il manifesto 22 marzo 2003
Milan-Juventus...debiti e blasone...
Debiti e blasone, a San Siro la sfida Fininvest-Fiat Questa sera al Meazza, Milan e Juventus si giocano sul campo un pezzo di scudetto. Fuori dal rettangolo verde invece, sono costrette come tutte le altre squadre a fare i conti con bilanci in rosso e plusvalenze. Con le spalle protette però dalle ricchezze di Berlusconi e della famiglia Agnelli
MARCO LIGUORI
SALVATORE NAPOLITANO
Le loro bacheche sono piene: in tutto, 42 scudetti e 7 Coppe dei Campioni più una trentina di altri trofei internazionali. Quella di questa sera a San Siro tra Milan e Juventus non sarà però solo una sfida di pluridecorati, ma anche di plurindebitati. L'ultimo bilancio annuale, che per le società calcistiche chiude al 30 giugno, parla chiaro: la gestione operativa, che include i ricavi totali e i costi della produzione, escludendo quindi sia proventi e oneri finanziari che plusvalenze e minusvalenze derivanti dai trasferimenti dei calciatori, è andata in rosso per 194,37 milioni di euro, con un poco onorevole pareggio di 96,65 milioni per la Juve e 97,72 per il Milan. Le passività complessive ammontano a 702,84 milioni, con vittoria juventina per 401,01 a 301,83. Anche il capitale netto bianconero risulta superiore: 99,53 milioni a 52,54. E' la prova evidente di uno squilibrio profondo tra mezzi propri e mezzi di terzi. Dunque non è bastata nemmeno la consistente cifra di 335,97 milioni di fatturato totale: 177,12 dei bianconeri e 158,85 dei rossoneri. D'altro canto, i soli stipendi elargiti ammontano rispettivamente a 133,8 e a 121,59 milioni, e le quote annue di ammortamento dei giocatori a 68,58 e a 72,68 milioni: non bisogna stupirsi se i bilanci somigliano ad una gruviera. Solo per fare un esempio, il Chievo deve allestire una squadra in grado di affrontare con dignità lo stesso torneo di Milan e Juventus con la miseria di 21,67 milioni di ricavi annui e pagando stipendi per 14,5 milioni. Non c'è che dire: Adriano Galliani e Antonio Giraudo, amministratori delegati rispettivamente di rossoneri e bianconeri, sono dirigenti molto fortunati. Perché hanno le spalle ben protette da Silvio Berlusconi e dalla famiglia Agnelli. Perdita di bilancio? Nessun problema, la ricapitalizzazione è presto fatta. C'è bisogno di garanzie sui debiti assunti? Una fidejussione non si nega di certo. E si parla ogni anno di cifre nell'ordine di grandezza di un centinaio di milioni. Qualche giocatore fa le bizze per il rinnovo contrattuale o qualche altro interessa per la stagione seguente? Basta che il direttore generale bianconero Luciano Moggi chiami il figlio Alessandro, uno dei procuratori più influenti, che controlla la Football Management, a sua volta socia della Gea, la società dei figli famosi (Geronzi, Tanzi, Cragnotti, Calleri, De Mita) che detiene una fetta consistente del mercato, e l'accordo si trova in men che non si dica. Per la sua consulenza, la società di Moggi jr. ha ricevuto nella scorsa stagione dalla Juventus un assegno da 600mila euro. Per rossoneri e bianconeri le cose non vanno affatto male con gli sponsor e le televisioni: tutti in fila a dare soldi. Nel caso del Milan si tratta spesso di aziende di famiglia: come Publitalia `80, concessionaria della gestione dei cartelloni pubblicitari all'interno dello stadio Meazza, o come Rti, pronta lo scorso anno a strapagare i diritti delle partite casalinghe di coppa Uefa. E addirittura Tele+ versa a Milan e Juventus due anni anticipati: mai visto un cliente così premuroso. Sono all'incirca una sessantina di milioni annui. Denari che ovviamente sono stati già utilizzati per far andare avanti la gestione. Basterebbe una modifica di questa favorevolissima clausola contrattuale per costringere Fininvest e Ifi a reperire altrove quei soldi mancanti. Rivaleggiando negli anni per garantirsi la supremazia sportiva, soprattutto per questioni di immagine, Milan e Juventus hanno cercato introiti ovunque, i bianconeri persino in Libia: il ricorso all'aiuto finanziario della famiglia Gheddafi non è certo una novità a Torino. In cambio, il figlio del dittatore africano è entrato in pompa magna nel consiglio di amministrazione. Così facendo, le due società hanno gonfiato il mercato, costringendo chi voleva interromperne la supremazia a svenarsi. Il calcio nostrano si trova sull'orlo del burrone perché non ci sono imprenditori italiani in grado di competere a lungo con la forza economica e politica di casa Fininvest e di casa Fiat. Su un punto però la Juventus stacca nettamente il Milan: nel risultato finale dell'esercizio. Al 30 giugno 2002 i bianconeri sono riusciti, grazie alle plusvalenze, a raggiungere l'utile, i rossoneri no: 6,13 milioni per la Juve, contro una perdita di 33,22 milioni per il Milan. Giraudo ce l'ha fatta vendendo Zinedine Zidane e Filippo Inzaghi, con una plusvalenza complessiva di 101,04 milioni: ma non si pescano due jolly simili ogni anno. A Galliani non sono bastate le acrobazie con l'Inter, i cui scambi reciproci tra giocatori hanno prodotto, solo nella passata stagione, 62,9 milioni di plusvalenze. La più ardita di tutte è stata però la cessione del danese Thomas Helveg, avvenuta nella stagione 2000-2001, che ha fruttato al Milan una plusvalenza di 6,2 milioni. Ma, come è noto, il danese non ha mai lasciato Milanello. Ciò che non è noto è il perché: l'Inter lo ha immediatamente prestato ai cugini a un prezzo d'occasione, pari a mille euro annui. Frequentemente nel mondo del calcio le plusvalenze incrociate si riferiscono a perfetti sconosciuti e non generano alcun movimento finanziario. Ai rilievi sulla circostanza che i bilanci vengano parzialmente abbelliti ricorrendo ai guadagni derivanti dai trasferimenti dei calciatori, ossia alla gestione straordinaria, le società replicano sostenendo che tale compravendita faccia ormai parte dell'attività normale di una società di calcio. Peccato che, leggendo i bilanci, esse stesse la inseriscano, correttamente, nella gestione straordinaria. Ma c'è una considerazione che trancia ogni discorso: tutte le società chiudono il bilancio contabilizzando delle plusvalenze sui trasferimenti dei calciatori. Dunque, qualcosa non quadra: se tutte guadagnano non vuol dire che sono tutte brave, ma più semplicemente che alterano i prezzi. E' come comprare un normale cucchiaino a un milione di euro, dando in cambio per lo stesso prezzo una matita. La plusvalenza immediata sarebbe enorme, ma il cucchiaino sarebbe stato strapagato. Un giochino semplice, ma che non può durare all'infinito.
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