il manifesto 26 marzo 2003
Laboratorio Lazio: cercasi salvezza
Marco Liguori
Salvatore Napolitano
Immaginate di essere al ristorante in allegra e numerosa compagnia davanti ad un tavola imbandita: avete esagerato in leccornìe e libagioni e il cameriere vi ha portato un conto troppo salato per le vostre tasche. Tergiversate, vi guardate intorno, ci pensate un po' e infine trovate la soluzione: pagherete, ma entro sei mesi. In più, rinviate ad altro giorno la discussione su chi debba farsi carico del conto ed uscite dal ristorante con la faccia felice di chi ha risolto tutto. E' esattamente quanto accaduto lunedì scorso all'assemblea della Lazio: la ricapitalizzazione da 110 milioni di euro è stata approvata all'unanimità, ma l'operazione sarà conclusa entro il 30 settembre, non si sa chi la sottoscriverà, né quale istituto bancario la garantirà acquistando le azioni inoptate. E l'unanimità tanto sbandierata riguarda solo il 36% del capitale, in altre parole la partecipazione di Cirio Finanziaria, azionista di controllo. Per questo il sollievo in casa Lazio appare fuori luogo. La decisione era un atto dovuto in base al Codice Civile: il patrimonio netto della società si era abbattuto di oltre un terzo ed era sceso al 31 gennaio a 2,64 milioni. Si sono volatilizzati in poco più di sei mesi i 55 milioni incassati a metà luglio con quell'aumento di capitale. E basta fare due semplici conti per concludere che, attualmente, il patrimonio netto è addirittura negativo per circa 16 milioni. L'andamento della gestione parla chiaro: nell'ultimo semestre le perdite hanno viaggiato al ritmo di 8-10 milioni mensili. Altro che salvezza vicina. Ma l'amministratore delegato Luca Baraldi ha sentenziato: «Siamo un laboratorio e possiamo essere lo specchio del calcio italiano». Difficile capire a cosa si riferisca: forse al fatto che il secondo azionista della società è la banca del gruppo Capitalia, Mediocredito Centrale, il cui presidente è il numero uno della Federcalcio Franco Carraro. O forse al fatto che il terzo azionista è la Bnl, della quale il presidente è Luigi Abete, fratello di Giancarlo, numero due della Federcalcio. O forse ancora alla miracolosa iscrizione all'attuale campionato, con una magia degna del miglior Houdini: il rapporto tra ricavi e indebitamento, che in base alle norme della Federcalcio deve essere non inferiore a tre, a fine marzo 2002 valeva circa 0,45 (tanto che all'epoca la stessa società aveva ammesso che il parametro non fosse rispettato), e sugli stessi livelli si mantenne sia al 30 giugno che al 30 settembre dello scorso anno. Come faceva a metà luglio 2002 a valere tre? Potenza del «laboratorio». Più probabilmente, Baraldi si riferisce al fatto che la Lazio sia stata la prima ad adottare il cosiddetto decreto «salva calcio». Con rapidità impressionante, il 21 febbraio, tre soli giorni dopo la sua approvazione, a Formello era già pronta la perizia giurata sui valori «reali» dei calciatori. Su questo aspetto si passa dalla magia all'arte: un'arte tutta dovuta alla fervida creatività della maggioranza parlamentare, che ha varato una norma che farebbe rivoltare nella tomba Gino Zappa e Fabio Besta, i Maestri della Ragioneria. Il decreto stabilisce che la perdita di valore del patrimonio calciatori possa essere iscritta tra le attività e spalmata su dieci anni. Roba da Salone dell'Umorismo di Bordighera. L'Unione europea ha aperto un fascicolo per accertare che il provvedimento sia legittimo. La Lazio non aveva scelta ed ha applicato subito una legge caldeggiata, guarda caso, proprio da Carraro. I 194,34 milioni di svalutazione che si leggono al 31 gennaio sono stati messi per ottenere una discreta plusvalenza durante la prossima campagna acquisti: chi potrebbe mai pensare che al 30 giugno prossimo Dejan Stankovic varrà solo 2,7 milioni, Jaap Stam 2,73 e Claudio Lopez 3,94? Da fine giugno a fine dicembre il crollo del valore del patrimonio calciatori è stato di poco superiore all'80%. Durante il crac del 1929, la perdita di Wall Street arrivò all'89% solo nel 1932. E anche la bolla del Nasdaq è scoppiata in tre anni. Ma quei 194,34 milioni non sono né denaro, né un credito, né un immobile, né una partecipazione, né nulla che serva per l'attività produttiva: è semplicemente una cifra che, dal punto di vista economico, non doveva stare lì. Ecco perché la voragine dei conti biancocelesti è ancor più impressionante: i valori effettivi dell'attivo al 31 gennaio erano pari a 280,48 milioni. Tra di essi si considerano anche crediti di difficile esigibilità come quelli verso alcune società del gruppo: Cirio Agricola, Cirio Immobiliare e Cirio Ricerche per un totale di 29,64 milioni. Il passivo ammonta a 472,18 milioni. Nemmeno il tanto evocato aumento di capitale sanerebbe la situazione. Più che questione di Covisoc, questo caso dovrebbe essere materia di Consob o, meglio ancora, di Tribunale fallimentare. A Firenze aspettano di sapere se la legge sia uguale per tutti. Il dissesto laziale ha origine nel tentativo di Cragnotti di competere con i colossi del calcio italiano, in particolare Milan e Juventus. Ma la forza politica ed economica di Fininvest e Fiat non consente a chicchessia di reggere a lungo senza svenarsi. Non meraviglia affatto che dei supposti compratori non vi sia ancora l'ombra: ieri anche Vittorio Merloni ha smentito il suo interessamento. E' l'ultimo di una serie lunga quasi quanto una squadra di calcio: Benetton, Colaninno, Ligresti, Corsini, Polegato, Bertarelli, Ricucci, Tanzi. Ma il «laboratorio» di Baraldi va avanti. La società sta tentando di convincere i giocatori a una dilazione dei pagamenti (ma non si vede il motivo di una simile trattativa dal momento che ciò accade già) oltre che ad un tentato ritorno all'economia del baratto: una parte di stipendio corrisposta in azioni. Fu un'operazione già tentata con esiti disastrosi il 6 luglio 2001 con un piano di opzioni di acquisto: furono messi a disposizione di alcuni calciatori della prima squadra titoli per un valore complessivo di 4,3 milioni. L'assemblea del 9 maggio 2002 dovette constatare il rifiuto di tutti i beneficiari a sottoscrivere anche una sola azione. Anche qui non c'è niente di strano, dal momento che i figli di Sergio Cragnotti, Elisabetta, Andrea e Massimo, all'epoca rispettivamente vicepresidente, consigliere e direttore generale, possedevano ciascuno la miseria di 111 azioni. E non è ancora conclusa la vicenda De La Pena: il calciatore spagnolo attende ancora circa 3 milioni di dollari. Altrimenti è pronta la sua terza istanza di fallimento. Per i prossimi giorni è previsto un incontro tra la società biancoceleste e l'avvocato Domenico Latino, che lo assiste.
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