciato attorno alla metà degli Anni Novanta. Certo, già una decina di anni prima il calcio aveva cominciato a trasformarsi sempre più in un fenomeno televisivo. Accadde quando Silvio Berlusconi divenne proprietario del Milan e cominciò a trasmettere in diretta sulle sue reti televisive le amichevoli estive: costava molto meno che produrre un qualunque varietà di quart’ordine e otteneva più ascolti e, dunque, più pubblicità. Ossia, più soldi. Ma la spinta finale venne con il varo delle televisioni a pagamento. Le società più ricche decisero che era giunto il momento di smettere sia di vendere in modo collettivo i diritti di trasmissione delle partite, che di ripartire proporzionalmente gli introiti tra le 38 società di A e B. Così ebbe inizio la contrattazione singola, in modo che ciascuno intascasse i soldi relativi ai suoi diritti. Arrivò un fiume di denaro, ma non per tutti: com’era ampiamente prevedibile, i grandi arraffarono quasi tutta la torta, mentre i piccoli si sono accontentati delle briciole. In cifre, ciò vuol dire che nella scorsa stagione agonistica la Juventus ha incassato da Tele+ per la cessione dei diritti criptati delle sue 17 partite casalinghe circa 55 milioni di euro, Inter e Milan circa 50 ciascuno. Mentre Como, Empoli, Modena e Piacenza ne hanno ricevuti appena 5,6 a testa. Ma i presidenti, con lungimiranza pari a zero, hanno sempre versato tutti i maggiori ricavi nelle tasche dei calciatori e dei loro procuratori, per strapparsi a prezzi folli degli onesti pedatori. Il risultato è che il cospicuo incremento del fatturato è servito soltanto ad aggravare i buchi di bilancio del sistema. Al termine della stagione 1995-1996 la perdita operativa della serie A sfiorava i 150 milioni di euro. Due anni dopo era salita a 222 milioni. Al termine della stagione 1999-2000 era balzata a 406 milioni, per poi quasi raddoppiare in una sola stagione: 710 milioni al 30 giugno 2001. Come è noto, le società di calcio chiudono il loro esercizio al 30 giugno e non al 31 dicembre. Nel frattempo, esse erano state trasformate in «società per azioni con fini di lucro», in seguito alla legge Veltroni del 1996. Questa trasformazione, una prova di forza con il governo dell’Ulivo e di Rifondazione, fu una prova ampiamente vinta. All’uopo, per la prima volta nella storia del calcio, le società di A e B decisero di varare un calendario dei campionati monco: soltanto dieci giornate. Il governo corse frettolosamente ai ripari, varando addirittura un decreto legge per accontentare i due principali assertori della necessità di introdurre il «fine di lucro»: Antonio Giraudo e Adriano Galliani.

Il decreto 485 fu varato il 20 settembre del 1996 e convertito nella legge 586 il 18 novembre. Quanto ai presidenti delle società minori, bastò l’evocazione del termine «lucro» per farne brillare gli occhi. Ma la trasformazione in società a fini di lucro ha di fatto reso vano qualunque strumento che voglia impedire il ricorso alla giustizia ordinaria per difendere i propri interessi. Nell’ordinamento calcistico tale strumento si chiama «clausola compromissoria». Quest’estate tutti si sono resi conto che tale clausola non è altro che una sorta di patto tra gentiluomini, che dunque funziona se nessuno riceve qualche danno vero. E in un settore in cui i costi sono esorbitanti, i soldi finiti e le manovre dei dirigenti niente affatto limpide, non c’è nulla di più semplice che essere danneggiati. Qual è la soluzione che la Federcalcio ha escogitato e che vorrebbe attuare, assecondata in questo suo piano squinternato da qualche autorevole firma del giornalismo sportivo? È il rafforzamento della clausola compromissoria: ossia, se ricorri al giudice ordinario, ti penalizzo in classifica. Farebbe ridere se non fosse un piano nel quale i vertici del calcio credono: peccato che l’articolo 24 della Costituzione, che vale più di qualunque norma che possa essere varata, sancisce che chiunque può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. Vediamo dunque ciò che potrebbe accadere in un futuro neanche tanto lontano, ipotizzando casi non così distanti dalla realtà.

RETROCESSIONE? NO, GRAZIE! Nulla di più facile che si riproponga una situazione non dissimile da quella verificatasi quest’anno all’Atalanta, quart’ultima e retrocessa in B come da regolamento. Ipotizziamo che la federazione accetti l’iscrizione di un’altra squadra, nonostante essa non soddisfi i parametri stabiliti dalle norme calcistiche, obbligatori per poter partecipare al campionato di competenza. Il danno economico per la retrocessa è immediato: meno diritti tv, meno sponsorizzazioni, meno incassi. Una circostanza tale da poterne mettere in discussione la sopravvivenza stessa. Citare per il risarcimento dei danni davanti al giudice ordinario la federazione potrebbe essere considerata la strada ultima e obbligata per tutelare il patrimonio.

IL CONFLITTO DI INTERESSI DEL GIOCATORE-AZIONISTA. Saadi Al Gheddafi è il figlio trentenne del colonnello libico: è un giovanotto simpatico, laureato in ingegneria, che da questa stagione gioca nel Perugia. Ma è anche azionista della Juventus con il 7,5 per cento tramite la finanziaria di famiglia Lafico, nonché membro del consiglio di amministrazione dei bianconeri. Immaginiamoci cosa succederebbe se, per un malaugurato caso, si giocasse un Perugia-Juventus decisivo per gli umbri ai fini di un’ipotetica qualificazione ad una coppa internazionale, e i giocatori del Perugia si mostrassero morbidi tanto da perdere l’incontro. Il presidente Luciano Gaucci potrebbe intentare una causa per danni. Resta un dubbio: solo a Gheddafi junior, oppure a tutti i suoi giocatori o anche all’intero cda della Juventus, ritenendolo corresponsabile?

IN COPPA CI VADO IO. NO, TU NO! L’ipotesi è aggrovigliata: la squadra vice-campione d’Italia è qualificata di diritto per la Coppa dei Campioni. Ma la Covisoc, la Commissione della federazione che vigila sui bilanci delle società calcistiche e che deve verificare il rispetto dei criteri obbligatori per l’ammissione, chiude un occhio e la iscrive al campionato dell’anno successivo, nonostante non soddisfi i parametri richiesti dalle norme federali. Non si fa qui riferimento alla Lazio soltanto perché non è arrivata seconda. La terza classificata subisce un danno immediato per la mancata qualificazione diretta alla Coppa dei Campioni (vi accedono solo le prime due del campionato): infatti corre il rischio di essere eliminata al turno preliminare e deve anticipare la preparazione perché tale turno si gioca a metà agosto. Ma anche la quinta classificata subisce un danno perché non ha affatto la possibilità di accedere alla Coppa dei Campioni (per l’Italia sono previsti al massimo quattro posti). E tale partecipazione vale, solo come ingresso alla prima fase, almeno una quindicina di milioni di euro. Non è mica finita: anche l’ottava classificata subisce un danno, perché il settimo posto le avrebbe dato il diritto di partecipare alla Coppa Uefa. E naturalmente riceve un danno anche la quart’ultima, perché eviterebbe la retrocessione in serie B. Si aprirebbe così la via di una serie di richieste di risarcimenti a catena nei confronti della federazione.

UN AGGIOTAGGIO PARTICOLARE. L’aggiotaggio è un tipo di reato che riguarda le società quotate in Borsa e si riferisce all’utilizzazione di notizie riservate o alla diffusione di notizie false per indirizzare l’andamento del titolo sul mercato di Piazza Affari. Ma c’è un caso limite che li supera tutti: ipotizzando che i calciatori di una società siano azionisti e stiano per disputare una partita decisiva, essi stessi potrebbero decidere a priori il risultato negativo per la propria squadra e speculare al ribasso con le azioni in loro possesso, traendone profitto. Infatti, le quotazioni di Borsa dipendono strettamente dall’andamento sportivo, in quanto esso influenza a sua volta, e in modo consistente, il fatturato della società. In tal caso, si configurerebbe non tanto l’utilizzazione di notizie riservate, ma addirittura la creazione della notizia. Se tale circostanza venisse alla luce, è facile ipotizzare il ricorso alla magistratura da parte di un azionista che lamentasse il danno patrimoniale.

IL CALCIOMERCATO DIVENTA UNA VIA CRUCIS. Un’altra questione giuridica riguarda il rapporto tra le numerose notizie, vere o false che siano, della campagna acquisti e vendite dei giocatori. Ciò tocca direttamente le società calcistiche quotate in Borsa, che attualmente sono tre: Lazio, Roma e Juventus. Ogni informazione pubblicata dalle pagine sportive dei giornali riguardante le possibili acquisizioni oppure cessioni di giocatori può influenzare notevolmente i corsi dei titoli sul listino. Nel caso in cui tali notizie non siano rispondenti al vero, non faranno soltanto sparire i sogni dei tifosi, ma alleggeriranno i portafogli degli azionisti. Per tutte le società quotate a Piazza Affari vige il divieto di divulgare notizie riservate, riguardanti eventuali trattative: le società di calcio non sfuggono a questa regola e sono tenute ad emettere un comunicato solo nel momento dell’effettiva conclusione degli affari. Violare questa norma può costare molto caro: si può infatti incorrere nell’articolo 501 del codice penale, che contempla il reato di aggiotaggio. Tale norma prevede che «chiunque al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di Borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 516 a 25.822 euro». In questo caso potrebbe essere ipotizzata una doppia responsabilità: quella del giornale e quella della società calcistica. La Consob, l’organo di vigilanza dei mercati finanziari, è deputata a verificare gli andamenti anomali dei titoli e a denunciarne le ipotesi di reato alla Procura della Repubblica competente. Ma l’eventuale ipotesi di reato potrebbe essere denunciata anche da un piccolo azionista, allo scopo di rivalersi per il risarcimento del danno in solido verso il giornale e la società. Ipotizziamo a tal riguardo che un quotidiano riporti la notizia riguardante le trattative di una squadra quotata per l’acquisto di un plurititolato e celeberrimo calciatore straniero. Il titolo della società salirebbe rapidamente sul listino, invogliando numerosi risparmiatori all’acquisto. In seguito, la notizia si rivela completamente falsa e il valore delle azioni crolla. Chi avesse acquistato sulle voci false riportate dal quotidiano potrebbe citarlo per farsi risarcire il danno.

SONO EXTRACOMUNITARIO E ME NE VANTO. Ogni tanto, la federazione e la Lega assurgono a legislatori e danno vita a mostri giuridici: era già successo negli anni Novanta con il blocco dell’utilizzazione dei calciatori stranieri. Arrivò un giorno un carneade di nome Bosman, ricorse alla giustizia europea ed ebbe ragione. Pare che la lezione non sia servita. Adesso c’è il blocco totale dell’utilizzo di nuovi extracomunitari. Fino agli ultimi mondiali del 2002 non se ne potevano tesserare più di tre per squadra. Supponiamo che un calciatore, a seguito di questo blocco, sia costretto ad andarsene dalla squadra in cui milita, perché, nel frattempo, è stato acquistato un nuovo extra-comunitario. Se non si volesse ridurre la questione come nel passato, e cioè trovandogli rapidamente un avo comunitario, il calciatore potrebbe ricorrere tranquillamente alla giustizia ordinaria: vale ancora l’articolo 3 della Costituzione che sancisce che tutti «hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

LA NEBBIA MI DANNEGGIA. È già accaduto in passato, e c’è da scommettere che accadrà nuovamente, che si siano giocate partite in condizioni di visibilità non regolamentari. Soprattutto a causa della nebbia. Eppure dovrebbe essere impossibile sbagliare: la norma dice che l’arbitro, posizionandosi sulla linea di porta, debba vedere l’altra porta del campo di gioco. Da quando il calcio è diventato un fenomeno essenzialmente televisivo, e da quando c’è chi paga per vedere le partite tramite le trasmissioni criptate, è fiorita una nuova attività: i locali pubblici possono proiettare la partita su grandi schermi. Per farlo, devono abbonarsi alla tv, fino all’anno passato Tele+ o Stream, da quest’anno Sky, pagando un canone annuo. In cambio aumentano la clientela, interessata al calcio. Ma se la partita venisse disputata nonostante la nebbia fuori dai limiti, il locale pubblico ne riceverebbe un danno economico perché nessun cliente pagherebbe dei soldi per non vedere nulla. Ne scaturirebbe una reazione a catena: causa per danni del locale a Sky, che a sua volta si dovrebbe rivalere sulla federazione, dalla quale dipendono gli arbitri.

LA CLAUSOLA COMPROMISSORIA TI COMPROMETTERÀ. Il governo del pallone sta lavorando al rafforzamento della clausola compromissoria: chi ricorrerà al giudice ordinario sarà penalizzato in classifica. E’ il solito tentativo velleitario di risolvere i problemi. Non esiste alcuna costrizione, né alcuna forma coercitiva che possa impedire a chicchessia di adire al giudice ordinario quando si tratti di difendersi da un danno patrimoniale. Ipotizzando, dunque, che qualche società ricorra e venga colpita dalla giustizia sportiva con una penalizzazione in classifica, il caso più usuale è facilmente intuibile: se tale penalizzazione dovesse modificare in modo sostanziale la classifica, facendo ad esempio retrocedere una squadra e non un’altra, o qualificando per una coppa internazionale una squadra in luogo di un’altra, la federazione verrebbe sommersa di cause per danni.


E dalla «trasferta di Avellino» comincerà un nuovo mito...

Lunedì pomeriggio, mentre chiudevamo questo articolo, è stata data la notizia della morte di Sergio Ercolano, giovane tifoso del Napoli, precipitato da una fragile tettoia di plexiglas allo stadio Partenio di Avellino, prima della partita. Come tutti ormai sanno, centinaia
di tifosi del Napoli in trasferta organizzata su diversi pullman che evidentemente la polizia non aveva notato, avevano cercato, come molto spesso succede, di entrare allo stadio senza biglietto. E, come tutti ormai sanno, quel corpo precipitato e l’ambulanza che non arrivava hanno dato origine a furiosi scontri con la polizia, che è battuta in ritirata. La partita non si è giocata, la Lega Calcio l’ha rivinviata «a data da destinarsi», ma il presidente ombra dell’Avellino, Pasquale Casillo, rivendica i tre punti a tavolino. (La speculazione sui morti è uno degli aspetti del calcio moderno, inaugurato dalla Juventus allo stadio Heysel nel 1985, quando
una partita che chiunque avrebbe sospeso venne fatta giocare e vincere, in nome dei morti juventini).
Commentando l’episodio di Avellino, tutti i giornali e le trasmissioni televisive hanno bollato i tifosi del Napoli come «bestie» e «delinquenti», chiedendo pene severe e rievocando il pugno duro dell’inglese Margaret Thatcher contro gli hooligans. Ma sarà difficile che questo succeda, perché nel mondo del calcio (e del governo dei ripescaggi) nessuno ha più autorità per imporre alcunché. Continueranno quindi le «trasferte organizzate» e si scontreranno con la subcultura delle caserme delle Squadre mobili della polizia (che hanno avuto nell’ultimo campionato 612 feriti, raddoppiati dall’anno prima), in un circolo non virtuoso in cui si rivaleggia a chi è più macho e più fascista. Ci saranno altre tacche sui manganelli e sulle bandiere, e tanto pane per i sociologi e per Porta a Porta. Avellino non è altro di uno dei tanti risultati del «calcio che cambia»; quello che bada solo ai soldi e che usa i tifosi come salariati precari: utilissimi, ma ignobili.
In questo articolo Marco Liguori e Salvatore Napolitano raccontano le trasformazioni di questo sport e prevedono un futuro di bancarotte, contenziosi, liti giudiziarie, pressioni politiche. In mezzo a tutto ciò, ogni tanto qualcuno crepa. Di Sergio Ercolano, e delle colpe della sua morte, sentiremo parlare a lungo. Forse non in tutta Italia, ma sicuramente in Campania.

Scompare nel 2003 il pegno Capitalia sul Perugia

http://www.fiorentina.it/notizia.asp?IDNotizia=23041

2/7/2004

"Gaucci dei misteri" continua l'inchiesta di M.Liguori


Che fine ha fatto il 99,53% dell’Associazione Calcio Perugia detenuto in pegno da Capitalia? Guardando la tabella delle “partecipazioni rilevanti in società non quotate” posta a pagina 148 del bilancio 2003 del gruppo bancario presieduto da Cesare Geronzi, ci si accorge che tale quota è scomparsa. Questo pegno connesso ad operazioni di credito, compariva almeno dal bilancio del 1999 della Banca di Roma, uno degli istituti che sono confluiti in Capitalia nel 2002 e a cui la banca capitolina lo ha portato in “dote”. Fino a due anni fa era presente nel documento imposto alle società quotate dalla delibera 11971/99 della Consob: nell’ultimo esercizio finanziario della banca è invece svanito d’incanto.
Sulla vicenda della quota di maggioranza del Perugia, Capitalia mantiene il più stretto riserbo. Il gruppo bancario, interpellato da Panorama Economy, ha spiegato soltanto che tale partecipazione presa in pegno potrebbe essere stata ridotta oppure dismessa completamente. Infatti, la delibera della Commissione di vigilanza impone di dichiarare solamente le partecipazioni in imprese non quotate superiori al 10%: dunque, non è dato sapere se la quota detenuta nella società calcistica umbra sia stata portata al di sotto di detta soglia oppure sia stata completamente abbandonata dall’istituto, tramite l’eliminazione del pegno. Ma perché la società calcistica presieduta da Luciano Gaucci ha dato in pegno, almeno per quattro anni, il suo pacchetto di controllo? Mistero! Capitalia non ha voluto fornire spiegazioni in merito, adducendo la necessità di tutelare la privacy del proprio cliente. Eppure l’eventuale cancellazione del pegno non è una questione da poco, visto che era legato alla concessione di un prestito bancario rilasciato da una banca quotata a Piazza Affari, che dovrebbe rendere conto, in omaggio al principio della trasparenza borsistica, delle proprie operazoni al mercato. Capitalia non ha voluto neppure rendere noto l’importo della linea di credito concessa a fronte del pegno. Neppure nel bilancio del club perugino, chiuso al 30 giugno 2003, si rilevano tracce dell’eventuale spignoramento.
Ma c’è anche un altro mistero. Ufficiosamente, si individua sempre il presidente Gaucci come l’azionista di riferimento del Perugia. Tuttavia, stando alle visure soci della Camera di Commercio, il suo nome non compare. Infatti, il 99,53% del Perugia, affidato sino al 2002 in pegno a Capitalia, è esattamente la percentuale detenuta dalla Kilpeck Overseas Corp., una società di diritto estero su cui non si può ufficialmente conoscere chi siano i suoi azionisti.

Marco Liguori


La vendita del Catania
Nonostante la fresca retrocessione in serie B, dopo aver perso lo spareggio con la Fiorentina il 20 giugno scorso,Luciano Gaucci non sembrerebbe intenzionato a vendere il Perugia. Di certo c’è solo al momento che alcuni giorni fa il numero uno perugino ha venduto l’intero pacchetto azionario del Calcio Catania alla Finaria, società controllata da Antonino Pulivirenti, attuale presidente dell’Acireale. La Finaria e' la holding che detiene la compagnia aerea siciliana Windjet: inoltre Pulvirenti e' proprietario della Meridi, società operante nella grande distribuzione organizzata. Particolare curioso: anche nel caso del Catania, la famiglia Gaucci non compariva nell'elenco soci della Camera di Commercio. Infatti, la quota di maggioranza venduta, pari al 74,5%, era controllata da una società di diritto estero, la Audette Holdings Corp. Il presidente uscente del Catania era però uno dei figli di Gaucci, Riccardo. Gli altri quattro soci avevano in carico 12.750 azioni: tre di essi sono membri della famiglia Massimino, l'ex proprietario del Catania prima dell'era Gaucci.

M. L.

Fonte settimanale Economy

sabato 15 marzo 2008

Provateci voi ad avere una transazione senza interessi con una banca

Liberomercato 15 marzo 2008

Calcio & Finanza

La Lazio paga a rate e senza interessi i debiti con Profumo, restano quelli con l’Erario

Marco Liguori
La Lazio ha transato con Banca di Roma. Stando alla semestrale al 31 dicembre scorso, la società biancoceleste quotata a Piazza Affari ha sottoscritto il 13 febbraio scorso con Unicredit Banca d’impresa "in qualità di mandatari d’impresa" un accordo riguardante "tutte le posizioni aperte (finanziarie e non) al 31 dicembre 2007. L’importo complessivo è di 6,68 milioni, "con un risparmio di euro 5,18 milioni da pagare in otto rate trimestrali di euro 0,8 milioni ed una di euro 0,42". La transazione è favorevole per la Lazio, poiché è senza interessi. La controllata Lazio Marketing e Communication, proprietaria dei marchi e del ramo commerciale, garantisce l’operazione tramite "la cessione degli incassi futuri rinvenienti dai contratti con la Puma Italia scadenti rispettivamente al 30 giugno 2008 e 30 giugno 2012".
La semestrale presenta un utile civilistico di 860mila euro dovuto ai proventi della Champions league. Quello consolidato è di 4,65 milioni con patrimonio netto negativo di 18,93 milioni. La società ha problemi con il fisco: il 27 dicembre scorso l’Agenzia delle entrate ha notificato un avviso di accertamento a seguito di una verifica iniziata il 10 luglio 2007 sull’Irap dovuta sulle plusvalenze e minusvalenze calciatori. La Lazio spiega che da ciò "è emerso un rilievo consistente nel recupero di base imponibile Irap per 46,82 milioni, pari a imposte per circa 1,91 milioni". Come per altri due analoghi rilievi, sono state accantonate somme a fondo rischi. Il contenzioso Irap ha sospeso il rimborso di un credito Iva del 1998 per 5,42 milioni.
Il 4 ottobre scorso l’ex calciatore Mendieta ha trascinato la sua ex società dinanzi al Tribunale del lavoro di Roma. Egli ha chiesto il pagamento di 6,28 milioni, oltre interessi e rivalutazioni. Ha chiesto in subordine un risarcimento di pari importo per la risoluzione del contratto "viziata da dolo" e la refusione dei danni "per la conclusione del contratto con il Middlesbrough a condizioni deteriori rispetto a quelle esigibili". La Lazio ha giudicato infondate queste asserzioni e resisterà in giudizio.

venerdì 14 marzo 2008

Ritorna il Caso Unità

La Marialina Marcucci, presidente della casa editrice dell'Unità, ha avuto contatti con i Caso, ex editori del quotidiano sportivo Dieci, diretto da Ivan Zazzaroni, che ha chiuso in pochi mesi nel 2007...
Secondo una visura camerale dello scorso giugno, la loro casa editrice, la Hopit, era controllata da due società con sede all'estero, MEDITERRANEA S.A. e la CENTRALE AMERICA ADVENTURES S.A., mentre Gian Gaetano Caso ne possiede solo il 10%: chi c'è dietro a queste società? E soprattutto in quale paese hanno sede, visto che nel "paradisiaco" Lussemburgo esse non sono presenti?

EDITORIA: L'UNITÀ; MARCUCCI, CONTATTI CON I CASO
POL S0A QBXB EDITORIA: L'UNITÀ; MARCUCCI, CONTATTI CON I CASO DI STEFANO RESTA IN CAMPO, MA PRIORITÀ È EUROPA 7 (ANSA) - ROMA, 14 MAR - «Con i Caso ci sono dei contatti ma al momento non vi è nulla di formale. Può darsi che dopo Pasqua ci siano delle opportunità»: così Marialina Marcucci, presidente della Nie (Nuove Iniziative Editoriali, la società che edita l'Unità), reagisce alla notizia pubblicata su Italia Oggi che vedrebbe la famiglia Caso in pole position per diventare la nuova proprietaria del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Secondo il giornale economico, Gian Gaetano e Fabio Caso, che già in passato avevano tentato la strada dell'editoria, rileverebbero non la totalità del pacchetto azionario, bensì una quota di maggioranza vicina al 60%. Resta comunque in campo, come conferma anche la Marcucci, l'imprenditore Francesco Di Stefano, patron di Europa 7, il quale ribadisce il proprio interesse verso l'Unità. «Di Stefano - dice la presidente della Nie - l'ho sentito ieri. Lui è realmente interessato ma in questo momento la sua priorità è la questione di Europa 7». Sarà infatti resa nota a giorni la data della riunione del Consiglio di Stato che deve pronunciarsi sul ricorso dell'emittente per ottenere le frequenze per trasmettere e il risarcimento danni. «Stiamo vedendo i conti del giornale», dice l'imprenditore. «In questo momento - aggiunge - abbiamo problemi più grandi e pressanti anche se l'interesse per l'Unità c'era e rimane».(ANSA). SN 14-MAR-08 18:24 NNN



http://dagospia.excite.it/articolo_index_38842.html

“UNITÀ”, IL CASO È RISOLTO – LA HOPIT DI GIAN GAETANO E FABIO CASO IN POLE PER L’ACQUISTO DEL QUOTIDIANO DI GRAMSCI - TRANSAZIONE DA 3-4 MILIONI (CIFRA BASSA PER LE CAUSE IN CORSO) PER IL 60% DELLA PROPRIETÀ…

Jarvis Macchi per “Italia Oggi”

La famiglia Caso è in pole position per diventare la nuova proprietaria dell'Unità. Dopo una trattativa lunga e difficile, l'accordo potrebbe essere raggiunto e ufficializzato già dopo Pasqua. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi infatti, tra i legali delle due parti girerebbero già alcune bozze di lettere d'intenti, pronte per essere firmate dopo la due diligence da parte dei compratori.

Il prezzo? Sempre secondo indiscrezioni, il valore reale della transazione si aggirerebbe intorno ai 3-4 milioni di euro, ma Gian Gaetano e Fabio Caso, attraverso la Hopit, rileverebbero non la totalità del pacchetto azionario, bensì una quota di maggioranza, vicina al 60%. Una cifra così bassa sarebbe motivata dal peso di cause civili in corso stimabili intorno ai 60 milioni di euro.

Una cifra, peraltro, smentita da fonti vicine agli imprenditori che vorrebbero, invece, accreditare la valutazione della testata intorno ai 23 milioni di euro. La voce che l'intesa fosse stata raggiunta è circolata già nella mattinata di ieri anche se non è stata confermata (ma nemmeno smentita) dai vertici dell'Unità. Contattata telefonicamente, Marialina Marcucci, amministratore delegato della Nie, la società che detiene il controllo del quotidiano della sinistra, ha così commentato: «La famiglia Caso è uno dei player che sono interessati all'acquisto del quotidiano, ma non confermo che sia stato raggiunto alcun tipo di accordo». Marcucci ha anche aggiunto: «l'aumento di capitale di due milioni di euro che abbiamo deliberato a luglio sarà sottoscritto dagli attuali soci».

Le trattative tra la Nie e la famiglia Caso sarebbero però già in fase molto avanzata e l'unico ostacolo sarebbe di carattere tecnico: la due diligence da effettuare sui conti del quotidiano. Una formalità che potrebbe essere sbrigata nelle prossime settimane, per arrivare ad una firma dopo Pasqua. Anche nell'ipotesi di ingresso della famiglia Caso, sempre secondo indiscrezioni, Marialina Marcucci resterebbe in sella ai vertici del giornale.

IL CASO DIECI
Quello dei Caso non è un nome nuovo nell'editoria, nella quale avevano già provato a cimentarsi nel 2001, con l'esperienza del Globo, free-press romana fondata grazie a un finanziamento iniziale dell'Unione europea e poi chiusa dopo breve. Ma la loro incursione più famosa nel settore, soprattutto per le polemiche che ha generato, resta quella legata all'avventura di Dieci, il quotidiano sportivo diretto da Ivan Zazzaroni ed edito dai Caso insieme con Alberto Donati. Testimonial del quotidiano era stato Roberto Baggio, ma il progetto era finito rovinosamente, dopo 96 giorni in edicola, nel giugno 2007.
La coppia Caso-Donati scoppio quasi subito (sembra per problemi legati alla ripartizione dei ricavi delle vendite in edicola) e questo fu un primo passo che affossò Dieci, a cui si aggiunsero gli stipendi dei trenta redattori assunti, rimasti bloccati per mesi, e il mancato pagamento degli altri collaboratori. Una vicenda che aveva scatenato non poche polemiche e che aveva visto anche Zazzaroni dimettersi come gesto plateale di difesa nei confronti della redazione. Con ripercussioni sindacali soprattutto per il modo con cui erano stati licenziati i redattori, «rei» di aver scioperato per chiedere il pagamento degli stipendi.
Al loro rientro in redazione avevano trovato una lettera del presidente di garanzia di Editoriale Dieci, Mauro Conta ad attenderli sulla porta: «A seguito», si leggeva nel messaggio, «delle immotivate argomentazioni poste dal comitato di redazione e della conseguente decisione di astenersi dall'attività lavorativa, l'Editore ritiene che si renda necessario procedere al licenziamento per giusta causa di tutta la redazione di Dieci. Si riserva altresì di valutare una richiesta di danni subiti a causa della reiterata posizione assunta da tutta la redazione». Dopo l'uscita di Zazzaroni e il licenziamento dei redattori, il giornale non ha più ripreso le pubblicazioni. E la società è stata messa in liquidazione nell'ottobre scorso.
La cassaforte di famiglia. Se i Caso dovessero ritentare la strada dell'editoria con L'Unità, sicuramente l'operazione passerà attraverso la Hopit, la cassaforte della famiglia. La holding nasce nel 2004 come finanziaria di partecipazione, e si struttura in due subholding: la Nettel spa, società attiva nel campo delle tlc e la Giornali Associati, che serve ai Caso per gli investimenti nell'editoria. Hopit, sul versante internazionale ha interessi in Nicaragua, dove è concessionaria delle ferrovie e dei trasporti intermodali con il Consorcio Ferronica SA; Russia, dove ha una partecipazione in una banca moscovita e in Montenegro.
Quanto vale il gruppo? Ecco qualche numero: il capitale sociale della capogruppo Hopit spa è di 50 milioni di euro e nel 2006 ha registrato un utile netto di 466 mila euro. Utile che però deriva non dalla gestione operativa, il cui risultato è negativo per 481 mila euro, ma da proventi straordinari. Sempre nel 2006 l'intero gruppo ha registrato un utile di 56,4 mila euro a fronte di un risultato operativo negativo per oltre un milione di euro sempre per il motivo citato prima. I debiti consolidati del gruppo sono pari a 14 milioni di euro, di cui 12,7 milioni verso i fornitori.
L'altro pretendente. Il nome dei Caso circolava da tempo nei corridoi dell'Unità, assieme a quello di Francesco Di Stefano, il fondatore di Europa7, anche lui interessato al quotidiano. Dopo l'abbandono della trattativa da parte degli Angelucci, il cdr aveva chiesto all'azienda di «perseguire strade che siano affidabili e che non si perdano altri mesi per non concludere niente».
Lo stesso cdr poco più di dieci giorni fa aveva emesso un comunicato in cui invitata esplicitamente lo stesso Di Stefano in qualche modo a farsi avanti, esprimendo così la sua «preferenza» tra i possibili compratori rimasti. Di certo, fanno sapere dal cdr, «l'Unità non è un giornale che si può vendere a chiunque, a prescindere dalla sua collocazione politica».
Dagospia 14 Marzo 2008


ELENCO SOCI HOPIT
PROT. N. 28579498 19/06/2007
CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO AGRICOLTURA DI ROMA - UFFICIO REGISTRO DELLE IMPRESE - VISURA SENZA VALORE DI CERTIFICAZIONE DELL'ASSETTO DELLA COMPAGINE SOCIALE DELL'IMPRESA SOTTO INDICATA
DATI IDENTIFICATIVI DELL'IMPRESA
Codice fiscale e numero d'iscrizione: 08462451009
del Registro delle Imprese di ROMA
data di iscrizione: 12/04/2005

Iscritta nella sezione ORDINARIA il 12/04/2005
Iscritta con il numero Repertorio Economico Amministrativo 1095986
Denominazione: HOPIT SOCIETA' PER AZIONI
Forma giuridica: SOCIETA' PER AZIONI
INFORMAZIONI PATRIMONIALI E FINANZIARIE
Capitale Sociale in EURO:
deliberato 50.000.000,00
sottoscritto 50.000.000,00
versato 50.000.000,00
conferimenti in DENARO
ELENCO DEI SOCI E DEGLI ALTRI TITOLARI DI DIRITTI SU AZIONI O QUOTE SOCIALI AL 21/10/2006
PROTOCOLLO RM/2006/243003 del 31/10/2006
Capitale sociale dichiarato sul modello con cui è stato depositato l'elenco deisoci: 50.000.000,00 (valuta: EURO)
Quota composta da 22.500 AZIONI ORDINARIE
pari a nominali: 22.500.000,00 (valuta: EURO)
- MEDITERRANEA S.A. C.F. 03173120613
tipo di diritto: PROPRIETA'
Quota composta da 22.500 AZIONI ORDINARIE
pari a nominali: 22.500.000,00 (valuta: EURO)
- CENTRALE AMERICA ADVENTURES S.A. C.F. 03211080613
tipo di diritto: PROPRIETA'
Quota composta da 5.000 AZIONI ORDINARIE
pari a nominali: 5.000.000,00 (valuta: EURO)
- CASO GIAN GAETANO C.F. CSAGGT45B25G596G
tipo di diritto: PROPRIETA'


LA VISURA DELLA HOPIT
PROT. N. 28579487 19/06/2007
CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO AGRICOLTURA DI ROMA
UFFICIO REGISTRO DELLE IMPRESE –
VISURA SENZA VALORE DI CERTIFICAZIONE ORDINARIA
DATI IDENTIFICATIVI DELL'IMPRESA
Codice fiscale e numero d'iscrizione: 08462451009 del Registro delle Imprese di ROMA data di iscrizione: 12/04/2005
Iscritta nella sezione ORDINARIA il 12/04/2005
Iscritta con il numero Repertorio Economico Amministrativo 1095986
Denominazione: HOPIT SOCIETA' PER AZIONI
Forma giuridica: SOCIETA' PER AZIONI
Sede: ROMA (RM) VIA XX SETTEMBRE 5 CAP 00187telefono: 06/42742713
Costituita con atto del 29/03/2005 Durata: INDETERMINATA
Scadenza primo eserc. 31/12/2005 scadenza eserc. successivi: 31/12
Lo statuto prevede proroga di n. 60 giorni dei termini approvazione del bilancio Tipo dell'atto:
ATTO COSTITUTIVO
Notaio PALMIERI PAOLO
Repertorio num. 126355 loc. GENZANO DI ROMA (RM)
Oggetto Sociale:
LA SOCIETA' HA PER OGGETTO: LA SOCIETA' HA PER OGGETTO IL POSSESSO E LA GESTIONE DI PACCHETTI AZIONARI DI SOCIETA' CONTROLLATE O TERZE OLTRE A SVOLGERE ATTIVITA' DI CONSULENZA FINANZIARIA E DI ATTIVITA' DI GESTIONE DI DATI AMMINISTRATIVO-FINANZIARI DI SOCIETA' CONTROLLATE O TERZE. LA SOCIETA' POTRA' PARTECIPARE AD APPALTI PUBBLICI E PRIVATI. LA SOCIETA' POTRA' ASSUMERE PARTECIPAZIONI, INTERESSENZE IN ALTRE SOCIETA' AVENTI SCOPI ANALOGHI, COMPLEMENTARI OD AFFINI AL PROPRIO NON A SCOPO DI COLLOCAMENTO E NON A CARATTERE PREVALENTE E POTRA' COMPIERE TUTTE LE OPERAZIONI FINANZIARIE, BANCARIE, INDUSTRIALI, COMMERCIALI ED IMMOBILIARI, NECESSARIE AL CONSEGUIMENTO DELL'OGGETTO SOCIALE, POTRA' ALTRESI' PRESTARE FIDEJUSSIONI E GARANZIE REALI A FAVORE DI TERZI, ENTI, PERSONE FISICHE, GIURIDICHE E BANCHE AL SOLO FINE DEL RAGGIUNGIMENTO DEGLI SCOPI SOCIALI POTRA' INOLTRE CONTRARRE MUTUI PASSIVI ED EFFETTUARE OPERAZIONI DI FACTORING ALLO SCOPO DI PROCURARSI MEZZI ECONOMICI PER LA PROPRIA ATTIVITA', NONCHE' STIPULARE CONTRATTI DI LEASING PASSIVI PER LA LOCAZIONE DI IMMOBILI, ATTREZZATURE E MACCHINE CONCEDENDO LE OPPORTUNE E RICHIESTE GARANZIE; SUBORDINATAMENTE ALL'OTTENIMENTO DELLE DEBITE AUTORIZZAZIONI AMMINISTRATIVE E' PURE PREVISTO L'ESERCIZIO NEI CONFRONTI DEL PUBBLICO DELLE ATTIVITA' DI ASSUNZIONE DI PARTECIPAZIONI, DI CONCESSIONE DI FINANZIAMENTI SOTTO QUALSIASI FORMA, DI PRESTAZIONE DI SERVIZI DI PAGAMENTO E DI INTERMEDIAZIONE IN CAMBI, RISERVATO AGLI INTERMEDIARI FINANZIARI ISCRITTI NELL'APPOSITO ELENCO TENUTO DALL'UIC O NELL'ELENCO SPECIALE TENUTO DALLA BANCA D'ITALIA, L'ATTIVITA' DISCIPLINATA DAGLI ARTICOLI 106 E 107 DEL TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA BANCARIA, D.LGS. 01.09.1993, N. 385.
SISTEMA DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO
Soggetto che esercita il controllo contabile: revisore contabile
Forma amministrativa: AMMINISTRATORE UNICO
Numero amministratori in carica: 1
durata in carica: FINO ALLA REVOCA
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Numero minimo amministratori: 3
Numero massimo amministratori: 7
Numero amministratori in carica: 3
durata in carica: 3 ANNI
data fine carica: 16/03/2009
Collegio Sindacale: numero effettivi: 3
numero supplenti: 2
numero in carica: 5
data inizio carica: 12/04/2006 data fine carica: 31/12/2006
INFORMAZIONI SULLO STATUTO/ATTO COSTITUTIVO
Poteri da Statuto:
IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE E' INVESTITO DEI PIU' AMPI POTERI PER L'AMMINISTRAZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA DELLA SOCIETA' E, PIU' SEGNATAMENTE, HA FACOLTA' DI COMPIERE TUTTI GLI ATTI CHE RITENGA OPPORTUNI PER L'ATTUAZIONE ED IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI SCOPI SOCIALI, ESCLUSO SOLTANTO QUANTO PER LEGGE E PER STATUTO E' RISERVATO ALLA ASSEMBLEA.
AI SENSI DELL'ART. 2365 C.C. SONO ATTRIBUITE AL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, OLTRE A QUANTO GIA' ALTROVE PREVISTO DAL PRESENTE STATUTO, LE DELIBERAZIONI CONCERNENTI LA FUSIONE NEI CASI PREVISTI DAGLI ART. 2505 E 2505 BIS C.C. E L'ADEGUAMENTO DELLO STATUTO SOCIALE A DISPOSIZIONI NORMATIVE. IL CONSIGLIO PUO' DELEGARE PARTE DELLE PROPRIE ATTRIBUZIONI E PROPRI POTERI AL PRESIDENTE O AD ALTRI DEI SUOI MEMBRI (AMMINISTRATORE O AMMINISTRATORI DELEGATI).
IL CONSIGLIO PUO' NOMINARE FRA I SUOI MEMBRI UN COMITATO ESECUTIVO, DELEGANDO AD ESSO ATTRIBUZIONI E POTERI SUOI PROPRI.
IL CONSIGLIO PUO' NOMINARE UNO O PIU' DIRETTORI, VICE DIRETTORI E DIRIGENTI, DETERMINANDONE I POTERI, NONCHE' PROCURATORI AD NEGOTIA PER DETERMINATI ATTI O CATEGORIA DI ATTI. LA RAPPRESENTANZA LEGALE DELLA SOCIETA' DI FRONTE A TERZI, COMPRESA OGNI AUTORITA' GIUDIZIARIA O AMMINISTRATIVA, SPETTA AL PRESIDENTE, O A CHI NE FA LE VECI A SENSI DELL'ART. 17 DEL PRESENTE STATUTO. LA SUDDETTA RAPPRESENTANZA, NONCHE' LA FIRMA SOCIALE, SPETTANO ALTRESI' ALLE PERSONE AUTORIZZATE DAL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE CON DELIBERAZIONE PUBBLICATA A NORMA DI LEGGE E PER GLI OGGETTI PREVISTI NELLA DELIBERAZIONE STESSA.
RIPARTIZIONE DEGLI UTILI E DELLE PERDITE TRA I SOCI DAGLI UTILI NETTI RISULTANTI DAL BILANCIO DEVE ESSERE DEDOTTA UNA SOMMA CORRISPONDENTE AL CINQUE PER CENTO (5%) DA DESTINARE ALLA RISERVA LEGALE FINO A CHE QUESTA NON ABBIA RAGGIUNTO IL QUINTO DEL CAPITALE SOCIALE OPPURE, SE LA RISERVA E'DISCESA AL DI SOTTO DI TALE LIMITE, FINO ALLA REINTEGRAZIONE DELLA STESSA; LA DECISIONE DEI SOCI CHE APPROVA IL BILANCIO DECIDE SULLA DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI AI SOCI.
POSSONO ESSERE DISTRIBUITI ESCLUSIVAMENTE GLI UTILI REALMENTE CONSEGUITI E RISULTANTI DA BILANCIO REGOLARMENTE APPROVATO. SE SI VERIFICA UNA PERDITA DEL CAPITALE SOCIALE NON PUO' FARSI LUOGO A DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI FINO A CHE IL CAPITALE NON SIA REINTEGRATO O RIDOTTO IN MISURA CORRISPONDENTE. NON E' CONSENTITA LA DISTRIBUZIONE DI ACCONTI SUGLI UTILI.
Modalità di convocazione, intervento e funzionamento dell'assemblea:
ARTICOLO 10 - ARTICOLO 11 - ARTICOLO 12 - ARTICOLO 13
Clausole di recesso:
ART. 9 DELLO STATUTO SOCIALE
Clausole di esclusione:
ART. 10 DELLO STATUTO SOCIALE
INFORMAZIONI PATRIMONIALI E FINANZIARIE
Capitale Sociale in EURO:
deliberato 50.000.000,00
sottoscritto 50.000.000,00
versato 50.000.000,00
conferimenti in DENARO

ADDETTI
Numero addetti dell'impresa rilevati nell'anno 2005
Dipendenti: 2 (informazione di sola natura statistica)
TITOLARI DI CARICHE O QUALIFICHE
1) LUPI ROBERTO
nato a ROMA (RM) il 11/04/1972
codice fiscale: LPURRT72D11H501W
residente a: ROMA (RM) VIA UGO OJETTI 16 CAP 00100
CONSIGLIERE nominato con atto del 16/03/2006 fino al 16/03/2009
Durata in carica: 3 ANNI
3) BASSOLI CARLO
nato a LATINA (LT) il 06/08/1949
codice fiscale: BSSCRL49M06E472X
residente a: LATINA (LT) VIA LUNGA 23 CAP 04100
CONSIGLIERE nominato con atto del 16/03/2006 fino al 16/03/2009
Durata in carica: 3 ANNI
9) DI MATTEO CORRADO
nato a VENAFRO (IS) il 01/05/1943
codice fiscale: DMTCRD43E01L725G
residente a: PIEDIMONTE MATESE (CE) PIAZZA ROMA 1 CAP 81016
PRESIDENTE DEL COLLEGIO SINDACALE nominato con atto del 12/04/2006 fino al 31/12/2005
Data presentazione carica 18/05/2006
ALBO UNICO REVISORI CONTABILI
n. 31 BIS del 12/04/1995
Rilasciata dall'ente MINISTERO DI GIUSTIZIA
10) BERNARDO VINCENZO
nato a PIEDIMONTE MATESE (CE) il 16/03/1964
codice fiscale: BRNVCN64C16G596D
residente a: PIEDIMONTE MATESE (CE) VIA PIZZONE 20 CAP 81016
SINDACO EFFETTIVO nominato con atto del 12/04/2006 fino al 31/12/2008
Data presentazione carica 18/05/2006
ALBO UNICO REVISORI CONTABILI
n. 87 del 15/10/1999
Rilasciata dall'ente MINISTERO DI GIUSTIZIA
11) BLOISI LUCIANO
nato a MILANO (MI) il 19/12/1964
codice fiscale: BLSLCN64T19F205A
residente a: PIEDIMONTE MATESE (CE) VIA ALDO MORO CAP 81016
SINDACO EFFETTIVO nominato con atto del 12/04/2006 fino al 31/12/2008
Data presentazione carica 18/05/2006
ALBO UNICO REVISORI CONTABILI
n. 47 del 06/03/1998
Rilasciata dall'ente MINISTERO DI GIUSTIZIA
12) TRIVELLONE GIACOMO
nato a CASAGIOVE (CE) il 23/07/1962
codice fiscale: TRVGCM62L23B860R
residente a: ALIFE (CE) VIA CADUTI SUL LAVORO 30 CAP 81011
SINDACO SUPPLENTE nominato con atto del 12/04/2006 fino al 31/12/2008
Data presentazione carica 18/05/2006
ALBO UNICO REVISORI CONTABILI
n. 87 del 15/10/1999
Rilasciata dall'ente MINISTERO DI GIUSTIZIA
13) IANUALE RAFFAELE
nato a CASAGIOVE (CE) il 10/10/1964
codice fiscale: NLIRFL64R10B860R
residente a: SAN NICOLA LA STRADA (CE) VIA DUCA D'AOSTA 3 CAP 81020
SINDACO SUPPLENTE nominato con atto del 12/04/2006 fino al 31/12/2008
Data presentazione carica 18/05/2006
ALBO UNICO REVISORI CONTABILI
n. 87 del 15/10/1999
Rilasciata dall'ente MINISTERO DI GIUSTIZIA
14) MELONI MICHELE
nato a GROSSETO (GR) il 04/05/1965
codice fiscale: MLNMHL65E04E202L
residente a: GROSSETO (GR) VIA ARCIDOSSO 46 CAP 58100
PRESIDENTE CONSIGLIO AMMINISTRAZIONE nominato con atto del 19/02/2007
Durata in carica: FINO ALLA PROSSIMA ASSEMBLEA
Data presentazione carica 22/02/2007
POTERI RELATIVI ALLA CARICA DI
PRESIDENTE CONSIGLIO AMMINISTRAZIONE
SOLO ED ESCLUSIVAMENTE LA RAPPRESENTANZA LEGALE DELLA SOCIETA'

la sfida stracittadina dei debiti tributari

Liberomercato 30 ottobre 2007

Super rosso con l’erario
Lazio batte Roma nel derby fiscale

di Marco Liguori



In attesa del derby di domani all’Olimpico, la Lazio ha battuto la Roma nei debiti fiscali. E’ quanto emerge dalle comunicazioni di fine mese sullo stadio debitorio complessivo, imposte dalla Consob a entrambi i club. Al 30 giugno scorso la società di Claudio Lotito aveva, su un indebitamento totale di 143,60 milioni di euro, un debito fiscale pari a 98,73 milioni composto in gran parte da 95,03 milioni relativi alla rateizzazione in 23 anni dei tributi dovuti sino al 31 dicembre 2004. Nell’ultima comunicazione disponibile, è rilevato che al 31 agosto scorso all’erario erano dovuti 99,39 milioni su un totale di 141,11 milioni, leggermente aumentato a causa dell’Irpef sulle ritenute (da 780mila euro a 1,73 milioni). Meno pesante la situazione della Roma. Stando al prospetto della "approvazione della situazione finanziaria mensile" al 31 agosto, la società della famiglia Sensi presentava al 30 giugno un passivo con l’erario pari a 15,08 milioni: 12,01 milioni da debiti entro i 12 mesi e da 3,06 milioni oltre l’anno. Per questa voce, nel bilancio al 30 giugno si legge che nella cifra è inclusa anche la "quota parte del residuo debito Iva con scadenza oltre i 12 mesi" di 872mila euro dilazionata in 56 rate mensili, e 2,19 milioni "alla quota parte del residuo debito per sanzioni sui ritardati versamenti di imposte" con pagamento in 54 mesi. A fine di agosto il rosso con l’erario è diminuito a 14,02 milioni (11,01 entro 12 mesi, 2,92 oltre). Nel bilancio della Lazio al 30 giugno si legge una particolarità. La società ha ritenuto "di non assoggettare a tassazione ai fini Irap le plusvalenze generate dalla cessione dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori". Decisione presa con l’adesione "all’impostazione fornita dalla Lega nazionale professionisti", nonostante "l’orientamento contrario espresso dall’Agenzia delle Entrate con risoluzione del 19 dicembre 2001, n.213". La Lazio ha precisato che "l’adesione alla sanatoria fiscale 2002, estesa automaticamente anche all’Irap, ha superato tale problematica per tutti i periodi di imposta oggetto della definizione (pertanto fino al 30 giugno 2001)". Però la problematica "non è stata superata per il periodo di imposta 2001/2002". Per recuperare le somme, l’Agenzia delle Entrate ha notificato il 23 luglio scorso alla Lazio "due avvisi di accertamento a seguito di una verifica iniziata il 19 marzo 2007, avente a oggetto il controllo del trattamento tributario, ai fini Irap, dei proventi e oneri straordinari realizzati dalla SS Lazio spa sulla base dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori, dalla stagione 02/03 alla stagione 04/05". E ha rilevato che ci sono le condizioni per il "recupero di base imponibile Irap per euro 49,07 milioni, pari a imposte per circa euro 1,84 milioni". La società ha accantonato a fondo rischi 5,08 milioni "l’ammontare complessivo delle potenziali imposte" dal 2001/02 al 2004/05 e "l’importo minimo per sanzioni".

giovedì 13 marzo 2008

Inter poco champions

di Stefano Olivari
13.03.2008

tratto da www.settimanasportiva.it

1. Annunciando la fine della sua avventura interista in conferenza stampa, Roberto Mancini ha sorpreso i talebani del morattismo, ancora con il cervello pieno di interviste del centenario, libri di Oliviero Toscani (il cui figlio ha casualmente prodotto un film sulla storia nerazzurra), documentari di Salvatores (la cui assistente è una delle figlie di Moratti), celebrazioni di un'era poco credibile in ogni caso: lo sporco duopolio Galliani-Moggi, con intermezzo geronziano, ha reso spazzatura dodici anni di albi d'oro, ma non è detto che chi è arrivato dietro fosse più forte o più meritevole. Insomma, Moratti è rimasto Moratti. Per avere molte certezze bisogna essere molto tifosi, ed i tifosi del morattismo si erano così affezionati alle belle sconfitte, alle immagini in bianco e nero ed ai mezzi giocatori da non concepire l'arrivo sulla loro panchina di un vincente come Roberto Mancini. Vincente non nel senso becero della bacheca, secondo cui Trapattoni varrebbe cento Zeman, ma nel senso di provare a vincere. Che, come si è visto con il Liverpool ed in poche altre occasioni, non significa riuscirci: a volte c'è chi è più forte, chi nel momento giusto sa essere più forte, chi è bravo nello sfruttare le tue mancanze ed i tuoi sbagli (e Mancini sia con il Valencia che con il Liverpool ne ha fatti: peggio l'insistenza su Stankovic, con Jimenez trascurato, che la scelta di un Burdisso al quale per mancanza di fiducia i compagni non passano la palla quando si sovrappone). Ci sarà tempo e modo per tornare su quello che ha significato Mancini per l'Inter, forse anche prima dei due mesi e mezzo da lui ipotizzati e che ieri sera Moratti ha ipotizzato non essere gli ultimi della sua vita interista. E' invece evidente che si tratti solo di una tregua, per rimanere attaccati ad uno scudetto che prima di Mancini sembrava un traguardo pazzesco e che adesso sembra quasi un premio di consolazione. Solo la rimonta della Roma ha fatto cambiare idea riguardo alla malsana idea del traghettatore: l'emergente Mihajlovic, al presidente molto più caro di Mancini, l'autocandidato Zenga e via peggiorando. Di sicuro una buona parte del mondo Inter si merita allenatori che dicano che Recoba è una grande risorsa, Adriano uno attaccato alla maglia e Coco un fenomeno incompreso. Mourinho non fa parte di questa razza, il più diplomatico Benitez forse sì.

2. L'unica cosa sicura è che Moratti, ormai da mesi invidioso del carisma del suo ex idolo e che prende come pugnalate espressioni tipo 'L'Inter di Mancini', ha preso malissimo il fatto di essere stato mediticamente scavalcato anche martedì sera. Tanto che nell'incontro avvenuto alla Saras, secondo quanto fatto trapelare da alcuni cortigiani (non necessariamente la verità), il petroliere avrebbe usato nei confronti del tecnico toni durissimi, mai adoperati nemmeno nei confronti di farabutti del passato che lavoravano per altre società facendogli strapagare cariatidi e svendere giocatori validi. Mancini ovviamente non si è scusato (di cosa poi?), come invece si dedurrebbe dalle sue stesse dichiarazioni ufficiali, ma ha preso e portato a casa: meglio chiudere con uno scudetto sofferto e le dimissioni che con un esonero. Traghettatore o non traghettatore, annunciando personalmente la fine della propria era l'allenatore è riuscito nella più facile delle sue imprese interiste: mettere a nudo la pochezza di una società e di un'ambiente che si erano illusi di avere fatto un salto di qualità. Con vari effetti collaterali. Primo: ha evitato di essere messo quotidianamente sulla graticola da Moratti nella quotidiana esternazione sotto gli uffici della Saras, come capitato a tutti, ma proprio tutti i suoi predecessori, da Ottavio Bianchi a Zaccheroni. Secondo: se Moratti non lo caccerà prima, come è ancora possibile, Mancini avrà ottenuto da quella parte di squadra che rema dalla sua parte una dedizione totale, decisiva per resistere al ritorno della Roma. E pazienza per il dirigente in pectore Figo, che per amore della maglia ha rinunciato agli Emirati Arabi, per il declinante Materazzi, l'idolo della Gazzetta Toldo o il presuntuoso Vieira: sei punti, anzi sette visti gli scontri diretti, su una squadra che penserà anche alla Champions League li si potranno mantenere anche con Pelé e Balotelli. Terzo: ha permesso a giornali e tivù di rimpiere spazi con le reazioni livorose dei suoi antipatizzanti, i tromboni del 'Mancini non ha fatto la gavetta'. Mentre Ancelotti, Van Basten, Rijkaard hanno iniziato dalla squadra del condominio...Da quella brava persona di Moggi, che aveva capito tutto da tempo (è pronto per Berlusconi, basta che gli tolgano qualche anno di squalifica) a Gino e Michele (!), tutti a parlare di gesto inopportuno ed a prendere le parti di Moratti dimenticando chi metteva in campo squadre orrende pur potendo contare sul miglior Ronaldo o sul miglior Vieri. Ma fra poco partirà comunque la restaurazione: dentro tutti quelli simpatici, fuori Mancini. Che non si attaccherà al contratto con scadenza 2011, nonostante al mondo solo Juande Ramos guadagni più di lui: al di là di ipotesi e scambi di telefonate non ha niente in mano, a parte la certezza di non poter più allenare in Italia a questo livello. Il moggismo sopravvive a Moggi e si trova benissimo con Moratti ed i baciamaglie a lui devoti.

3. Ah già, c'era la Champions League. E qui l'allenatore è decisamente meno difendibile. Ancora una volta l'Inter di Mancini si è presenta agli ottavi nelle condizioni fisiche e tecniche peggiori, anche al netto delle feste per il centenario (più simili al tronfio-trash milanista che alla tranquilla sobrietà juventina, nonostante i mille strapagati consulenti di immagine) e di infortuni che hanno inciso tanto ma non tantissimo: l'assenza dell'ultimo Materazzi era stata quasi una fortuna, Rivas non ha fatto peggio di Cordoba, Stankovic è acciaccato da tempo immemorabile ma è vocalmente Mancini in campo (infatti i compagni che non hanno il coraggio di insultare l'allenatore insultano lui), in una partita da vincere Burdisso sulla sinistra poteva tranquillamente essere sostituito da Zanetti mandando in mezzo al campo Pelé. Su tutte le considerazioni epocali e su tutti gli episodi (la peggior Inter casalinga di stagione ha avuto comunque cinque palle gol, di cui quattro sullo zero a zero: triplo Cruz e Ibrahimovic) prevale il fatto che il Liverpool di Benitez nelle ultime quattro Champions League non abbia quasi mai subito il gioco degli avversari, a parte il primo tempo della finale di Istanbul. L'unica squadra capace si sorprenderlo è stato il Benfica di Ronald Koeman due anni fa (ad Anfield Road segnò anche Miccoli), per il resto solo partite dominate di fisico e di testa, con un'occupazione degli spazi dovuta alla trasformazione in gregari, tanto per rimanere al presente, di registi come Mascherano (a uomo su Stankovic fino a quando la partita è stata chiusa) o punte come Kuyt (dal suo pressing su Burdisso sono nati tanti cross che l'olandese ha sbagliato di pura insensibilità di piede). Insomma, forse non sarebbe bastata nemmeno la migliore Inter ed a volte nel calcio vince chi è più forte: di sicuro l'Inter media di condizione atletica, di fiducia e di fortuna, sarebbe uscita anche con squadre meno forti di quella di Benitez.

4. L'uso della tecnologia, o più banalmente della televisione, per rendere più credibile il calcio conquista sempre i suoi bravi titoli, ma la grande decisione presa nel fine settimana di International Board a Gleneagles non ci sembra lo stop a cellule, sensori, microchip (nonostante la sponsorizzazione Adidas) nel pallone, eccetera, nel nome di quello che Blatter ha definito 'human aspect of the game'. E nemmeno la blanda apertura verso l'introduzione di due ulteriori assistenti dell'arbitro, focalizzati sui falli in area, ci sembra poi questa grande genialata: arrivata per giunta da chi aveva bocciato più volte i cronometristi (anzi, il cronometrista), e quindi il tempo effettivo, perché non sostenibili economicamente. La notizia ci sembra una modifica alla prima regola del gioco, quella riguardante il campo: che come tutti sanno per i match internazionali definiti 'A' dalla Fifa aveva dimensioni imprecisate, con un minimo ed un massimo (da 100 a 110 metri la lunghezza, da 64 a 75 la larghezza), tanto da far correre fra un terreno e l'altro anche 100 metri quadrati di differenza, che in uno sport basato sui dettagli, in cui il singolo episodio è tutto, sono un'enormità. Quindi la modifica è la seguente: i campi che pretendono di essere usati per le partite vere, quelle fra nazionali, devono essere 105 per 68. Sembra incredibile, ma lo sport più popolare del mondo ha dovuto aspettare la 122esima riunione del suo organo giuridico per stabilire le misure del campo nelle sue manifestazioni più importanti. Appuntamento l'anno prossimo in Irlanda del Nord, ricordando che nel calcio reale le dimensioni del campo sono queste, come da 'Laws of the game': minimo 90 e massimo 120 in lunghezza, minimo 45 e massimo 90 in larghezza. Teoricamente e praticamente si giocano quindi sport diversi, basta fare due moltiplicazioni. Questo per dire che quella dello stesso sport per 6 miliardi di persone, davanti alla capanne o in Champions League, è solo una scusa per mantenere controllo, discrezionalità ed arbitrio.

5. Allo stadio vanno sempre meno persone, il fatturato da stadio è ormai il dieci per cento di quello totale, l'unica cosa a non essere diminuita sono i pistolotti su quant'era bello il calcio di una volta. Che c'erano anche ai nostri tempi di bambini, quindi negli orridi Settanta, quando si rimpiangeva l'era in cui alla partita andavano le fantomatiche 'famiglie'. Cosa mai avvenuta, in maniera percentualmente interessante, ma luogo comune che si tramanda di giornalista in giornalista (quindi spesso di padre in figlio, considerando il tasso di parentele esistente in questa professione: inferiore solo a quello di notai e medici) fino a diventare verità. Peccato che chiunque frequenti il calcio dal vivo oggi possa rendersi conto che, pur nella diminuzione in assoluto dei numeri (media paganti-abbonati della serie A che è metà di quella del campionato 1984-85), fra gli spettatori ci siano in proporzione più donne. Discorsi già fatti, come quello sugli ascolti televisivi: però ci piace ricordare che anche fuori dal circuito delle solite grandi, che ai tanti simpatizzanti assommano gli odiatori di professione, in Italia poche cose come il calcio regalino grandi numeri alle reti che investono sulle partite vere. L'assedio dell'Everton alla Fiorentina ha avuto uno share del 9,3 %: per quasi tre ore di diretta e per La 7 un risultato pazzesco (quasi dieci volte le trasmissioni di Gad Lerner, per citare una tivù che gode di buona stampa), con punte del 20% per i rigori. Non si può ridurre proprio tutto al tifo, visto che fuori dalla Toscana la Fiorentina non ispira sentimenti né di amore né di odio, questo è il calcio e basta. Che rende credibile il non detto della bella intervista fatta dal Guerin Sportivo a Matarrese: va bene lo spezzatino per Sky, dalle 12 della domenica a tutto il resto, ma l'ideona è quella della partita top della giornata in chiaro da stravendere o da usare come spauracchio per ottenere più soldi da Murdoch. Qualcuno la guarderà.

francese a giudizio

LiberoMercato 23 dicembre 2007

Mina Djetou sui conti del Parma

Marco Liguori
C'è la futura incognita Djetou a pesare sui conti del Parma. Nella nota integrativa del bilancio chiuso al 30 giugno scorso è evidenziato il contenzioso giudiziario per circa 9 milioni di euro aperto dal calciatore francese con il club emiliano, dove giocò nella stagione 2001/02 e tornò nel 2005 senza disputare partite. Il 13 marzo scorso Djetou ha notificato un ricorso aperto davanti al giudice del lavoro di Parma, chiamando in giudizio la società del presidente Tommaso Ghirardi. In esso il calciatore chiede, si legge nella nota integrativa, "nuovamente il pagamento di n.5 mensilità (3 delle quali già oggetto di pronuncia del collegio arbitrale), il risarcimento del danno così come previsto nell'accordo collettivo e il danno derivante dalla perdita di chances, quantificando la propria pretesa in complessivi 8.951.817,12 euro". Le 3 mensilità riguardano quelle di settembre, ottobre e novembre 2004 "per complessivi 1.025.242,57 euro, oltre a interessi e spese legali" cui è stato condannato il Parma dal Collegio arbitrale della Lega calcio il 16 aprile 2007. "Nella stessa data il medesimo organo giudicante – si legge nella nota – ha altresì dichiarato improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse le ulteriori due vertenze aventi ad oggetto le richieste di risoluzione del contratto promosse da entrambe le parti".
Il Parma è passato al contrattacco e si è costituito in giudizio "chiedendo il rigetto di tutte le domande avversarie – prosegue la nota – in particolare per carenza di giurisdizione e/o competenza, e formulando domanda riconvenzionale con la quale ha richiesto la condanna di Djetou al pagamento della somma di 7.331.554 euro a titolo di risarcimento del danno prodotto a causa della risoluzione ante tempus del contratto di prestazione sportiva per fatto e colpa dello stesso calciatore". La società ha "effettuato stanziamenti adeguati in merito al contenzioso", ma ha anche chiesto "la condanna del calciatore al risarcimento del danno" per temerarietà della lite.
Il bilancio 2006/07 del Parma si è concluso con una perdita di 3,24 milioni, coperta mediante utilizzo di pari importo della riserva da conferimento. L'anno scorso si era registrato un attivo di 3 milioni per la plusvalenza di 14,7 milioni realizzata su Alberto Gilardino. Riguardo alla somma incassata per l'attaccante è tuttora in corso un contenzioso giudiziario tra il Verona (da cui proveniva il calciatore) e il Parma. Il club emiliano presenta ricavi per 35,55 milioni (47,99 milioni nel 05/06) e costi per 39,71 milioni (47,73) con uno squilibrio di 4,16 milioni (4,11): senza plusvalenze (4,92 milioni) e minusvalenze (346mila) calciatori, che per i criteri civilistici sono componenti straordinarie, i ricavi ammontano a 30,62 milioni (26,04 milioni in 05/06), i costi a 39,37 milioni (47,14 milioni) e la differenza negativa per 8,75 milioni (-21,1 milioni).
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il pallone in confusione

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